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Educação e Filosofia

Print version ISSN 0102-6801On-line version ISSN 1982-596X

Educação e Filosofia vol.21 no.42 Uberlândia July/Dec 2007  Epub Feb 06, 2024

https://doi.org/10.14393/revedfil.v21n42a2007-473 

Artigos

ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL TEMA DELL’ORIENTE NELLA STORIOGRAFIA DI CARLO CATTANEO1

Maurizio Martirano* 

*Pesquisador do Instituto per la Storia del Pensiero Filosofico e Cientifico Moderno del C.N.R. - Nápoles, Itália.


RIASSUNTO

Partendo dalle nozioni cardini, vale a dire quella di sistema, di storia universale e dei motivi “psicologici-cosmologici-ideologici” che sono alla base della sua concezione, il lavoro utilizza alcuni principi della riflessione di Carlo Cattaneo per mostrare come la sua concezione dell’Oriente, e dei rapporti con l’Occidente, sia al centro dello sviluppo del processo di incivilimento e in qualche modo collegata ad una visione interculturale. Infatti, grazie anche alla critica ad ogni pensiero metafisico, si comincia a scoprire la complissità storica e sociologica, giuridica e politica dei diversi popoli del genere umano, consentendo un’analisi che si fonda sull’idea del dialogo con l’altro, del riconoscimento di altri mondi e culture.

PAROLE-CHIAVE: Carlo Cattaneo; Occidente; Incivilimento

ABSTRACT

Departing from a range of pivotal notions, such as the idea of system, universal history and of psychological, ideological and cosmologic motives at the heart of its conception, this work utilizes some principles taken from Carlo Cattaneo’s reflections to illustrate his vision of the Orient and of its rapport with the West, situated at the core of both of the ongoing process of civilisation and as somehow connected with a cross-cultural perspective. Indeed, thanks to the critique and to every metaphysical thought one begins to discover the historical, sociological as well as legal and political complexity binding the different peoples of mankind, thus allowing an analysis founded on an idea of dialogue with the other, and the recognition of other worlds and cultures.

KEYWORDS: Carlo Cattaneo; West; Civilisation

L’intento di queste pagine è cercare di riflettere sul contributo che Carlo Cattaneo ha dato allo studio del mondo orientale, in quanto il tema dell’Oriente e delle implicazioni con l’Occidente occupa un ruolo di rilievo nella sua storiografia sia dal punto di vista della delucidazione critica delle tematiche inerenti all’ideologia delle genti, sia da quello più prettamente politico, con particolare riferimento alla situazione storica dell’epoca e agli esiti che la storia avrebbe dovuto attendersi con il suo graduale sviluppo. L’ideologia sociale, che ha le sue radici nella filosofia humiana e lockiana2, è uno dei nuclei intorno a cui ruota la riflessione di Cattaneo, il quale la considera come la «scienza nuova» dell’epoca a cui vanno rivolte tutte le energie e le aspettative, ed essa ha, come ha sostenuto Norberto Bobbio, i suoi presupposti sia nella storia della civiltà (che è una storia delle idee, dove «l’uomo è fabbro del suo destino»3), sia nelle idee che sono il frutto della vita associata4. Ed è stato anche l’interesse verso questi caratteri tipici dell’ideologia sociale a spingere il pensatore milanese più specificamente verso le questioni orientali, trattate sia nelle lezioni dedicate all’Ideologia delle genti, elaborate tra il 1860 e il 1862, sia in altri scritti, tra i quali segnalo la nota sul giornalismo indiano del 18335, il saggio Dell’India antica e moderna del 18456, quello sulla Narrativa della spedizione della squadra americana al Giappone del 18607, e, infine, La China antica e moderna del 18618. Tutti lavori che possono essere considerati preparatori e paralleli alla riflessione avviata nelle lezioni ideologiche, ma che, tuttavia, meritano una sistemazione autonoma, essendo la testimonianza, insieme ai molti riferimenti e alle osservazioni sui popoli e sulle civiltà che compongono il genere umano, di un progetto di ampia portata nel quale si inserisce anche il confronto con quelle lontane terre. Come vedremo la prospettiva di Cattaneo è davvero di tipo universale, nel senso che la sua riflessione si muove intorno ad una molteplicità di temi e di problematiche che riguardano i campi del sapere, le diverse condizioni fisiche e geografiche in cui nasce e si sviluppa il genere umano e che caratterizzano la vita politica ed economica, l’intero ambito dei popoli che si sono affacciati sulla scena mondiale, da quelli dell’Oriente a quelli del Pacifico. Tutto questo nella convinzione che le storie universali non sono un mero elenco di fatti e di avvenimenti riportati solo per aiutare la memoria, né tanto meno ricostruzioni frettolose ed arbitrarie, ma piuttosto «concatenazioni di cause e d’effetti, ed elaborazioni d’idee, alle quali i fatti storici porgevano solo la materia prima e l’occasione»9.

Le teorie metafisiche si affermano in quelle che Cattaneo definisce «civiltà stazionarie», che sono sistemi chiusi del tutto diversi dalle società dove, prevalendo una molteplicità e una diversità di principi, si è in grado di formare sistemi e società aperte, con civiltà sempre in movimento. È il tema che troviamo trattato più precisamente nelle lezioni che compongono la Psicologia delle menti associate (tenute presso il Regio Istituto Lombardo di Scienze, Lettere ed Arti tra il 28 agosto 1859 e il 16 agosto 1866), in particolare nel capitolo «Della formazione dei sistemi», dove si ragiona sul modo in cui studiare il processo attraverso il quale presso i vari popoli nasce, in modo tanto differenziato, il pensiero scientifico e progressivo, opera non delle menti solitarie, ma di quelle associate, che vivono in sistemi aperti. Per sistema Cattaneo intende «una serie d’idee fra loro intimamente connesse per mezzo d’una idea principale o principio, cosicché la mente, partendo da questa, perviene per forza d’associazione e di deduzione a tutte le altre; e da tutte le altre ritorna spontaneamente e abitualmente ad essa, provando in tale atto un intimo senso di soddisfazione e di riposo»10. Mentre il sistema chiuso è quello che, del tutto impermeabilizzato all’esterno, non subisce mai alcuna modifica e vive basandosi solo della riflessione su se stesso, per cui, pur essendo in grado di autoalimentarsi, non è capace di progredire, il sistema aperto, che rappresenta il vero e proprio sistema sociale, è come una rete di vasi intercomunicanti, in continua connessione tra loro «per effetto di conquiste, di schiavitù, di commercio, di parentele, di studi», di modo che, proprio attraverso lo studio dei fatti storici, politici, geografici, etnografici, linguistici ecc. che si incontrano e si innestano su quelli derivanti da altre culture, è possibile costruire nuovi sistemi e scoprire il carattere progressivo delle civiltà. È chiaro allora che ogni civiltà costruisce un sistema, che è chiuso, quando vi regna un unico principio, e aperto quando, invece, i principi sono molteplici, e in tal modo si formano rispettivamente civiltà stazionarie (o anche sistemi retrogradi) e civiltà progressive, le sole dove trionfa lo spirito scientifico e dove si afferma una varietà di istituzioni politiche e di forme economiche. Nel quadro qui accennato della Psicologia delle menti associate i popoli dell’estremo Oriente, in particolare Cina e India, sono rappresentati come stazionari, caratterizzati cioè da sistemi compiuti e chiusi, in nessun modo associabili ad un’idea di progresso, anzi destinati a conoscere la decadenza e, infine, a soccombere. E ancora nell’Ideologia, laddove la discussione intorno ai Cinesi, ai Giapponesi e agli Egizi è intimamente legata al tema delle teocrazie (con particolare riferimento a quella peruviana e messicana), l’accento cade sull’assenza in quei popoli del «genio della libertà» che ha fortemente compromesso l’accesso alla verità. «È certo però che ai Chinesi, come a tutte le nazioni asiatiche, manca il genio della libertà. Inclinano a definire e prescrivere ogni atto della vita e ogni pensiero della mente, mentre l’Europa aspirò sempre all’uso libero della ragione e della volontà»11. Proprio il riferimento all’azione libera e creatrice dell’intelligenza umana mostra come l’idea di progresso non sia qui da considerarsi di tipo predeterminato o fatalistico e venga utilizzata in contrapposizione a coloro che «acquietandosi nella generale giustificazione dei fatti, e confidando nel genio naturale delle moltitudini, e nella forza ingenita che spinge le cose al compimento d’un ordine prestabilito, ricadono nel fatalismo dell’Oriente, e maledicendo alla virtù infelice santificano la vittoria e adorano la forza»12. Non va trascurato, poi, che anche quando ci rivolgiamo all’Oriente, alle sue istituzioni, ai suoi costumi, alle sue abitudini ecc., abbiamo sempre a che fare con dei «fatti», ai quali «corrispondono certi fatti della volontà e dell’intelligenza che la filosofia deve ridurre alle leggi elementari dell’ideologia e della psicologia. Essa deve rinvenire ad uno ad uno li anelli della catena morale che trascina le moltitudini volenti nolenti dietro i ferrei interessi dei pochi, sovente pure inconsci e irresponsabili al pari del vulgo. Il genere umano cammina nelle tenebre; appena nello scorso secolo ha potuto intraveder l’idea del progresso; appena in questo secolo ne ha concepito la chiara e viva coscienza; appena comincia a delinearne le leggi. V’è ancora un abisso tra la ragione e i fatti. La filosofia è chiamata a varcarlo; è mestieri ch’ella accetti tutti i problemi del secolo»13. Sarebbe abbastanza agevole indicare nell’opera dello studioso milanese la chiara propensione allo studio e alla conoscenza dei fatti come nuovo metodo in grado di indagare l’uomo e le società umane. Su questo punto, così come sulla connessa centralità del tema dell’incivilimento, è forte l’influenza esercitata da Giandomenico Romagnosi, deciso sostenitore di una filosofia basata sulla effettiva conoscenza delle azioni umane, in grado di coniugare attraverso la storia l’osservazione delle condizioni economiche, fisiche, religiose con le condizioni giuridico-politiche nelle quali vivono e operano i singoli Stati14.

Accanto a questa concezione del “sistema” un altro punto di grande interesse per l’interpretazione cattaneana è l’utilizzazione di una chiave “psicologica-cosmologica-ideologica” in grado di comprendere le forze storiche e creative che appartengono tanto ai popoli orientali quanto a quelli occidentali, e che possono essere più facilmente individuate attraverso il riferimento alle contrapposizioni e alle connessioni, alle antitesi e ai nessi in grado di indicare l’apporto che le civiltà affermatesi nel corso della storia universale hanno dato al progresso dell’umanità. In qualche modo è l’intero edificio teorico della storiografia cattaneana che va misurato a questa prospettiva, in quanto i tre nuclei della sua riflessione, l’individuo, la natura e le società (psicologia, cosmologia e ideologia), sono tra loro intimamente connessi e si pongono alla radice della sua ispirazione storico-universale che, attraversando le diverse dimensioni dell’uomo singolo e dell’uomo associato, dei popoli e delle nazioni, giunge ad una considerazione della «successione continua dei tempi», e dunque dell’umanità intera15. Un percorso strettamente collegato all’idea di una «psicologia delle scienze», vale a dire alla necessità di promuovere una psicologia che si occupi pure delle lingue, delle leggi, delle religioni e delle istituzioni presentandosi così come «un ramo d’una psicologia delle menti associate» contrapposto «alla psicologia della mente individuale e solitaria»16. Infatti , la «scienza dell’uomo interiore» non è mai disgiungibile dall’azione delle «menti associate», di modo che «per apprezzar l’artefice» occorre «studiar le opere», «per conoscer le facultà, ossia le attitudini a fare», conviene «studiar i fatti ch’esse compiono veramente», perlustrando l’intero circuito delle scienze, nelle quali non sussiste alcun primato di una sull’altra e nelle quali sono all’opera le «facultà associate di più individui e di più nazioni»17. Ciò, chiaramente, può avvenire in quanto l’uomo, che è «per istinto di natura un essere socievole»18, utilizzando tutte le sue facoltà per fare, per costruire il proprio mondo, si serve di esse anche per comprenderlo, così che tra le varie parti che compongono la psicologia cattaneana diventano centrali, in riferimento all’ideologia delle genti, l’analisi, la sintesi, l’associazione ma, soprattutto, la «comparazione», che è quell’atto della mente in grado di rilevare «la differenza delle cose», ma anche «la loro identità, eguaglianza e simiglianza»19. Questa categoria, che, come l’associazione, ha una peculiare funzione produttiva - giacché, paragonando tra loro gli oggetti, «la mente acquista un’idea nuova, la quale non poteva venirle offerta dall’uno o dall’altro oggetto separatamente»20 -, è in interrelazione con le altre, tant’è che ha bisogno di «un atto d’analisi», fino a giungere ad un’«analisi comparata» quando il paragone, associandosi ad un’analisi progressiva, si interna «sempre più nelle cose» e penetra «alle singole loro parti, qualità e relazioni»21. La centralità della comparazione è chiaramente espressa nelle battute iniziali delle lezioni sull’Ideologia laddove, dopo aver affermato che questa «è quella parte di filosofia che osserva le leggi colle quali si formano successivamente le nostre idee», vale a dire che «l’ideologia è l’istoria delle idee», si afferma che in essa vi sono idee «communi e costanti in tutti li uomini» e allo stesso tempo idee «diverse e variabili nei singoli uomini e nelle singole società», di modo che, differenziandosi dalla psicologia e dalla logica, l’ideologia «deriva e descrive le idee», dimostra qual è il modo per ascendere da un ordine inferiore ad uno superiore, promuove il continuo sviluppo delle idee e, applicata alla storia, prende il nome di «filosofia della storia». «Essendoché i popoli tendono ad operare come pensano, ossia nelle azioni loro seguono le loro idee, così chi ben considera il modo col quale si succedono le loro idee, viene anche a comprendere il modo con cui si succedono le loro azioni. Perciò l’istoria d’un popolo si trova già delineata e quasi predestinata nel complesso delle sue idee»22. Attraverso la comparazione è possibile, andando in qualche modo oltre la semplice osservazione e descrizione dei fatti, attingere il senso più profondo degli usi e dei costumi, che è poi l’unico modo, secondo Cattaneo, per gettare luce sullo sviluppo della civilizzazione umana superando le analisi ancora interessate alle mere curiosità esotiche o all’astratto erudizionismo.

Come si è accennato i due elementi presi finora in considerazione, vale a dire l’idea di sistema e quella di comparazione, trovano la loro più adeguata sistemazione all’interno della concezione della storia universale. Già nelle Considerazioni sul principio della filosofia (1844) il pensatore milanese aveva sostenuto che dalle storie, che «formano una catena continua di civiltà»23, sono rimasti finora esclusi tre quarti dei popoli della terra, vale a dire tutte quelle nazioni che hanno perso la memoria delle origini così come tutte quelle «genti che rimasero immote nella selvatichezza primitiva o appena superarono i primordi della civiltà. Ora la scienza che non le abbracciasse tutte, potrebbe forse dirsi la scienza dell’incivilimento, ma non quella dell’umanità; giacché codesta medesima costanza nella barbarie è pure un fatto che ha le sue ragioni, e spande la sua parte di lume sull’arcano dell’umana natura»24. Occorre, dunque, distinguere la storia dell’incivilimento, che è la storia dei popoli che hanno partecipato più direttamente allo sviluppo della nostra civiltà, dalla storia dell’umanità25, la sola in grado di comprendere le vicende di tutti i popoli (anche di quelli esclusi dalla storia dell’incivilimento), che vanno indagati senza prescindere da una riflessione intorno alla barbarie e ponendo come presupposto il principio della pari dignità storica e morale dei popoli e degli individui, studiati nella molteplicità dei loro interessi e delle loro azioni, di modo che le società umane possano essere osservate tanto nei loro momenti di espansione quanto in quelli di immobilismo o di decadenza. La storia, infatti, è la scienza capace di scrutare l’umanità nelle sue diverse e più variegate forme: «L’istoria è dunque figlia delle istorie; primachè i fatti vengano dai pensieri, i pensieri vengono dai fatti; i fatti li inspirano alla ragione improvvisamente scossa dal sonno tradizionale. La ragione invariabile non può essere la suprema causa delle variazioni»26. Questa citazione, tratta dalla Prefazione ai Frammenti di storia universale (1846), è utile per mostrare la lontananza dell’intero progetto cattaneano di storia universale da una mera supremazia del fatto, in quanto i principi della storia e della società non sono mai semplici ed uniformi, ma devono prendere in considerazione i momenti di progresso e di regresso e i diversi fattori che li caratterizzano. In tal modo, pur riconoscendo la centralità della concezione secondo cui bisogna porsi alla ricerca dei «fatti» dell’umanità, non bisogna dimenticare che presso alcune nazioni le idee, adeguandosi ai fatti, «si sono fatte sistema», mentre in altre, segnate appunto da una molteplicità di motivi e di principi, la vita è caratterizzata da molteplici forze e dalla necessità di trovare sempre nuovi equilibri. Tuttavia ciò non è del tutto esauriente, in quanto per Cattaneo non va trascurato il fatto, che «le cose presenti [sono] come una continuazione delle passate per effetto della costante natura del genere umano»27, così che per rischiarare ancora meglio quelle antiche origini, e, conseguentemente, per comprendere a pieno il nesso Asia-Europa, occorre anche indagare ciò che avviene nelle Americhe, vale a dire rivolgersi a quelle terre che solo da poco si sono aperte ad un processo di civilizzazione e dov’è possibile ritrovare pressoché intatte le caratteristiche umane originarie: «nella continuità della natura umana l’istoria deve dar luce all’istoria»28.

Nel discorso di Cattaneo non manca mai la piena consapevolezza dello stretto legame tra storia ed etnografia e del dibattito intorno agli studi etno-antropologici e linguistici molto in voga in quel periodo, a conferma, come ha scritto ancora Norberto Bobbio, che, a partire dall’ideologia sociale intendeva gettare nuova luce sulla teoria del progresso, quel tema illuministico che, insieme al problema «dell’arresto del processo o della decadenza e della corruzione delle nazioni, fu l’oggetto costante, ricorrente e in ultima analisi unificante delle sue riflessioni di storico della lingua e dei costumi, delle religioni e delle istituzioni, di economista che insegue nelle innovazioni delle tecniche e delle arti i mutamenti della società, e infine di filosofo che formula, traendole dal divenire dei popoli, le leggi di tendenza della storia e affida alla conoscenza di queste leggi il proprio ufficio di riformatore»29. L’utilizzazione della linguistica, così come lo studio delle influenze politiche e scientifiche dei popoli asiatici su quelli europei, è di fondamentale importanza per mostrare la centralità dell’idea di «civiltà dativa», cioè funzionalmente aperta all’esterno e in grado di spiegare «la multiforme indole del nostro incivilimento»30. Un tema che svela anche quella che si potrebbe definire, utilizzando un argomento che è ritornato attuale ai nostri giorni, l’essenziale caratteristica “meticcia” dell’intera natura umana, giacché, pur non prescindendo da considerazioni circa l’ineguaglianza naturale delle società e dei popoli - ciascuno contrassegnato da caratteri peculiari31 -, Cattaneo li pone sullo stesso piano, suddividendoli non sulla base di una discriminazione razziale o di un giudizio di valore, ma solo di una differenziazione storica fondata dal diverso «facere» umano. E su questo punto Cattaneo è estremamente chiaro: «Il progresso è appunto il mutarsi della tradizione. Gli albori primitivi non danno, senza innesto e per mera forza di tempo altre frondi e altre frutta che non comporti la loro radice. Il primo motivo alla trasformazione progressiva d’una società, ossia d’una tradizione, è il fortuito contatto d’un’altra società. Messe in commercio per qualsiasi modo le due opinioni tendono a riassumersi in qualche compatibile forma, e perdono entrambe la nativa semplicità del concetto»32. Per una prospettiva di storia universale ciò significa concentrarsi sullo studio di «ogni modo d’essere dell’umana natura nei popoli»33, sull’azione che i popoli hanno esercitata reciprocamente l’uno sull’altro, sulle «combinazioni istoriche che provengono dall’incontro delle avventizie influenze e delle native tradizioni», che si mescolano tra loro «nelle istorie dei popoli progressivi, e degli stanziali e dei retrogadi»34.

A me sembra, dunque, che la riflessione cattaneana si innesti originalmente sul solco già tracciato da quelle metodologie vicine all’ideale di una psicologia associazionistica, la quale, rivolgendosi alla ricostruzione degli oggetti attraverso un lavoro di aggregazione e di comparazione dei dati osservati e analizzati, ha avuto un ruolo importante per la nascita di una moderna riflessione etnoantropologica, che si è sviluppata in particolare intorno alla «presa di coscienza problematica di una “differenza”: e precisamente della differenza fra l’Io (o il Noi) e l’Altro»35, e si è interessata dell’uomo associato e delle comunità culturali, dando un contributo importante alla science de l’homme soprattutto in quanto ha esteso i suoi interessi alle discipline limitrofe. Ma va anche messo in luce come la sua concezione, pur accettando implicitamente lo scardinamento dell’idea del primato della tradizione greco-romana ed ebraico-cristiana, non rimanda ad alcun nostalgico vagheggiamento dei mondi orientali, né tanto meno propone una «renaissance orientale»36 che, laddove era stata richiamata, aveva sortito l’effetto di collegare le rivoluzioni politiche e sociali a questioni religiose, mettendo molto spesso in discussione la stessa tradizione occidentale.

Come cartina di tornasole della centralità dell’idea cattaneana di storia universale si possono prendere le considerazioni svolte a partire dal libro di Heinrich Leo, Lehrbuch der Universalgeschichte nel saggio-recensione intitolato Dell’evo antico37, che è un vero e proprio schizzo di una storia universale, del tentativo cioè di avvicinare e ordinare la molteplicità delle memorie storiche «per poterne dominar col pensiero i limiti e le proporzioni»38. Un lavoro, dunque, di tipo materiale originato da un’esigenza più profonda, quella di trovare le «simiglianze» e le «dissimiglianze» storiche, dove in particolare queste ultime mostrano, contro il ricorso vichiano ad «un ordine similare di vicende», che «ogni fatto posteriore suppone e comprende le conseguenze dei fatti anteriori, e quindi abbraccia un numero d’elementi sempre diverso; onde non riesce effetto solitario del tempo e del popolo che lo produce, nè uniforme sviluppo d’un principio spontaneo, ma risultanza complessiva d’innumerevoli reazioni accumulate nel corso universale dei tempi»39. Da questo punto di vista Cattaneo rifiuta esplicitamente l’impostazione di Leo - che lascia al di fuori della sua trattazione i popoli orientali nella loro individualità per considerarli soltanto quando «ciascuno d’essi si mosse dal suo naturale isolamento per prendere parte all’opera comune del genere umano»40 -, perché è impossibile indicare il popolo che è stato «il tronco primitivo» da cui si è sviluppato l’albero dell’umanità, e «l’opera dell’incivilimento ebbe varii primordi presso varie nazioni, si svolse poco a poco dalla sovrapposizione di molte civiltà contemporanee nell’origine loro, e commiste poi dalla guerra e dalla servitù»41.

Risulta, dalle osservazioni che si sono fatte, il carattere “naturaliter” vichiano e storicistico della concezione cattaneana, la quale, mettendo al centro del proprio interesse l’individuo e la natura umana, ne indaga tanto il pensiero quanto l’operare, e definisce la filosofia come filosofia sperimentale, vale a dire una filosofia antimetafisica che, ponendosi sullo stesso piano delle altre scienze, si basa essenzialmente sul «fatto». Ed è interessante notare come l’idea che i popoli e le civiltà consegnate all’immobilismo non conoscono il progresso e l’intelligenza del fare e della volontà umana, implica che anche tra gli Stati non è possibile pensare ad un ordine politico rigido e fisso, giacché laddove questo avvenisse lo Stato sarebbe composto da una parte «retrograda» necessariamente sottomessa a quella «progressiva». Anche per questo, dunque, nell’«Ideologia delle genti», quella che Catteneo, in altro luogo, definisce come «un’ombra di storia universale»42, non vi possono essere modelli normativi fissi di Stato o di società da seguire, ma la storia è intesa come una lunga sequela di avvenimenti, di contrasti, di contraddizioni, di guerre, di commerci che favoriscono l’incivilimento dell’uomo, il quale, proprio come ha insegnato Vico, è l’unico artefice dei fatti della storia, tutti posti sotto la sua tutela e responsabilità e in grado di modificarsi secondo le nuove condizioni che si vengono a creare.

Eppure, pur confermando il quadro teorico che qui si è cercato di delineare, i saggi specificamente dedicati all’Oriente, e già prima citati, permettono di svolgere qualche altra considerazione sull’orientamento politico che traspare dalla sua riflessione.

Innanzitutto si deve accennare al fatto che Cattaneo, avviato agli studi sull’Oriente dal suo professore di liceo Giambattista De Cristoforis43, svolge le sue considerazioni in due fasi distinte della sua vita intellettuale, giacché, come si è oramai imposto nella storiografia cattaneana44, gli avvenimenti del ’48 fanno in qualche modo da cerniera tra il momento di un più distaccato atteggiamento scientifico e quello della matura consapevolezza critica e politica che lo conduce a prendere parte attiva agli eventi di quegli anni. Già il saggio del 1845, Dell’India antica e moderna, sembra presentare in maniera originale il problema dei rapporti tra India ed Europa rispetto a come erano stati impostati, per esempio, da August Wilhelm Schlegel, il quale, in due articoli editi sul «Berliner Kalender» nel 1829 e nel 1831, aveva trattato dell’influenza della cultura indiana sul mondo antico e della riscoperta di quest’ultimo attraverso soprattutto le spedizioni spagnole e portoghesi, che erano state in grado di imprimere una svolta alla storia universale. Come metteva in luce su questo punto Agathon Benary recensendo i lavori schlegeliani45, ciò significava in definitiva fare affidamento su uno spirito di conquista ancora alimentato dall’epopea delle crociate, capace di giustificare la azioni mercantili con l’appello alla cacciata o alla conversione degli infedeli. La questione, secondo Benary, si poteva porre diversamente seguendo il diverso procedere delle conquiste realizzate dai paesi riformatori, come l’Olanda e l’Inghilterra, vale a dire quelle potenze che avevano cercato di promuovere la penetrazione commerciale tenendo conto delle tradizioni locali e non nutrendo l’avversione fanatica verso gli indigeni attribuita alle potenze cattoliche. È evidente che in questa tesi agiva una concezione del progresso nella storia universale collegabile al protestantesimo e su cui era ancora forte l’influenza hegeliana che indicava nello Spirito del Nord, nella scoperta luterana dell’infinita libertà della coscienza soggettiva, la molla dell’incivilimento.

Nel suo saggio Cattaneo mette al centro del confronto tra l’India e l’Europa la constatazione delle due diverse vie intraprese dallo sviluppo civile, la prima segnata dall’impotenza della «mano innovatrice del tempo», l’altra dalla rapida e sicura strada del progresso, dunque da una parte regresso, illibertà, ignoranza, dall’altra progresso, libertà, scienza. Eppure, al di là di questa semplice constatazione, che rientra pienamente nel quadro teorico descritto, l’avvicinamento alla società indiana in una prospettiva antica ed in una moderna mostra lo sforzo di indagare la civiltà di quel popolo nelle sue caratteristiche peculiari, vale a dire tenendo conto delle sue specifiche istituzioni e delle trasformazioni subite, giacché l’intento più generale è quello di indicare l’apporto che ciascuna nazione è riuscito a dare autonomamente alla civiltà. Da questo punto di vista in India, nella terra dove vige «il principio d’una ferrea perpetuità»46, la natura umana non sembra godere delle stesse caratteristiche che si ritrovano nell’uomo europeo, di modo che l’intera società indiana «pare esclusa da quelli che noi riputiamo necessarii destini del genere umano»47. Proprio lo studio delle diverse componenti che stanno alla base della società indiana (da quelle istituzionali a quelle politiche, da quelle sociali a quelle religiose ecc.), se da un lato mostra il contribuito che esse hanno avuto nel determinare il grado di arretratezza dell’intera società, con un particolare riguardo alle caratteristiche religiose e filosofiche che, essendo vero e propri «ostacoli ad ogni progredimento», hanno condannato all’immobilismo l’intero paese, dall’altro consentono a Cattaneo di delineare un ritratto ricco e composito, che prende in esame la varietà degli elementi fisici e di quelli culturali. Ma il punto focale della questione affrontata in quel lavoro del 1845 sta, a mio parere, nell’analisi degli apporti e dei conseguenti mutamenti provocati alla cultura indiana dall’incontro-scontro con gli altri popoli, per cui il centro di gravità del saggio si sposta decisamente sul principio della conquista, vale a dire sui tentativi che si sono succeduti, nel corso dei secoli, di conquistare l’India, e che hanno trovato la loro legittimazione nel fatto che «un ordine di cose che aveva troppo ingiustamente distribuiti i beni e i mali, e aveva abusato la sapienza dei pochi e la potenza medesima delle arti e della poesia per eternare l’ignoranza dei più era destinato a succumbere al primo assalto che una mano deliberata avesse portato alle sue fondamenta»48.

Risulta qui del tutto scontato il riferimento alla teoria della conquista elaborata da August Thierry, autore che Cattaneo ben conosce avendone recensito le opere49. «Se la conquista è il più poderoso strumento per mutare il corso spontaneo delle singole nazioni, lo studio del modo col quale ella si opera, delle cause che la preparano, e dei lontani effetti che ne seguono, diviene una parte principale della dottrina della civiltà»50. E ancora: «Il fatto generatore della moderna civiltà europea è la conquista»51. Ma Cattaneo attribuisce un significato originale al principio della conquista e alla conseguente dialettica tra vincitori e vinti, come si può vedere dalla conclusione della recensione all’opera di Thierry Della conquista d’Inghilterra, dove, dopo aver mostrato gli esiti delle conquiste inglesi, si domanda: «Ma i popoli prodi e ingegnosi la cui nazionalità fu immolata per innalzare il vasto edificio della unità britannica, il cui sangue fu sparso, le cui terre furono rapite, le cui memorie furono perseguite e spente, non ebbero forse giusta causa di dolersi del loro destino? Era necessario tanto male al trionfo della civiltà? Così vorrebbe la dottrina istorica più assoluta. Ma noi ci accostiamo piuttosto a Thierry, e compiangiamo seco tante generazioni rese inutilmente infelici; poichè teniamo per fermo che il male istorico non sia necessario ad operare il progresso, ma bensì che il progresso prevale anche ad onta di tutte le irruzioni e tutti gli attraversamenti del male; e perciò abbiamo caro Thierry, perchè non obliò che la critica, anche nel secolo XIX, è il primo diritto e il primo dovere dell’istoria e della morale. E crediamo che questa via conduca alla più sublime di tutte le arti, a quella per cui l’umana saggezza riflette quasi l’immagine d’una sovrumana provvidenza, l’arte d’aggregare tutte le nazioni al progresso comune, dell’intelligenza, della civiltà, dell’umanità, col minor dispendio di tempo, di tesoro, di fatica e di sangue»52. Questa consapevolezza lo spinge a dire, sempre a proposito del diverso sviluppo tra i paesi orientali e quelli occidentali, che «la suprema delle scienze umane certo sarebbe quella che aspirasse a dimostrare coi fatti di tutte le istorie esservi come un’arte del bene, così anche un’arte del male; e il progresso dell’umanità non essere così spontaneo e vittorioso, come parve a coloro che, per architettare un ordinato sviluppo di cause e d’effetto, tolsero all’uomo la responsabilità e la vigilanza delle sue sorti»53.

Bisogna, dunque, ricercare i principi che sono alla base del processo di incivilimento, tra cui proprio la conquista, intesa in un senso generale che comprende anche le acquisizioni scientifiche e morali, ha un ruolo importante. Dal punto di vista politico Cattaneo, che già nel 1833 aveva accennato al «regime desolatore della conquista»54, pur riconoscendone la funzione modernizzatrice, condanna la politica colonialistica e l’atteggiamento politico dell’Inghilterra, in quanto non si può escludere che gli indiani sarebbero stati capaci di avviare autonomamente un processo di emancipazione. Più veemente è poi la critica all’incapacità degli inglesi a reggere la pubblica amministrazione, come dimostrano gli scarsi risultati che essi hanno ottenuto proprio nelle terre che sono più direttamente sotto il loro controllo, come l’India e l’Irlanda, le quali, pure in posizioni geografiche tanto diverse e con nessuna comunanza di stirpe e di religione, vivono nelle stesse misere condizioni. Ciò è dovuto, secondo Cattaneo, ad una condizione particolare del governo britannico, quella della «transazione d’interessi», in base alla quale il legislatore, essendo «uomo di parte», non si preoccupa di tutelare e rappresentare gli interessi di quelli che non hanno il voto di modo che si produce «un’estrema ineguaglianza di sorti, poiché non v’è mano conciliatrice e paterna chiamata a contemperarle»55.

La riflessione sull’India diventa, quindi, in qualche modo il pretesto per studiare anche le conquiste e valutare gli effetti che si devono attendere dallo scontro tra la civiltà indiana e quella britannica, che poi è il tema già affrontato nel 1842 in Di alcuni stati moderni, dove in questo caso è la Cina a sperare dall’urto con la civiltà europea di trovare l’occasione del suo risveglio, di modo che proprio la dura e decisa azione inglese a favore dei propri interessi economici e politici possa divenire la causa della rinascita di quell’antica terra, realizzando «una gloriosa missione». «Ciò che monta si è che l’intelligenza trovi un campo sul quale dar di cozzo ai sistemi retrogradi e perversi, e sospingere su le vie del progresso in tutte le parti del mondo lo spirito umano»56. Non ci si può soffermare ora sul fatto che per Cattaneo l’espansione mercantile e politica della borghesia europea è non solo un fatto materiale, ma anche e sopratutto un risultato morale, prodotto dall’intelligenza e dalla volontà degli uomini, tuttavia va rilevato che già la riflessione orientalistica antecedente al 1848, implicava un atteggiamento critico verso la politica inglese e auspicava, come si è detto, un processo di liberazione autonomo per l’India57, pronosticando anche che alla potenza inglese sarebbe succeduto un altro dominio proveniente di là dall’Atlantico, di modo che «il dominio dell’India seguirà il dominio dei mari»58. È interessante notare che per Cattaneo il carattere di quella lontana terra è determinato dal «principio del mare», che costituisce la base dei liberi rapporti e della scoperta dell’altro da sé - «L’intelletto, a guisa del mare, deve ristaurarsi e nutrirsi coi liberi tributi di tutta la terra»59-, di modo che, a differenza per esempio di Hegel, il mare diventa rilevante anche per l’Asia, in quanto è grazie ad esso che i popoli possono incontrarsi e scambiarsi reciprocamente le proprie merci, in una sorte di dislocazione del potere dalla terra al mare il cui simbolo centrale è rappresentato dall’Inghilterra. Infatti, come si mette in luce a proposito della Cina, quest’antica terra è stata conquistata nel corso della sua storia solo due volte, ed entrambe per via di terra e da popoli barbari, mentre l’incontro con le genti civili può avvenire solo attraverso il mare e con popoli che ne hanno il predominio. A questo punto però non può sfuggire almeno un accenno ad un tema che merita un ulteriore approfondimento, in quanto il discorso fin qui fatto porta a dire che si possono indicare almeno tre principi che, per Cattaneo, sono chiaramente alla base del processo dell’incivilimento, quello della conquista, quello del mare e quello «della livellazione». Quest’ultimo è accennato dallo stesso Cattaneo in una lettera del 18 agosto 1840 a Opprandino Arrivabene, dove scrive «Già si sa che le strade ferrate si fondano sul principio della livellazione; il quale è un principio antico del mondo, e che fin dai primi tempi ebbe molta parte nella propagazione del genere umano, ed anche dell’incivilimento, essendochè, come scoperse Vico, l’istoria cominciò colle giuste nozze, cioè coi letti ben fatti, che sono poi un’applicazione del principio dei livelli»60.

Diverso ci appare il contesto quando, agli inizi degli anni ’60, Cattaneo ritorna ad occuparsi dell’Oriente in una serie di lavori che, pur presentandosi in continuità con la riflessione fin qui svolta, mostrano interessanti elementi di novità. Innanzitutto compare, a mio parere, una valutazione più preoccupata circa quello che oramai gli sembra l’ineluttabile scontro tra le due forme di civiltà: «Ma l’espansione della nostra civiltà divenne sì prepotente e imperiosa, che un conflitto fra i due sistemi dell’occidente e dell’oriente è indeclinabile e fatale. O per forza di commercio, o per forza d’armi, o per entrambe, tutto l’ordine del pensare e del vivere deve colà necessariamente rinnovarsi»61. In secondo luogo, pur rimanendo inalterate le valutazioni critiche sull’espansionismo dei popoli europei, l’interesse di Cattaneo si rivolge più esplicitamente al confronto con l’Italia e con la situazione politica europea. Occorre dire che già nel saggio del 1845 non aveva mancato di paragonare l’India alla penisola italiana, ma si era limitato a mostrare le consonanze geografiche e fisiche e non si era spinto ad indicare gli effetti di quel confronto dal punto di vista politico e culturale. Ora, invece, affermando in un contesto più generale che «l’indipendenza dello stato non è ancora la libertà del cittadino»62, osserva che i popoli orientali mostrano «ciò che sarebbe l’Europa, se la reazione fosse mai riuscita a incatenare il genio del progresso e della libertà», e questo perché «l’Asia orientale, al paragone dell’Europa, è come la sterile e inane unità bizantina al paragone della Grecia libera e feconda, della Grecia combattente e pensante, invincibile ai barbari anche nelle improvvide sue discordie e aperta a tutte le ispirazioni del genio»63. Anche l’Italia, che ha appena raggiunto l’unità, deve evitare il rischio di essere ingannata e alla fine di nuovo conquistata da qualche potenza straniera, per cui deve guardare a quelle lontane e antiche terre come a un monito, giacché, come mostra la Cina, vi è sempre la speranza di scuotersi dal giogo barbaro interno, ma non manca la minaccia di soccombere a quello «imposto a nome delle civiltà e del fraterno commercio dei popoli»64. «Quando vediamo i tre più grandi governi d’Europa intrudersi nella China e nelle vicine regioni, con quelle medesime arti, di ambasciatori armati, di mercanti conquistatori, di soldati rapaci e di turbolenti missionari, colle quali vennero spogliati e avviliti cento e più millioni d’uomini nell’India; quando li vediamo apportare sempre nuove insidie e nuove ferite al diritto delle genti in Oriente, poca fiducia possiamo concepire nei destini di quelle nazioni dell’Occidente che dovessero mai rassegnarsi alla giustizia e all’umanità dei potenti»65.

Di rilievo è poi la valutazione che viene espressa ora della Cina, la quale è riconosciuta come una terra cha ha «la coscienza d’esser nazione», in quanto geograficamente e linguisticamente unita, che ha elaborato autonome e raffinate forme di cultura, che ha un’idea alta del dovere (ma non di quella del diritto) e della tolleranza, che conosce l’«eguaglianza originaria» tra tutti gli uomini (sconosciuta alle caste indiane così come all’Europa), che è stata in grado di svilupparsi e di propagarsi economicamente e demograficamente, ma che, tuttavia, non si è mai emancipata dal suo principio, giacché «non si trovò mai in prossimo contatto con altri sistemi d’idee»66. Da questo quadro deriva che la Cina perde il carattere stereotipato dell’immobilismo ed è, invece, vista come «in continua agitazione» e «progressiva»67, con «una civiltà tutta propria», che conosce l’indipendenza dello Stato, ma che conferma il suo limite nel non aver mai provato il significato della «libertà del cittadino», vale a dire quegli impulsi alla libertà che stanno alla base e rinnovano continuamente la vita civile in Europa. Per questo tutti popoli asiatici sono ora accomunati dal fatto di vivere «una vita antica, imposta dall’autorità del passato», che potrebbe divenire un pericolo anche per i popoli europei, di modo che anche per l’Oriente si impone il problema di una rinascita e di un risveglio politico, sociale e culturale, maggiormente alimentato proprio dal confronto con i paesi occidentali dai quali avrebbero dovute trarre le energie positive per svilupparsi e progredire. Tutte valutazioni che, va ricordato, sono espresse proprio in un periodo in cui, in particolare dopo il trattato di Pechino (1860), si poneva la Cina in balia delle potenze straniere, e dunque si proclamava la vittoria della civiltà europea sulla “barbarie” orientale, la massima espansione delle forme di occidentalizzazione a cui corrispondeva, da parte delle classi dominanti cinesi, una arrendevole politica di dipendenza dall’Occidente che consentiva almeno di lasciare intatto il loro potere, messo in crisi dalla formidabile rivolta dei T’ai-p’ing (1850-1866).

Sono elementi che occorre tenere presenti anche per cogliere il significato dell’interpretazione cattaneana, a cui evidentemente non sfugge il contrasto in atto nella società cinese e i rischi collegati alla politica aggressiva e colonizzatrice delle potenze europee. Anche per questo, dunque, il confronto con quell’impero serve soprattutto per mostrare al popolo italiano i pericoli che minacciano ancora la libertà da poco conquistata, così che, dopo aver ripetuto nel corso del lavoro per tre volte: «Tutto come in Occidente» - e più precisamente per condannare l’intolleranza nella Cina del III secolo a.C., per criticare l’accentramento di ogni forma di potere e, infine, per criticare il sapere di tipo dogmatico -, può chiudere il saggio attaccando l’isolazionismo culturale cinese e la xenofobia verso le altre civiltà, che hanno escluso l’intera nazione dal consesso internazionale e impedito una vera emancipazione. Da qui la nota affermazione: «Tutto come in Oriente. Siamo Chinesi a nostro modo anche noi»68.

Come si può notare, pur all’interno di una tonalità politica che tende a discostarsi dagli scritti precedenti, la prospettiva di fondo rimane quella del rispecchiamento di Oriente e Occidente69, dell’allargamento ad un’indagine che studi le origini delle nazioni e lo sviluppo della civilizzazione, che tenga presente la compresenza di elementi nativi e dativi, che valuti politicamente l’innesto, che sembra irrinunciabile, della cultura europea su quella orientale, ma pur sempre nella consapevolezza, più volte ribadita, che l’Oriente è stato la culla della nostra civiltà, e che non è possibile pensare la barbarie come qualcosa collegata ad una stirpe o ad una religione. «Noi onoriamo in tutti i popoli la natura umana e non crediamo che alcuno di essi debba avere per suprema sua speranza il despotismo»70. E il dispotismo va condannato e combattuto in qualunque sua forma e presso qualunque popolo o civiltà, di modo che ciascuno possa divenire padrone nella sua terra e libero da qualunque tipo di vincolo politico e religioso. Infatti, «la piaga delle conquiste è un misfatto», e tutta l’Asia va ringiovanita e rimodernata «non col rimescolare dalle antiche fecce il maomettismo o il bramismo o il buddismo o quante altre teologie tengono schiavi il genere umano; non col fare cento versicolori riforme, che sarebbero infine cento imposture; ma col dire a tutti i popoli la sola e unica e identica verità. Poiché, grazie a Dio, non vi sono due matematiche, né due geografie, né due chimiche»71.

Referências

C. Cattaneo, Ideologia, in Id., , Scritti filosofici, a cura di N. Bobbio, Firenze, 1960, vol. III, p. 168 [ Links ]

C. Cattaneo, Dell’evo antico (1840), in ibid., vol. I, p. 127. [ Links ]

N. Bobbio, Una filosofia militante. Studi su Carlo Cattaneo, Torino, 1971, pp. 112 [ Links ]

1Si pubblica la relazione tenuta al convegno internazionale, svoltosi a Napoli dal 10 al 12 novembre 2005, «Vico e l’Oriente. Cina, Giappone, Corea». La linea di questo lavoro è stata ripresa e notevolmente ampliata in un saggio pubblicato nell’«Archivio di storia della cultura», XIX, 2006, pp. 43-71, con il titolo L’idea di Oriente in Carlo Cattaneo.

2A proposito dell’eredità del pensiero di Locke cfr. S. Moravia, La scienza dell’uomo nel Settecento, Bari, 1978, p. 21 d

3C. Cattaneo, Ideologia, in Id., , Scritti filosofici, a cura di N. Bobbio, Firenze, 1960, vol. III, p. 168.

4Cfr. N. Bobbio, Introduzione a C. Cattaneo, Scritti filosofici, cit., in part. pp. XLVIIXLVIII e sgg. Di Bobbio cfr. Una filosofia militante. Studi su Carlo Cattaneo, Torino, 1971.

5C. Cattaneo, Giornali nell’India, in «Bollettino di notizie statistiche ed economiche, di invenzioni e scoperte italiane e straniere», 1833, poi ristampato in Id., Scritti politici, a cura di M. Boneschi, Firenze, Le Monnier, 1964, vol. I, pp..., dove sosteneva che i progressi che l’India stava compiendo in quegli anni erano da attribuire alla libertà di stampa da poco raggiunta.

6In «Rivista europea», marzo-aprile 1845, pp. 320-362, poi in Scritti storici e geografici, a cura di G. Salvemini e E. Sestan, Firenze, 1957, vol. II, pp. 17-78.

7Cfr. «Il Politecnico», XI (1860), pp. 86-100 e poi, con il titolo Il Giappone antico e moderno, in Scritti storici e geografici, cit., vol. III, pp. 61-81.

8Cfr. «Il Politecnico», X (1861), poi raccolto in Scritti storici e geografici, cit., vol. III, pp. 130-165.

9C. Cattaneo, Dell’evo antico (1840), in ibid., vol. I, p. 127.

10Id., Psicologia delle menti associate, in ibid., vol. I, p. 422.

11Id., Ideologia, in Scritti filosofici, cit., vol. III, p. 94.

12Id., Su la «Scienza nuova» di Vico, in ibid, vol. I., p. 98.

13Id., Un invito alli amatori della filosofia (1857), in ibid., vol. I, p. 347.

14Dunque studio dell’uomo di fatto, scevro da qualsiasi sfumatura metafisica, indagato attraverso le sue attività e le sue leggi, e posto all’interno dell’ambito storico e sociale nel quale gli uomini vivono in una sostanziale eguaglianza, senza formare alcun popolo che ha una superiorità sugli altri.

15C. Cattaneo, Psicologia, in Id., Scritti filosofici, cit., vol. II, p. 127.

16Id., Psicologia delle menti associate, cit., p. 416.

17Ibid., pp. 413-414. «È dunque una necessità della costruzione scientifica ch’essa surga nel seno d’una società, anzi di molte società dimodoché al mancar dell’una per qualche avversità l’opera possa venir continuata da un’altra» (p. 414).

18Ibid., p. 414. Cfr. anche Id., Del diritto e della morale, in Scritti filosofici, cit., vol. III, p. 337: «L’uomo dunque è sociale per natura e non per patto o istituzione».

19C. Cattaneo, Psicologia, cit., vol. II, p. 204.

20Id., Psicologia, cit., vol. II, p. 204.

21Ibid., p. 206.

22Id., Cattaneo, Ideologia, cit., pp. 279-282

23Id., Considerazioni sul principio della filosofia, cit., p. 152.

24Ibid., pp. 152-153.

25Cfr. L. Ambrosoli, Introduzione, cit., p. CXXX.

26C. Cattaneo, Frammenti d’istoria universale. Prefazione, in Id., Scritti storici e geografici, cit., vol. II, p. 113 (pubblicato come “Prefazione” al II volume Alcuni scritti, Milano, Borroni e Scotti, 1846, destinato a raccogliere gli scritti storici, mentre il primo volume gli scritti letterari).

27Ibid.

28C. Cattaneo, Frammenti d’istoria universale. Prefazione, cit., p. 101.

29N. Bobbio, Una filosofia militante. Studi su Carlo Cattaneo, Torino, 1971, pp. 112 sgg.

30C. Cattaneo, Frammenti d’istoria universale. Prefazione, cit., p. 111.

31Cfr. Id., Il «Kosmos» di Alessandro di Humboldt, in Scritti filosofici, cit. vol. I, pp. 171-227

32C. Cattaneo, Frammenti d’istoria universale. Prefazione, cit., p. 112.

33Ibid., p. 116.

34Ibid., p. 120.

35S. Moravia, La scienza dell’uomo nel Settecento, cit., p. 169.

36Di «renaissance orientale» parla E. Quinet, Le génie des religions (1841), in Id., Œuvres Complètes, Paris, 1857, p. 74.

37Id., Dell’evo antico (1840), in Id., Scritti storici e geografici, cit., vol. I. pp. 125-187.

38Ibid., p. 126.

39Ibid.

40Ibid., p. 128.

41Ibid., p. 129.

42Cfr. Epistolario di Carlo Cattaneo, raccolto e annotato da R. Caddeo, Firenze, 1956, vol. IV, p. 115.

43Cfr. E. Sestan, Cattaneo giovane, in Europa settecentesca e altri saggi, Milano-Napoli, 1951, pp. 209 e sgg. e L. Ambrosoli, La formazione di C. Cattaneo, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960; G. Armani, Carlo Cattaneo. Una biografia, Milano, 1997. Scrivendo intorno al libro di G. Gutierrez, Il capitano De Cristoforis (Milano, 1860), figlio del citato Giambattista, Cattaneo scrive: «non possiamo obliare di avere a diciassette anni udite nel Liceo le lezioni d’istoria di Giambattista De Cristoforis; e d’avervi per la prima volta aperto la mente all’idea del medio evo e del vasto mondo asiatico e ad altre fonti escluse dal circolo degli antichi studii» (C. Cattaneo, Il Capitano De Cristoforis, in Id., Scritti storici e geografici, cit., vol. III, p. 51).

44F. Della Peruta, Carlo Cattaneo politico, Milano, 2001.

45È utile a questo riguardo leggere la recensione di A. Benary ai saggi schlegeliani prima richiamati pubblicata nel 1831 negli «Jahrbücher für wissenschaftliche Kritik»; cfr. A. Benary, Recensione a A. W. Schlegel, Über die Zunahme und den gegenwärtigen Stand unserer Kenntnisse von Indien, in G. Bonacina, La scuola hegeliana e gli «Annali per la critica scientifica» (1827-1831). Testi commenti indici, Milano, 1997, pp. 589-614.

46I due principali scritti orientalistici di Cattaneo, più volte editi in varie raccolte, che qui si prendono in considerazione, quello sull’India e quello sulla Cina, sono qui citati dal volume C. Cattaneo, India Messico Cina, a cura di G. Ferrata, Milano, 1942 (Dell’India antica e moderna, pp. 21-107, La China antica e moderna, pp. 161-210). Le citazioni nel testo si riferiscono a Dell’India antica e moderna, pp. 2122 (anche in Id., Scritti storici e geografici, cit., vol. II, p. 18).

47C. Cattaneo, Dell’India antica e moderna, cit., p. 22.

48Id., Dell’India antica e moderna, cit., p. 57. Ed è interessante notare come in questo caso proprio la richiamata condizione di immobilismo politico e sociale dell’intera società indiana se sembra impedire, nonostante il riconoscimento di una loro sostanziale diversità, l’affermarsi al suo interno di uno scontro di classi, non impedisce l’urto esterno con altri popoli.

49Cfr. Id., Della conquista d’Inghilterra per Normanni (1839), in Scritti storici e geografici, cit., vol. I, pp. 63-124 e Id., Della formazione e del progresso del Terzo Stato (1854), in ibid., vol. II, pp. 338-354

50Id., Della conquista d’Inghilterra per Normanni, cit., p. 69.

51Id., Della formazione e del progresso del Terzo Stato, cit., p. 341.

52Della conquista d’Inghilterra per Normanni, cit., pp. 123-124.

53Dell’India antica e moderna, cit., p. 22.

54Altre notizie interessanti sull’India, in Scritti politici, cit., vol. I, p. 8.

55Dell’India antica e moderna, p. 94.

56Di alcuni stati moderni, in Scritti storici e geografici, cit., vol. I, p. 265.

57Cfr. Dell’India antica e moderna, cit.

58Dell’India antica e moderna, cit., p. 100.

59Citato da L. Ambrosoli, Introduzione, cit., p. XCVII.

60C. Cattaneo, Lettere 1821-1869, a cura di C.G. Lacaita, Milano, 2003, p. 24.

61Il Giappone antico e moderno, in Scritti storici e geografici, cit., vol. III, p. 62.

62Ibid., p. 61.

63Ibid., p. 62.

64Id., La China antica e moderna, cit., p. 161.

65Ibid.

66Ibid., p. 205.

67Ibid., p. 207; diversamente da Herder che, ricorda Cattaneo, le negò proprio «il genio inventivo e progressivo» (ibid., p. 208).

68Ibid., p. 210.

69Sul tema cfr. V. P. Gastaldi, Lo specchio della storia, in Carlo Cattaneo e il Politecnico, a cura di A. Colombo (et alii), Milano, 1993, pp. 59-87. «I popoli devono farsi continuo specchio fra loro, perché gl’interessi della civiltà sono solidarj e communi, perché la scienza è una, l’arte è una, la gloria è una» (C. Cattaneo, Prefazione al vol. II del «Politecnico» (1839), in Id., Il «Politecnico» 1839-1844, cit., vol. I, p. 320).

70C. Cattaneo, Asia Minore e Siria, in Scritti storici e geografici, cit., vol. III, p. 90.

71Ibid., pp. 94-95.

Received: April 16, 2007; Accepted: June 20, 2007

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