Premessa
Il contributo prende le mosse dall’intento di gettare nuova luce sulla speciale azione dello Stato italiano per rispondere al fenomeno sociale dell’emigrazione all’affacciarsi del XX secolo, “tale da richiedere provvedimenti d’indole giuridico-sociale, atti a regolarlo, guidarlo e proteggerlo efficacemente”, specialmente portando fuori dall’ombra una pagina piuttosto trascurata dalla storiografia interessata alle politiche educative statali per l’emigrazione. Come rilevava Ambrosoli (1995), il problema dell’istruzione degli emigranti nel suolo nazionale, prima quindi di abbracciare l’esodo, resta a distanza di tempo ancora un varco poco sondato dalla storiografia dell’educazione.
Le traiettorie del lavoro riguardano l’analisi delle scelte e strategie che investirono il Paese dinanzi alla scottante questione sociale dell’emigrazione al giro di boa del nuovo secolo e l’approfondimento, in particolare, del versante d’impegno speso per garantire la tutela e la protezione dell’ondata migratoria attraverso l’azione quasi trentennale del Commissariato Generale dell’Emigrazione, che considerava elemento centrale della propria politica “il miglioramento intellettuale e tecnico del lavoratore che espatria costretto dalla forza ferrea dei motivi economici” (CGE,1924b, p. 7). Tra le ragioni che si frapponevano a tali finalità si collocavano le condizioni di ignoranza e miseria degli adulti emigranti in partenza: la difficoltà di un dirozzamento delle masse migratrici era strettamente collegata all’accentuata carenza numerica e di preparazione di un corpo dei maestri italiani cui affidare tale compito. Si esamineranno quindi le soluzioni maturate nel tornante cruciale del primo decennio novecentesco, che vanno nella direzione di coniugare le iniziative per combattere l’analfabetismo del popolo con quelle destinate specificamente agli emigranti facendo leva sull’azione mediatrice dei maestri, provando a mettere a fuoco il ruolo di alcuni protagonisti della scena politica, sociale, culturale di tale stagione. Di qui discende poi uno sguardo mirato ad un anello non sufficientemente noto del circuito alfabeto, emigrazione e maestri, oggetto di recenti riflessioni (ASCENZI et al, 2019), vale a dire quello di una specifica manualistica destinata ai maestri per l’emigrazione, i cui contorni sono restati piuttosto fin qui indistinti negli studi interessati alla circolazione dei libri scolastici, di preparazione e formazione dell’emigrante in partenza.
Quale era il compito del maestro speciale dell’emigrante?In che maniera la preparazione dei maestri si innescava tra le esigenze espresse dalla politica e dall’associazionismo di primo Novecento?Quale cultura magistrale veniva favorita negli insegnanti destinati a farsi i migliori propagatori di una “coscienza dell’emigrazione” nell’opinione pubblica e nelle masse popolari emigranti?Si proverà a dare alcune risposte a tali quesiti privilegiando i contenuti, l’orientamento, le finalità rintracciate in alcuni manuali d’istruzione ad uso dei maestri apparsi nei primi venticinque anni del Novecento e provando a bilanciare l’attenzione ai libri per chi si accingeva a lasciare il suolo patrio con quella ai testi, spesso ibridi, rivolti specificamente al maestro degli emigranti. Il contributo dedica, in tal senso, un supplemento di attenzione al segmento di testi pubblicati per la preparazione “tutta speciale” - politica, culturale e didattica -, dei maestri dell’emigrazione, nei corsi aperti per la loro formazione (D’ALESSIO, 2019). Il piano, quindi, di una cultura magistrale specializzata per chi era chiamato a preparare gli emigranti consente di aggiungere un ulteriore tassello al mosaico degli studi sulla professione docente italiana, negli aspetti concernenti i circuiti di formazione e reclutamento dei maestri, insieme alla messa a fuoco di alcuni specifici “ferri didattici” approntati dall’industria editoriale e alla percezione del delicato e complesso compito educativo loro affidato, in alcuni cruciali frangenti di emergenza sociale in Italia.
1. La “speciale azione dello Stato” italiano nelle politiche migratorie del primo Novecento
Malgrado quello che è stato saluto da alcuni studiosi come il suo difetto di nascita, il Commissariato Generale dell’Emigrazione, un ufficio speciale per la tutela degli emigranti che aveva il vantaggio di unificare i servizi fino a quel momento organizzati sotto diversi ministeri (della Marina, dell’Interno e degli Esteri), pur nella contrastata vita dei reciproci rapporti, nacque a seguito di una legge che appariva come una “soluzione di compromesso tra i progetti d’iniziativa governativa e parlamentare” (OSTUNI, 2001, p. 312) e fino alla sua cessazione nel 1927 (quando fu data vita alla Direzione Generale degli Italiani all’Estero) rappresentò un passaggio nevralgico nelle politiche italiane sull’emigrazione. Il testo normativo del 31 gennaio 1901, n. 23 (BODIO, 1902) rappresentava, infatti, l’esito e il momento di coagulo di posizioni politiche contrapposte che attraverso una vivace dibattito parlamentare avevano riconosciuto l’esigenza di commutare l’atteggiamento legislativo sancito dai provvedimenti emanati tra il 1868 e il 18881, di esclusivo controllo di polizia sul fenomeno migratorio, in una nuova stagione di attenzione e tutela dei flussi che si andavano a ingrossare in uscita dall’Italia, per più ordini di ragioni. Infatti:
Il Commissariato, costituito come sommo moderatore dell’emigrazione italiana, ebbe un compito vastissimo, quale era il sopraintendere e vigilare all’attuazione di tutte le provvidenze statuite dalla nuova legge promulgata il 31 gennaio 1901. Questa [...] operò una innovazione radicale nello ordinamento dell’attività dello Stato verso il complesso fenomeno dell’emigrazione (CGE, 1924a, p. 12).
L’organizzazione del Commissariato si reggeva su un suo Ufficio Centrale che fissava le linee della politica dell’emigrazione e al tempo stesso vigilava che a questa venisse data piena applicazione, in osservanza delle leggi e dei regolamenti, in ciò affiancato da un organo consultivo, il Consiglio Superiore della Emigrazione composto da 30 membri; sugli Uffici esecutivi dipendenti nel Regno; e sugli Uffici esecutivi all’estero. Le vaste funzioni svolte dal Commissariato erano riferite al Servizio I degli Affari generali, al Servizio II degli Affari all’Interno e dei Trasporti degli emigranti, al Servizio III riguardante gli Affari e il collocamento all’estero degli emigranti. Tra le molteplici attività di natura istituzionale svolte dall’Ufficio centrale rientrava anche la pubblicazione mensile e la diffusione del Bollettino della emigrazione (che conteneva studi e ricerche, con rassegne di legislazione straniera e notizie varie sui mercati esteri ed altri atti ufficiali), insieme alla distribuzione gratuita di guide, manuali e avvertenze d’informazione per gli emigranti sui paesi stranieri e su tutto quanto potesse risultare utile a chi si accingesse a partire (D’ALESSIO, 2021). Varie e onerose furono pertanto le funzioni di “utilità nazionale” condotte dal Commissariato per garantire la tutela e l’assistenza dell’emigrante, a cominciare dalla sua valorizzazione in patria e fuori dai suoi confini.
La legge del 1901, infatti, fu la prima legge organica sull’emigrazione che assicurando una unità d’indirizzo diede risposte significative, sia nel suo carattere eminentemente sociale ed economico, che nel porre con evidenza il problema dell’emigrazione alla stessa stregua di altri problemi d’indole internazionale (RABBENO, 1901). Stabiliva in effetti una forma d’ingerenza e di protezione dello Stato prima della partenza, durante il viaggio e dopo l’arrivo dell’emigrante. Infatti, secondo le parole nel 1902 del primo Commissario Generale Luigi Bodio2
la legge nuova italiana intende esercitare la protezione degli emigranti nelle diverse fasi del movimento, e cioè nei comuni di origine, nei porti d’imbarco, a bordo dei vapori che fanno la traversata dell’Oceano e finalmente nei paesi di destinazione (BODIO, 1902, p. 11).
Riconoscendo il principio della libertà dell’emigrazione, si prefiggeva di assicurare in primo luogo una tutela della singola persona, che andava poi a riflettersi sugli interessi della patria di appartenenza. Come evidenziato dagli studi sul fenomeno migratorio (BEVILACQUA, DE CLEMENTI, FRANZINA, 2001; BONIFAZI, 2013), si passò da una politica negativa di tutela personale (nella repressione di situazioni di illecito e inganno degli intermediari) a una politica positiva di protezione pubblica del fenomeno migratorio non più e non solo di tipo individuale, ma collettivo: “nella progressiva ricerca di mezzi atti a facilitare il collocamento all’estero di operai e coloni, in maniera da far coincidere l’interesse della massa degli emigranti con il superiore interesse dell’economia e dei bisogni nazionali” (CGE,1924b, p. 35). Non c’è dubbio, riprendendo le riflessioni di Bevilacqua, che tale caratteristica dell’emigrazione “come forma di impresa da lavoro conobbe la sua massima espressione soprattutto nel primo quindicennio del Novecento ed ebbe come protagonisti prevalenti i contadini del Sud” (BEVILACQUA, 2001, p. 129).
Nello spettro degli interventi statali, un ruolo portante, quindi, fu esercitato dal nuovo organo governativo del Commissariato Generale dell’Emigrazione3 che interessò la sua azione a tre piani principali di valorizzazione dell’emigrante4: l’alfabetizzazione di base e la preparazione culturale e morale degli emigranti, in patria; la formazione professionale e le iniziative per favorire il collocamento degli emigranti, all’estero; la specializzazione dei maestri degli emigranti (CGE, 1924a, p. 36).
2.Alfabeto, emigrazione e maestri
L’azione dello Stato nella preparazione degli emigranti costituisce un versante privilegiato d’intervento manifestatosi in alcune iniziative maggiori, lungo i primi due decenni del Novecento. Oltre, infatti, ad assicurare una tutela “estrinseca” all’emigrante attraverso i suoi organi di protezione e difesa, tale orientamento confluì nella consapevolezza maturata nella discussione pubblica intorno al tema, di una forma di “autotutela intrinseca” dell’emigrante, che non poteva prescindere dalla preparazione culturale e professionale degli espatriati (DI FRATTA, 1912). Si vuole, infatti, che
l’emigrante abbia egli stesso gli elementi onde la sua determinazione di lasciare la Patria per l’estero sia ragionata e ben meditata [...]. Bisogna, poi, che egli abbia nozioni, quanto meno rudimentali è possibile, su tutto ciò che si riferisce all’atto importantissimo che ha in animo di compiere; che sappia su quali aiuti e soccorsi possa fare assegnamento in Patria, durante il viaggio e all’estero, per superare gli ostacoli che può incontrare e per sbrigare tutte le pratiche che gli può occorrere di dover risolvere (CGE, 1924a, p. 37).
Dalla constatazione della differenza nella distribuzione anche in materia di assistenza ai migranti (COLETTI, 1912) tra le zone del Nord e quelle del Sud “dove è il deserto” derivava la necessità di disciplinare l’istruzione degli emigranti soprattutto provenienti dalle zone rurali del Mezzogiorno: malgrado nel 1910 sia il Meridione a dare il maggior contributo all’emigrazione (con una percentuale del 46,6%) e si possa dire che quindi l’emigrazione sia un fenomeno eminentemente meridionale (SORI, 1979), mancavano tutti i mezzi previsti dalla legge a favore dello stesso. Di qui l’azione richiesta allo Stato di una più larga diffusione della cultura e di un rafforzamento della scuola popolare nelle pratiche finalità, tra cui per l’appunto la preparazione dell’emigrante. Come argomentato a chiare lettere da Angiolo Cabrini (Milano 1869-Roma 1937), militante socialista deputato dal 1900 al 1919 fortemente interessato al tema dell’istruzione degli emigranti, un ruolo di primo piano per districare i nodi spinosi di tali questioni non può che essere svolto dai maestri. Tuttavia, nella constatazione evidente dell’assenza di una loro specifica esperienza formativa, “è dunque alla preparazione del maestro che bisogna provvedere innanzitutto” (CABRINI, 1911, p. 12), secondo quanto aveva già espresso nel 1909 la Commissione Centrale del Mezzogiorno rivolgendosi al Ministero della Pubblica Istruzione al fine di aprire nuove scuole per gli emigranti, allo scopo di combattere “il difetto d’istruzione” degli stessi in Italia. Di qui la decisione del ministro Credaro di nominare una Commissione per la formulazione del programma delle Scuole per gli emigranti deliberate dalla Centrale. Si propone che la preparazione del maestro di scuola popolare nell’insegnamento agli emigranti sia perseguita in tre forme principali: la scuola normale maschile e femminile, con lezioni sull’emigrazione e sull’istruzione degli emigranti da svolgersi nell’ultimo anno di corso; la scuola pedagogica e i corsi estivo-autunnali intesi a sviluppare e rinnovare la cultura del maestro; i corsi speciali magistrali sull’emigrazione.
In concreto, il piano iniziale d’intervento fu sviluppato attraverso l’apertura di nuove scuole per i Comuni del Mezzogiorno con il maggior contingente di emigrati che, nel 1904, insieme alle 3.000 scuole serali e festive per adulti volute dalla legge Orlando del 1904, portò alla creazione di altre 450 scuole, grazie al contributo di L. 50.000 del Commissariato in aggiunta a quelle del Ministero della Pubblica Istruzione: allo scopo di assicurare una remunerazione straordinaria ai maestri elementari per le lezioni serali e domenicali agli adulti analfabeti, nei centri di più ampie correnti migratorie (GALLO, 2016). Pertanto apparve chiaro che la questione dell’istruzione degli emigranti andasse ad innestarsi in quella generale dell’istruzione delle masse popolari analfabete, portando a soluzioni apprezzabili, ma non del tutto adeguate (basti pensare che nel 1910 presso il CGE erano occupati solo quattro addetti). In questo primo frangente un ruolo trascinatore è condotto dalle associazioni private: tra esse un posto di primo piano riveste la Società Umanitaria di Milano (DELLA CAMPA, 2003) che, animata da personalità centrali di questa stagione, tra cui lo stesso Angelo Cabrini, operò attivamente nelle regioni settentrionali, di primo slancio nelle correnti migratorie di fine Ottocento, insieme alle altre società inserite nel tessuto del Centro e del Mezzogiorno d’Italia, tra cui l’ANIMI (D’ALESSIO, 2020), ente poi delegato nel 1921 a contrastare l’analfabetismo nelle regioni della Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna e il Consorzio Emigrazione e Lavoro, nato nel 1916, per le regioni della Puglia e dell’Abruzzo-Molise (BARAUSSE, 2018). L’intervento invece dello Stato, per rendere l’emigrante istruito nelle vicende che tra fine Ottocento ed età giolittiana videro emigrazione e analfabetismo “intrecciati in un contesto che richiedeva interventi radicali” (AMBROSOLI, 1995, p. 73), fu diretto all’apertura di alcuni corsi magistrali sull’emigrazione destinati alla formazione specifica dei maestri delle scuole per chi si avviasse all’estero. Si manifesta dapprima, quindi, un solerte intervento speso dalle associazioni private e dagli enti di assistenza religiosa e laica, sul cui esempio si aggiunge in via speculare quello statale: nella comune direzione di offrire su un doppio binario soluzioni rispondenti all’emergenza sociale, culturale ed economica che l’ondata migratoria aveva determinato, nella sua portata torrenziale verso l’estero.
3. L’istruzione degli emigranti e l’opera dei maestri
Nella relazione di Camillo Corradini presentata al secondo Congresso degli italiani all’estero svoltosi nel 1911 si rintracciano alcune considerazioni significative “dei modi più efficaci per provvedere alla istruzione e alla educazione delle masse emigratrici prima dell’imbarco”, argomento che per l’appunto costituiva il quarto tema in discussione nella settima sezione (CORRADINI, 1911). In particolare, Corradini insiste fortemente sul compito del maestro che, oltre a seguire le linee fondamentali del programma proposto, articolato su tre piani, mostri la capacità di svolgere attraverso lezioni orali che si risolvano in chiare e distese conversazioni un tema che percorreva in modo trasversale tutti gli insegnamenti proposti: infatti,
è dovere del maestro il trasfondere, vivo e sincero, nel cuore degli emigranti il sentimento dell’italianità, affinché con coscienza e con dignità il nostro lavoratore, anche in terra straniera, avverta e dimostri quel legame ideale, che filialmente lo stringe alla patria (CORRADINI, 1911, p. 30)5.
Per coltivare tale sentimento il maestro dovrà ricorrere, più che a specifiche lezioni, al tono persuasivo della sua voce “amica e autorevole” nel rievocare attraverso il racconto le glorie passate del popolo italiano, le sue figure illustri e trasmettere a quanti fossero in procinto di partire il senso di appartenenza e quasi di continuazione di una storia comune che includeva, malgrado il distacco imminente, anche le fatiche del “lavoratore umile ed oscuro” nella complessa economia del Paese. Corradini non tralascia di sottolineare si direbbe lo stile educativo del maestro degli emigranti che “con abnegazione e pazienza” sappia dare prova della sua “virtù pedagogica”, quella di saper trovare la via per andare incontro alle menti da formare. Sull’onda di tali convinzioni, perentorio risulta il richiamo del Ministro alla responsabilità che sul piano amministrativo e finanziario lo Stato è chiamato a indirizzare all’apertura delle scuole nei paesi a maggiore contingente di emigrazione, grazie all’apporto condiviso tanto nel MPI che di quello MAE, col garantire le spese relative all’illuminazione, al riscaldamento, ai sussidi didattici e specie al reclutamento dei maestri. Anche il percorso quindi di istruzione di chi parte s’inscrive nel quadro del tradizionale municipalismo scolastico della scuola popolare, integrato dall’intervento statale in epoca giolittiana. La scuola degli emigranti, rimarca Corradini, “è da considerarsi come un germoglio nuovo, che fiorisce dal tronco della scuola popolare” (CORRADINI, 1911, p. 34).
Nel tornante del primo Novecento (SORI, 1979; DE CLEMENTI, 1999; SANI, 2021), in buona sostanza si prende coscienza, come si evince dalle stesse conclusioni licenziate dal Congresso del 1911, che dinanzi all’ampiezza assunta dal fenomeno migratorio6 il problema dell’estensione dell’istruzione ai fini dell’espatrio “s’identifica col problema generale della diffusione dell’istruzione diretta a combattere in maniera decisiva l’analfabetismo”, ancora, in molte regioni, una piaga molto preoccupante da estirpare. Di qui la deliberazione condivisa di rivolgere una specifica cura, oltre che all’irrobustimento del segmento dell’istruzione popolare, vicina alle esigenze di natura pratica e concreta tra cui per l’appunto la scelta dell’emigrazione (rivenienti dagli stessi disposti della legge Orlando del 1904), anche all’apertura di scuole speciali per la preparazione intellettuale e morale degli emigranti, negli stessi edifici delle scuole elementari e popolari, con lo stesso personale, suddivisi in due corsi: uno per emigranti analfabeti e semi-analfabeti; l’altro per emigranti in possesso del primo grado dell’istruzione elementare.
Se tuttavia la proposta rivolta alla Commissione centrale per il Mezzogiorno derivava dalla evidente opportunità di dare avvio all’apertura di scuole specifiche per gli emigranti, per contrastare l’attardato difetto d’istruzione, accanto all’acquisizione del “primo strumento necessario nelle lotte economiche: l’alfabeto”, alla consapevolezza dei propri diritti nei paesi d’arrivo, oltre che di almeno un minimo bagaglio lessicale nella lingua del paese ospitante, Corradini insiste sulla prima cura necessaria che proprio la classe magistrale è chiamata a rivolgere, come si vedrà grazie anche a una manualistica mirata, alla interiorizzazione del sentimento di italianità che “si desti e fiammeggi vivo”, oltre gli stessi confini fisici della nazione. In vari passaggi si fa leva sulla necessità di “avvivare” tale sentimento per far scaturire e alimentare quel “legame ideale tra l’emigrante e la madre patria”7. In modo efficace, a tale proposito, Corradini espone le proprie conclusioni, sul finire della relazione, partendo dal rilievo dei dati degl’Italiani all’estero che ormai raggiungono i cinque milioni, insieme ad un altro milione (CGE, 1925,1926) che si muove “nel fluttuare dell’andata e del ritorno degli emigranti”:
È, quindi, addirittura una piccola Italia, che si è costituita al di là degli Oceani e che noi dobbiamo cercare di render sempre più gagliarda nella odierna lotta gigantesca del lavoro e sempre più attaccata alla Italia grande, alla terra materna mediante un doppio vincolo: quello degl’interessi economici, quello del sentimento (CORRADINI, 1911, p. 36).
Le conclusioni di Corradini, che scaturiscono dagli stessi risultati raccolti in occasione dell’inchiesta licenziata nel 1910 sulle condizioni dell’istruzione elementare, respirano il clima generale che attraversa il Paese nel tornante primonovecentesco, intorno alla questione dell’istruzione popolare e dell’educazione nazionale. A ben vedere, sono proprio le iniziative provenienti dalle associazioni private e laiche, così come di quelle religiose dedite all’assistenza morale degli italiani all’estero che nell’avvio del fenomeno migratorio avevano svolto, come si diceva, un ruolo primario quali vere e proprie “agenzie dell’emigrazione”, a proiettare la situazione di emergenza dei flussi di italiani, in partenza verso mete straniere, nei luoghi pubblici di attenzione e a sollecitare quindi un più presente intervento statale.
Proprio nel tornante successivo al 1905, e per un decennio, fino al primo conflitto bellico - come si vedrà specie nel triennio tra il 1909 e il 1911 -, si susseguono una serie di manifestazioni e iniziative che nel quadro della rilevante questione della stabilizzazione del ruolo e dei compiti della classe magistrale italiana si saldano all’emergenza della questione migratoria sul ceppo della questione dell’istruzione popolare e, in particolare, ai compiti di mediazione culturale e nazionale assegnati al maestro e alla maestra italiani. Non a caso ai maestri viene affidato anche la mansione di segretari nei Comitati locali dell’emigrazione (QUINTO CONVEGNO ANNUALE DEI SEGRETARIATI LAICI DI EMIGRAZIONE, 1911), come anche di Corrispondenti (MAZZONI, 1908), riconoscendo nelle loro persone le figure più qualificate nel rapporto con persone prive dell’alfabeto e bisognose di cure, notizie, formazione dei primi rudimenti per una istruzione di base e di un percorso specifico di orientamento, protezione e maturazione di una forma di autonomia intrinseca nel sapersi muovere, in tutte le fasi dalla scelta dell’espatrio all’arrivo nei paesi stranieri.
I congressi organizzati, in tale stagione, dalle sezioni provinciali dei maestri appartenenti all’Unione Magistrale Nazionale (BARAUSSE, 2002) come quello dell’Aquila del 1909, contribuiscono al dibattito pubblico affrontato nelle maglie statali da alcuni avveduti esponenti delle fasce politiche e governative. Tra questi, lo stesso Angelo Cabrini documentava nel lavoro incentrato su Emigrazione ed emigranti (CABRINI, 1911) come l’attenzione al fenomeno migratorio nel frangente primonovecentesco, dopo la svolta del 1901 di promozione delle partenze verso i paesi europei e transoceanici, fosse provata dal vivace dibattito pubblico animato dalla politica, dall’associazionismo, dagli istituti come la Dante Alighieri8 e da un nutrito numero di iniziative e congressi.
Il 1911 in tale direzione appare un anno nevralgico, per la concomitanza di alcuni passaggi cruciali nelle vicende del Paese in generale, e con riguardo precipuo all’educazione popolare e al collegato fenomeno dell’istruzione degli emigranti. Merita, infatti, porre in risalto almeno la convergenza nello stesso 1911 della legge Daneo-Credaro, che istituiva i Patronati e le scuole speciali per l’emigrazione; del Congresso dell’Unione Magistrale Italiana di Torino; del secondo Congresso degli italiani all’estero a Roma; insieme alla concomitante pubblicazione di numerosi testi sul fenomeno migratorio o specificamente destinati agli emigranti e, come si vedrà, ai loro maestri (ATTOLICO, 1913).
Accanto, tuttavia, alle dinamiche che investirono il ruolo e i compiti dei maestri sul piano educativo e politico, è stata solo in parte posta in luce una dimensione editoriale legata alla formazione degli stessi insegnanti e alla preparazione dei migranti, all’interno del circuito della promozione dei libri e della diffusione della cultura italiana, a cominciare dalle sponde della patria salutata da chi si metteva in partenza. Si è posto in rilievo la specularità, in tal senso, di una produzione libraria destinata espressamente all’emigrante e di una manualistica indirizzata invece ai maestri speciali addetti all’istruzione degli emigranti. Si proverà qui a meglio approfondire questo secondo ambito. Senso di orientamento al lavoro e formazione del senso d’identità degli italiani all’estero rappresentano, volendo schematizzare, il doppio binario su cui si muove una letteratura per l’emigrazione (D’ALESSIO, 2021, p. 443-457) che merita meglio scandagliare e ricomporre all’interno delle iniziative educative rivolte agli emigranti, attraverso il loro maestri “speciali” (D’ALESSIO, 2019).
4. La preparazione speciale dei maestri dell’emigrazione
Al nodo problematico rappresentato per l’iniziativa statale proprio dalla preparazione e formazione di un corpo speciale magistrale si provvide, insieme alle pubblicazioni date alle stampe dal Commissariato Generale dell’Emigrazione e da alcuni studiosi del fenomeno migratorio, con alcuni corsi di conferenze sull’emigrazione (D’ALESSIO, 2019). Da più parti proveniva il riconoscimento del “compito di alta tutela sociale” che il maestro italiano era chiamato a svolgere, “vero fulcro della scuola del popolo, capace di una saggia selezione ed orientamento delle cognizioni da impartire in questa nuova lotta per l’esistenza rappresentata dall’espatrio a scopo di lavoro” (ATTOLICO, 1912, p. 22). Infatti, contro l’insuccesso del funzionamento dei Comitati mandamentali o comunali quali organi locali gratuiti di tutela degli emigranti, circa 4.000, proprio il maestro viene individuato quale il principale mediatore dell’azione tra lo Stato e gli emigranti.
La discussione intorno all’opera dei maestri era stata agitata fin dal primo Congresso dell’educazione popolare svoltosi a Milano nel 1906 (oltre che nei Convegni sull’assistenza laica agli emigranti e nel Congresso degli Emigranti friulani del 1911). A ridosso di questi segnali di viva preoccupazione pubblica circa il ruolo centrale assegnato ai maestri nell’opera di preparazione culturale e intellettuale dell’emigrante, specialmente rurale, prese vita una nuova iniziativa per dare soluzione alla questione. Fu dato infatti avvio nel 1909 al Corso magistrale per l’emigrazione (DI FRATTA, 1912), organizzato a Roma, sotto le cure dell’iniziativa privata assunta dalla signora Angelica Devita Tommasi allo scopo di diffondere “una cultura specifica in materia di emigrazione fra tutti i maestri d’Italia e anzi specialmente nelle province più periferiche che pur danno il maggior contributo di emigranti”. Lo stesso fu replicato (grazie al sostegno prima del Commissario all’Emigrazione per il 1910 Vincenzo Giuffrida, poi dello stesso Cabrini e del Di Fratta, all’epoca Commissario Generale9), per alcuni anni, nella stessa sede centrale (ATTOLICO, 1913, p. 1-2), fino allo scoppio del primo conflitto bellico. Di lì a poco, fu lo stesso Cabrini, per raggiungere in tempi più brevi lo scopo, a farsi promotore dell’idea di Corsi di emigrazione locali, appoggiato tanto dalla Direzione Generale per l’Istruzione primaria quanto dal Commissariato dell’emigrazione. Lo svolgimento del corso centrale nel giro di pochi anni andò peraltro incontro alla concorrenza dei corsi locali “a tiro rapido”, della durata di otto giorni, che furono organizzati in alcune sedi designate, con il riconoscimento ai maestri di una diaria e finirono con lo svantaggiare il corso romano più sistematico. Alcuni di questi corsi locali sull’emigrazione furono rivolti in buon numero soprattutto ai maestri rurali delle regioni meridionali, a contingente più significativo d’emigrazione10. Il programma di questi ultimi, disposti tra il 1911 e il 1913, pensati sul modello delle Scuole di legislazione sociale di Londra, Berlino e Milano, ricalca molto da vicino quello svolto nel Corso speciale sull’emigrazione, proprio sull’onda dell’incoraggiamento e interessamento sempre vivi del Cabrini. In tali contesti emerge l’importanza comune attribuita all’opera dei maestri che, venendo incontro ai bisogni del “proletariato emigrante” si ponevano come maglia di collegamento fondamentale dell’insegnamento preparatorio per coloro che si accingevano all’espatrio, dentro e fuori il Paese, allo scopo di rendere gli emigranti “meno ignari dei luoghi e consapevoli delle leggi e del dovere di solidarietà coi lavoratori locali”. Pertanto il maestro viene ad aggiungere “al suo grande apostolato della scuola redentrice delle masse”, questo “nuovo ramo di lavoro di immediata utilità pratica per il bene economico della gente diseredata” (POSTIGLIONE, 1909, p. 19). Tuttavia, oltre alle conferenze dell’Aquila e al dibattito da queste innescato intorno alla urgente questione della lotta contro l’analfabetismo, poche erano state le iniziative intraprese nelle restanti regioni meridionali. Lo ricorda lo stesso Cabrini che, proprio per favorire anche nel Mezzogiorno maggiori opportunità formative per i maestri speciali degli emigranti, aveva promosso i corsi accelerati sull’emigrazione.
Possiamo entrare nel dettaglio delle modalità organizzative di questi corsi speciali locali grazie ad alcuni opuscoli pubblicati in occasione delle esperienze condotte in vari paesi del Mezzogiorno d’Italia. L’ordinanza ministeriale del 1913 (vedute le leggi 15 luglio 1906, n. 383 e 30 giugno 1910, n. 464; e sentita la commissione centrale istituita dall’articolo 73 della citata legge 15 luglio 1906) riconosceva tutta “la convenienza di diffondere tra i maestri elementari le cognizioni indispensabili, perché possano poi dedicarsi con la voluta efficacia alla istruzione degli emigranti”. La durata del corso veniva fissata in otto giorni e constava “di lezioni orali, fatte da persona competente designata dal ministero, di esperimenti scritti e di altre esercitazioni vigilate dalla detta persona”. La presidenza di ogni corso era tenuta dal regio Ispettore scolastico designato dal Ministero. Due maestri scelti dall’ispettore esercitavano le funzioni di segretario ricevendo un congruo compenso. Veniva anche illustrato il contenuto dettagliato del programma previsto per il corso magistrale accelerato, nelle varie pubblicazioni di resoconto date alle stampe a ridosso dello svolgimento degli stessi, nelle diverse località dell’Italia centrale meridionale (D’ALESSIO, 2019).
Malgrado, tuttavia, fosse ampiamente riconosciuta la funzione primaria di tali corsi locali accelerati nel suscitare un vivo interessamento dei maestri “servendo quasi di lievito e di spinta”, non ne vennero sottaciuti alcuni aspetti critici. Tra i principali rilievi mossi e i suggerimenti per darvi soluzione, veniva evidenziata la brevità del corso rispetto alla vastità del programma e l’opportunità di estenderlo almeno a dieci giorni. Si consigliava, inoltre, di fornire alcuni materiali di pratica utilità ai futuri maestri degli emigranti, tra cui la documentazione statistica e legislativa, insieme alle relazioni sui servizi dell’emigrazione del Commissariato. Una delle maggiori critiche veniva lanciata contro la ridotta considerazione delle esercitazioni di cui si riteneva opportuno, invece, prevedere l’obbligo per una classificazione di profitto (non di semplice frequenza) e quindi come criterio preferenziale per l’assegnazione ai maestri di incarichi speciali per l’insegnamento agli emigranti11. Certamente questi accorgimenti concorrevano a migliorare la qualità della preparazione dei maestri speciali dell’emigrazione, indirizzandoli peraltro verso una vera riforma dei loro rapporti con le amministrazioni locali, a cui verrebbero a sottrarsi. Si stimolava cioè la loro “progressiva maggiore indipendenza”, che consiste nel fare del maestro “il vero organo di tutela locale a pro degli emigranti”, in sostituzione dei Comitati comunali (ATTOLICO, 1913, p. 7).
Oltre alle notizie sugli scopi e le modalità di svolgimento dei corsi accelerati i, risulta di sicuro interesse conoscere i contenuti particolareggiati previsti nei programmi per i maestri degli emigranti (ATTOLICO, 1912). Apprendiamo che i corsi magistrali prevedono due piani di lezioni: il primo, riguardante le nozioni generali sulle emigrazioni dei lavoratori. In quest’ambito il programma propone lezioni sull’emigrazione italiana e il suo svolgimento; emigrazioni interne e per l’estero; emigrazione transoceanica o continentale; il bilancio dell’emigrazione italiana oltre alle opinioni e cifre sull’argomento. Ampio spazio è dedicato alle ripercussioni dell’emigrazione nell’economia nazionale, nella demografia, nella vita sociale, nella famiglia e nella difesa militare. Il secondo riguarda più nello specifico “ciò che all’emigrante deve essere insegnato” e, specularmente, ci avvicina alla specifica cultura magistrale richiesta agli insegnanti degli espatriati. I principali argomenti sono i seguenti: organizzazione dei servizi dell’emigrazione in Italia; notizie sul trasporto marino; arrivo nei paesi di destinazione (autorità italiane, società di assistenza e patronati, scuole italiane); invio di rimesse e risparmi degli emigranti; notizie sui paesi dove si dirige di preferenza la emigrazione italiana; tratta delle bianche, pericoli e lavoro; elementi di economia. Sono previste, inoltre, alcune esercitazioni scritte e orali in alcune lingue e sul diverso mestiere dell’emigrante, oltre che sulle pratiche di vita operaia. Un particolare aspetto su cui si sofferma il programma è dedicato alla morale sociale. Qui si fa ampio riferimento alla difesa della dignità nazionale, all’importanza di tenere vivo l’amore al proprio paese e al patriottismo quale “cemento” di nuclei di emigranti, dall’indubbio valore utile. Si richiama poi l’importanza della solidarietà con i lavoratori dei paesi di immigrazione e l’urgenza quindi, in tali corsi e nelle scuole per gli emigranti, di “creare una coscienza dell’emigrante”. Gli insegnanti sono, in molti di essi, salutati quali “ministri di una delle più sante forme di tutela sociale” e veri apostoli della benefica opera di divulgazione dell’istruzione tra gli emigranti, secondo una visione in cui la scuola entra in contatto diretto con il popolo, rispondendo alle condizioni e alle esigenze sociali del tempo.
Sulla scorta di tali stimoli e proposte seguono alcuni provvedimenti da parte dello Stato che proprio nel 1912 apre alcune scuole per emigranti in circa 200 province meridionali, incaricando dell’insegnamento gli stessi maestri intervenuti nel settembre del 1911 ai brevi corsi di lezioni sull’istruzione dell’emigrante nelle regioni dell’Umbria, Abruzzo, Lazio, Campania, Basilicata e Calabria.
5. Cultura magistrale e modelli formativi dell’emigrante nella manualistica per i maestri
Edito a cura del giornale “La Patria”, nel 1910 era apparso un volumetto dal titolo L’Emigrante istruito (1910) che nel proporsi quale piccolo manuale di lezioni per gli emigranti transoceanici si connotava esplicitamente come una “semplice guida innanzitutto per quei sacerdoti, maestri o altre persone volenterose che vogliono giovare in modo pratico agli operai emigranti dei loro paesi”. Fin dall’introduzione si specificava pertanto il “valore pratico immediato” del manuale, che merita esaminare le parti di cui si compone, allo scopo di meglio comprendere quali fossero i contenuti e allo stesso tempo i mezzi destinati a tutti coloro “che sentano il dovere di portare il loro contributo alla nobile opera di elevare il livello intellettuale e morale delle nostre masse emigranti” (p. IV).
Dopo aver illustrato le modalità attraverso cui è possibile aprire una scuola serale nei Comuni per gli operai emigranti, l’autore si sofferma sulle qualità attribuite al maestro che sappia disimpegnarsi nel suo lavoro per giungere a risultati efficaci sul piano pratico: dalla conoscenza della questione migratoria alla necessità di procurasi libri, giornali, guide del CGE, al possesso di alcuni primi elementi di base della lingua dei paesi di destinazione e di tutte quelle “cognizioni sociali e geografiche necessarie”. Si rivelano interessanti i suggerimenti dati in ordine al programma del corso da seguire e ai contenuti dell’insegnamento, che si sollecita sia quanto più aderente alle capacità degli allievi operai: partendo dalla conoscenza dei luoghi di destinazione, il maestro svolgerà lezioni elementari di geografia fisica, economia, politica del paese di lavoro, così come intorno ai suoi usi e costumi, insieme alle leggi sociali, al movimento operaio e professionale del posto; dedicherà l’ultimo quarto d’ora della lezione alla lettura e alla pronuncia della lingua straniera. Ricorrerà quindi ad altri mezzi come l’interrogazione, il riepilogo delle lezioni e il richiamo al bagaglio di conoscenze degli allievi per condurre, attraverso un tono che non sia cattedratico ma perlopiù familiare, non lezioni impegnative ma conversazioni vivaci e varie, quasi mostrando una “condiscendenza da amico o fratello maggiore”. Il manualetto si mostra quindi molto utile nel simulare l’organizzazione di un programma in tre sezioni, una pratica, l’altra geografica e la terza sociale, facendo soprattutto appello alla capacità del maestro che debba “necessariamente tener conto dei bisogni vari di coloro a cui la scuola serale è diretta” (p. 10).
La piccola guida è emblematica di alcuni utili strumenti messi a disposizione dei maestri, specie nella proposta di alcuni schemi di lezioni sui cui poter modellarne altre, a cavaliere tra le iniziative poste in campo dalle istituzioni laiche e religiose attive nel campo dell’istruzione delle masse popolari (tra cui i Segretariati dell’emigrazione della Società Umanitaria ad esempio a Belluno12 o anche dell’Aquila cui si faceva cenno), e le ravvicinate azioni dello Stato indirizzate alla formazione degli emigranti, mediante l’anello indispensabile rappresentato dalla classe magistrale.
Certamente il manuale più rappresentativo, all’interno di questa letteratura destinata ai maestri italiani del primo quarto di Novecento, è rappresentato da Il maestro degli emigranti di Angelo Cabrini che nelle stesse affermazioni in prefazione di Credaro risponde all’urgenza di una loro preparazione “tutta speciale”, politica, culturale e didattica, di spiccata urgenza sociale (CABRINI, 1912).
Il Maestro degli emigranti di Angelo Cabrini è pertanto stato salutato quale il più organico vademecum dell’insegnante (DI GIACINTO, 2020), e di quello rurale in particolare, poiché illustra con chiarezza e puntualità i fini dell’insegnamento, propone i metodi e gli opportuni accorgimenti didattici, fornisce singoli contenuti e richiami agli stessi testi utili per le lezioni, oltre che riferimenti a tutti gli organismi scolastici e ai libri gratuiti pubblicati dal Commissariato. Pubblicato nel 1912, raccoglieva molte idee e contributi esposti da un alacre Cabrini (come si è visto deputato, giornalista, animatore culturale) in alcuni suoi scritti e interventi svolti in precedenza su programmi, scuole e maestri, portati anche in sede dei congressi dell’Unione Magistrale Nazionale (tra cui quelli di Ancona e Roma del 1910) per rimarcare “essere il problema della tutela degli emigranti, in gran parte, un problema di istruzione degli emigranti stessi” (CABRINI, 1911, p. 3). L’analfabetismo infatti appariva la causa maggiore della debolezza della politica dell’emigrazione per cui “la vera istruzione, capace di agire su grandi masse, vuol essere impartita qui, entro i confini patri, operando sull’emigrante di oggi e su quello di domani” (CABRINI, 1912, p. 4). Un’azione d’interesse pubblico è di conseguenza legata alla collaborazione che il Paese attende proprio dai maestri.
Nel ribadire gli scopi e l’utilità della preparazione per coloro che sono in partenza, Cabrini offre due puntuali schemi di lezioni, da dodici ore ciascuno, da tenersi nei Comuni a forte emigrazione, suddivisi tra espatrio transoceanico e quello continentale. Passa quindi a illustrare i contenuti dell’istruzione che, da un lato, mira a persuadere l’emigrante dell’utilità d’istruirsi sulle leggi, i regolamenti, le istituzioni in patria, durante il viaggio e all’estero; dall’altro, insiste sulla proposta di letture descrittive dei costumi e degli usi dei paesi accoglienti, senza trascurare che “tutto ciò sia avvivato e scaldato da un senso vibrante di italianità e solidarietà con i lavoratori del paese di emigrazione” (CABRINI, 1911, p. 10). La necessità di svolgere corsi di lezioni per gli emigranti guarda all’opportunità , per un verso, di colmare le lacune della scuola popolare e, per l’altro, di “armare il lavoratore emigrante di tutte quelle cognizioni indispensabili a orientarsi, a sottrarsi agli intermediari e in ultima analisi ad autoassistersi, nel capire e sentire l’ambiente di arrivo”.
Sulla scia del più noto e diffuso manuale per i maestri degli emigranti si collocano altri testi e libri, che si proverà a passare in rassegna, rivolti spesso in modo ibrido tanto agli allievi quanto ai maestri per l’opera “di istruzione e di elevamento del livello materiale, intellettuale e morale degli emigranti” (SARAZ, 1914, p. 18). Interessa, in primo luogo, evidenziare la parabola temporale di questa speciale manualistica dell’emigrazione, piuttosto tralasciata dagli studi, che fu data alle stampe tra il 1900 e il 1925, in una scansione che ricalca quella tradizionale di sviluppo delle politiche scolastiche e migratorie, vale a dire il primo quindicennio giolittiano, la frattura allo scoppio del primo conflitto bellico, il primo fascismo tra il 1922 e il 1924, fino alle avvisaglie della sua trasformazione in regime dopo il 1925: per enfatizzare la concomitanza non trascurabile, sui cui si è già provato ad appuntare lo sguardo, tra i momenti di svolta sul piano normativo, legislativo e culturale a favore delle masse migranti e la circolazione simultanea di strumenti idonei, anche sul piano editoriale, per i loro maestri.
Sulla scorta del capostipite di tale manualistica, rappresentato come si diceva dal volume di Cabrini, si colloca il manuale indirizzato nel 1914 alle scuole per emigranti e alle scuole serali del Paese, con cui di Pietro Lippolis propone un corso di undici lezioni per gli emigranti transoceanici. Il taglio del lavoro mostra di intercettare gli sviluppi delle politiche educative statali a ridosso nel primo conflitto bellico, specialmente registrando un grado di maturazione circa la missione assegnata alla classe magistrale nell’affrontare la complessa questione della preparazione degli emigranti in partenza. All’insufficiente impegno a favore dell’emigrante, lo Stato ha creduto di provvedere, scrive l’autore, “facendo affidamento sulla missione della classe magistrale, informata a spirito di disinteresse e di apostolato per la cultura popolare” (LIPPOLIS, 1914, p. 6). A suo dire, infatti, la stessa apertura delle scuole per gli emigranti si salda all’opera affidata ai maestri, in cui si è individuata la soluzione del problema dell’emigrazione, “qual’è quella di formare una coscienza dell’emigrazione nelle masse popolari, le quali, sospinte dal bisogno o da vane illusioni e poche volte dal desiderio di maggiore attività, sono trascinate inconsciamente dalle correnti emigratorie”(LIPPOLIS, 1914, p. 6). Nella premessa il maestro pugliese dichiara a chiare lettere di aver “spigolato” tra le pubblicazioni per l’appunto di Cabrini, del Commissariato Generale e di alcuni statisti e studiosi per offrire, in maniera ordinata e selezionata, tutto il materiale utile ai colleghi destinati alle scuole per gli emigranti. In ordine, pertanto, allo scopo principale che scaturisce dalle affermazioni introduttive di Lippolis, le undici lezioni proposte vanno tutte nella direzione di formare una coscienza dell’emigrazione, prima dell’imbarco, durante il viaggio e nei luoghi di destinazione, coniugando gli elementi di preparazione generale culturale e specialistica professionale a quelli dei legami da coltivare e tenere vivi con la Patria. Appare in tal senso significativo che la prima lezione prenda le mosse proprio dalla “Necessità di istruirsi prima di emigrare” e presenti una seconda parte di letture utili; anche le successive lezioni si articolano su questo doppio binario, uno più propriamente informativo e conoscitivo (di leggi, norme, ma anche storia e geografia dei paesi di destinazione, documenti per mettersi in viaggio, affrontare la traversata a bordo, con note e delucidazioni circa i luoghi di arrivo, America, Argentina, Brasile, la rimessa dei risparmi, le pensioni ) e l’altra di taglio più morale (come comportarsi, contro l’alcolismo, il gioco d’azzardo, i litigi), proponendo spesso poesie che nutrono l’amor di Patria o veri e propri precetti, ripresi in particolare dalla nota lista dei “Ricordati, o emigrante!” di Gabriele De Robbio (MICELI, 2003). Conclude il lavoro “Il decalogo dell’Italiano” con cui si mette in luce l’esigenza più avvertita di consegnare i tratti della buona immagine dell’italiano all’estero, contro i perduranti stereotipi negativi e le politiche restrizioniste statunitensi, avverse agli emigranti privi di alfabeto, oltre che nell’ottica di favorire le relazioni internazionali di scambi economico-finanziari nelle colonie. In tale orientamento si coglie il superamento della prima posizione delle visioni antimigratorie della politica e dell’opinione pubblica nazionale, verso il consolidamento di una nuova coscienza nazionale dell’emigrazione (BONIFAZI, 2013, p. 13), che si intreccia con la necessità di una politica educativa per il grande esodo. Dall’ “antiemigrazionismo scolastico” delle letture di fine Ottocento (LUATTI, 2017), si è pertanto passati ai primi del Novecento alla diffusione di alcuni racconti didascalici sul tema migratorio incentrati sui vantaggi della preparazione prima dell’imbarco. In sintonia si pone la manualistica magistrale che, in maniera convergente, promuove una emigrazione più consapevole diffondendo il convincimento della sua valenza come fattore di trasformazione e cambiamento, sia del singolo soggetto che della rappresentazione collettiva del popolo italiano, alla partenza dai moli.
6. Politiche migratorie e primo dopoguerra: la formazione di un corpo magistrale specializzato
Il Commissariato Generale proseguì nella volontà d’incrementare la sua opera protettiva degli emigranti, nella preparazione intellettuale e morale degli adulti analfabeti in procinto di partire oltreoceano, anche a ridosso dell’assegnazione governativa attribuita nel 1919 al costituito Ente contro l’analfabetismo, ben presto tuttavia soppresso.
In particolare, le difficoltà del dopoguerra per l’emigrazione delle grandi masse, che aveva conosciuto una forte contrazione e riportato il Ministero degli Esteri a interessarsi alla gestione dei servizi all’emigrazione, indusse il Commissariato a prendere iniziative a favore del miglioramento della preparazione alle abilità nei mestieri più richiesti, favorendo l’apertura di corsi specialistici per colonizzatori, cementisti, muratori, operai edili, allo scopo di un apprendimento qualificato (GALLO, 2016). Ma il CGE tornerà ad occuparsi presto della preparazione degli adulti analfabeti, per la diffusione più generale della cultura dell’emigrante e del cittadino.
Malgrado, infatti, le difficoltà di tipo tecnico e finanziario contro cui si scontrò nel suo intento di aprire circa 100.000 scuole per gli emigranti all’anno, il Commissariato interesserà oltre 3000 Comuni per una ricognizione della disponibilità di locali e sulla numerosità degli emigranti del posto. Dopo le risposte di quasi 600 comuni del Sud e delle isole, nel primo semestre del 1921 vennero aperti circa 800 corsi serali di 100/110 lezioni di 2 ore (con 29.953 alunni, di cui 15.184 furono promossi). Il compito di assicurare assistenza anche attraverso strumenti d’informazione portò inoltre alla pubblicazione di una serie di opuscoli, guide e vademecum che trovarono un’ampia diffusione (CGE, 1911)13. Oltre a questa variegata produzione diffusa gratuitamente dal Commissariato, dal 1921 furono pubblicati alcuni manuali d’istruzione dell’emigrante di maggior pregio editoriale e contenutistico, insieme ad alcuni testi a carattere didattico. Questa letteratura minore per gli emigranti contribuì a dare circolazione a una serie di istruzioni pratiche di grande utilità, e del tutto gratuite14. In concomitanza furono diffuse una serie di istruzioni e norme ai maestri incaricati dell’insegnamento, ai regi Ispettori e ai Direttori didattici.
Già nel 1922, dopo questo “primo esempio di rapida ed efficace istruzione delle masse” (MICCI, 1925, p. 146), l’esperimento non fu ripetuto, in quanto si era costituito l’Ente Nazionale per la lotta contro l’analfabetismo15, poi sostituito dall’Opera Nazionale nell’agosto del 1921, che molto si avvantaggiò dell’esperienza maturata dal Commissariato in fatto di istruzione delle masse popolari migranti.
La proposta iniziale della Commissione Credaro, di cui peraltro facevano parte lo stesso Cabrini, l’onorevole Corradini per il Ministero della Pubblica Istruzione, Vincenzo Giuffrida per l’Emigrazione, l’avvocato Mendoja deputato, il professor Osimo per l’ “Umanitaria” e il commendator Pironti per il Ministero degli (CREDARO, 1911) avrebbe infatti condotto dopo dieci anni alla realizzazione, nel 1922, di un vero corpo specializzato di maestri degli emigranti, con i corsi rivolti agli studenti dell’ultimo anno delle Scuole normali, insieme ai maestri già praticanti o disoccupati, che raggiunsero il numero di circa 10.000 o già diplomati (circa 6.000). Qui si favoriva un insegnamento organico e completo in modo che tale “stuolo di maestri” potessero svolgere la loro azione nelle scuole speciali per gli emigranti che il Commissariato generale si proponeva di aprire, per completare l’opera dell’Ente contro l’analfabetismo.
Tra le guide date alle stampe per i maestri degli emigranti in tale tornante, merita citare quella approntata da Clelia Falconi riprendendo le lezioni tenute alle studentesse della regia Scuola normale femminile di Genova nel giugno del 1922 (FALCONI, 1922). Di un certo interesse risulta, nel lavoro della professoressa incaricata dal CGE, l’articolazione delle varie parti dell’opera e la specificità, peraltro, della sua destinazione a un corpo femminile di future maestre. Malgrado in apertura l’autrice informi che si tratti di dispense tratte dalle trenta lezioni di cui è stata incaricata dal CGE su un vastissimo programma, il volume si presenta alquanto corposo nelle sue quasi seicento pagine. Falconi introduce il corso con una spiegazione del fenomeno migratorio, dandone alcuni cenni storici e presentandolo nei suoi caratteri generali, illustra poi l’azione dello Stato e le politiche restrizioniste, fornisce quindi istruzioni e consigli che il maestro deve trasmettere all’emigrante sul viaggio, sulle disposizioni in atto, sull’igiene e le malattie, ma anche sul comportamento e il contegno che l’emigrante deve tenere all’estero. A metà del corso, dalla quindicesima lezione, la professoressa interessata a fornire con chiarezza “alle menti delle sue giovani ascoltatrici” uno studio accessibile del fenomeno migratorio in Italia, affronta con ampiezza le norme di ammissione nei principali paesi di emigrazione continentale e transoceanici e altre ricche notizie di geografia economica. Merita segnalare l’impostazione generale del manuale che appare più sistematico ed organico rispetto ad altri precedenti, anche nei suggerimenti dati su interessanti testi utili alla preparazione degli insegnanti per istruire ed educare gli emigranti: attinti dalla cosiddetta letteratura di viaggio del tempo, l’autrice consiglia, insieme al più noto Sull’oceano del De Amicis, quelli di Giacosa e Sicchirollo, con quelli di Coletti per il Brasile, di Villari e Mantegazza per gli Stati Uniti, ma anche di Lupati Gentili per l’Argentina, gli altri ancora di Pecorini, Sergi, De Martino, Venerosi Pesciolini e Frescura (FALCONI, 1922, p. 592). Nell’invitare infine le maestre a rivolgersi per ogni notizia, bollettino e guida tanto al Commissariato quanto alle società private di tutela e di assistenza, si rilasciano anche gli indirizzi del CGE a Roma, della Società Umanitaria di Milano, dell’Opera pia Bonomelli di Milano e della Italica gens di Genova.
A conclusione del corso, l’autrice replica nell’ultima lezione ancora “la necessità di disciplinare, dirigere, tutelare meglio, di proteggere in tutti i modi la nostra emigrazione (FALCONI, 1922, p. 572), focalizzandosi nuovamente sull’importante opera consegnata ai futuri maestri e alle future maestre d’Italia.
7. La coscienza dell’emigrante nei libri per i maestri
Anche nel manuale molto diffuso a firma di Eloisa Italia Capaguzzi, si dedica ampia parte nel 1923 alle indicazioni delle norme di buon comportamento dell’emigrante all’estero, per il “prestigio della patria” riflesso nella sua persona e pertanto a favore di una buona reputazione nazionale degli italiani (CAPAGUZZI, 1923, p. 84-91). Sollevatosi, infatti, da una condizione di inferiorità materiale e morale grazie alla protezione del Commissariato dell’Emigrazione e di altri enti di assistenza laici e religiosi, l’emigrante dovrà mostrarsi un lavoratore “onesto, temperante e rispettoso”. A tale scopo vengono analiticamente indicate le qualità del buon emigrante all’estero, che dovrà seguire alcuni “principi imperativi fondamentali”: essere laborioso, pulito, educato, onesto, temperante e istruito. In funzione di una “educazione dignitosa che arrecando alla patria lontana un vantaggio mediato ne arrechi uno diretto all’emigrante stesso” (CAPAGUZZI, 1923, p. 86).
Nello stesso mercato dello scolastico “destinato ai maestri, agli allievi maestri, ai sacerdoti e a tutti coloro che si occupano dell’istruzione degli emigranti” viene dato alle stampe nel 1925 il ricco manuale di Alighiero Micci (MICCI, 1925), che conobbe una buona circolazione, determinata peraltro dalla rilevanza del profilo e dell’impegno istituzionale, associativo, editoriale dell’autore, nella direzione dell’emancipazione dell’emigrante italiano (BARAUSSE, 2003).
Dopo una iniziale presentazione delle cause dell’emigrazione, dei suoi effetti, oltre che delle crisi e varie correnti, nelle dinamiche di sviluppo durante e dopo la guerra, Micci offre un quadro puntuale della legislazione dal 1901 ai provvedimenti più recenti (tra cui il Testo Unico del 1919), insieme all’illustrazione del Servizi governativi funzionanti in patria, per poi soffermarsi sugli enti non statali per l’assistenza degli emigranti nei vari paesi stranieri. In particolare, nell’undicesimo capitolo, l’autore passa in rassegna gli interventi con cui lo Stato si è mosso a difesa dell’emigrazione, ripercorrendo l’opera del Commissariato Generale e occupandosi dei corsi magistrali sull’emigrazione, delle scuole per l’istruzione professionale e delle scuole di preparazione coloniale. La terza parte del corposo testo, che vuole riuscire di guida per i maestri degli emigranti, s’incentra sulla legislazione sociale dei principali paesi di immigrazione italiana, sulle condizioni di lavoro e fornisce alcune notizie sulla geografia economica e sugli uffici di protezione all’estero.
Gli scopi del lavoro sono spiegati con quella chiarezza e semplicità che l’autore afferma di aver adottato nell’intento di contribuire alla divulgazione, nella coscienza pubblica, dell’importante problema. Non a caso, sostiene Micci, ha deciso di rivolgersi ai maestri italiani, colmando “una lacuna largamente notata e profondamente sentita dopo la pubblicazione dei nuovi programmi per le classi elementari ed integrative, per gli istituti magistrali, per i concorsi all’ufficio d’insegnante, di direttore e d’ispettore scolastico” (MICCI, 1925, p. IX). L’autore mette poi ancora a fuoco l’esigenza di “creare la coscienza dell’emigrante, una coscienza fatta di dignità, di probità e di audacia insieme”, che a suo parere era fino a quel momento mancata nelle correnti migratorie e aveva determinato l’impossibilità “di una efficace protezione della patria sui figli lontani”. Fare questa coscienza, prosegue, e creare questa personalità significa “non solo elevare il tenore di vita dei lavoratori, ma [...] innalzare il livello morale ed il prestigio della Patria nella considerazione del mondo civile”. Nelle battute di chiusura della sua prefazione, Micci rivendica la propria posizione di “italiano e d’educatore” che mira a “trovare un’eco in tutti coloro che, per elezione o per dovere, hanno la cura dell’educazione nazionale” (MICCI, 1925, p. XI).
Quanto filtra dai rapidi passaggi conclusivi di Micci assume contorni più netti nel Manuale per l’istruzione dell’emigrante (CGE, 1925) che nello stesso anno, allo scadere del primo quarto del Novecento, va sotto i torchi ancora a cura del Commissariato Generale. Nel giugno del 1925 il Commissario generale dell’emigrazione De Michelis indirizza, infatti, nella parte introduttiva del manuale licenziato, una lettera di presentazione a Benito Mussolini, nelle sue vesti di Presidente del Consiglio del Ministero degli Affari Esteri, esplicitando che si tratta di un volume che raccoglie i quaderni che erano serviti, in bozze, a preparare nel 1922 i maestri dell’emigrazione diplomati nei corsi istituiti dal Commissariato. A chiare lettere queste pagine ci consegnano la visione assunta dal primo fascismo circa il fenomeno migratorio quale “un grande interesse nazionale, rappresentato da una vera e propria forza economica che allarga all’estero i confini morali e materiali della Patria” (CGE, 1925, p. VII). Non più quindi, si spiega, uno “straripamento demografico” da lasciare andare libero per fare spazio in Italia, né un mezzo da incoraggiare per i benefici delle rimesse, ma un vero strumento di espansione dei confini nazionali oltre quelli fisici del Paese.
De Michelis rivendica la posizione assunta dalla sua guida al Commissariato nel conferire a questa forza nuova “tutto il suo valore, accrescerlo, vivifacarlo”, in moda da rendere l’esodo migratorio non più spontaneistico, né disperso e incontrollato, ma un “complesso organico di energia” tanto “più fruttifera quanto maggiormente valorizzata nel campo intellettuale, morale e tecnico”. A ben vedere quindi un fenomeno di espansione dell’affermazione della nazione nelle colonie, ai fini di una politica di rafforzamento, evidentemente della potenza del governo fascista, in transizione verso l’acquisizione dei suoi connotati di regime attento a rendere l’emigrazione controllata, ordinata e ben diretta. In tale ottica, pertanto, di accresciuta valorizzazione del fenomeno migratorio, quale agente di rafforzamento della forza lavoro all’estero, si pongono le azioni per l’elevamento culturale e professionale degli espatriati: nel sicuro riverbero sulla politica del Paese al suo interno.
De Michelis ripercorre quindi gli sviluppi degli interventi governativi successivi al 1921, oltre che nei corsi professionali delle regioni settentrionali (di più antica consuetudine alle partenze), anche nelle aree meridionali e insulari, con l’apertura di scuole serali e festive, specie per contadini e braccianti, poi cedute all’Ente Nazionale per la lotta contro l’analfabetismo. Prosegue esponendo le scelte posteriori operate dal CGE con l’apertura ancora di Corsi speciali per adulti analfabeti, volti a fornire loro un bagaglio di nozioni di cultura di base (geografica, economica, sociale) e di cittadinanza. Nel passaggio successivo De Michelis mette in forte risalto come, per assolvere a questo compito, lo Stato avesse necessità di preparare “un personale specializzato d’insegnanti” (CGE, 1925, p. VII): si ricorda quindi che a ciò si pose rimedio istituendo presso le Scuole Normali dei Corsi magistrali sull’emigrazione accessibili agli studenti all’ultimo anno del percorso, come anche a maestri disoccupati o già praticanti, di entrambi i sessi (aspetto importante rispetto all’esclusione delle donne dalle prime conferenze magistrali locali aperte tra il 1911 e il 1913).
La fortuna inattesa di tali corsi è testimoniata dalla numerosità delle Scuole normali che furono coinvolte (141) e degli iscritti (quasi 10.000), licenziando dietro esame, come già riportato, quasi 6.000 maestri formati all’insegnamento in materia di emigrazione. L’esperimento non fu replicato l’anno dopo poiché non più autorizzato dal Ministero della Pubblica Istruzione. Siamo a ben vedere al momento di svolta della stessa riforma gentiliana, che modificherà lo stesso ordinamento dell’istruzione magistrale, assieme a una revisione dei programmi scolastici. Ma nel frattempo l’instancabile Commissariato aveva supplito anche alla carenza di materiali e dispense che fossero da guida al personale incaricato dei corsi. Furono così raccolti dodici quaderni compilati dai funzionari del Commissariato e stampati in bozza, per la loro distribuzione. I quaderni si mostrarono particolarmente utili e apprezzati tanto da risultare funzionali (una volta riveduti e ampliati) alla raccolta in un volume unico, rispondendo alle richieste sia degli stessi maestri diplomati che degli studiosi dell’emigrazione e degli enti ufficiali o non statali di tutela dell’emigrante.
Venendo alla struttura dell’opera introdotta da De Michelis, il volume si regge, nella sua ampia mole, su due parti principali: la prima funge da introduzione al fenomeno migratorio, con la raccolta di tutte le disposizione e la legislazione sociale per la tutela degli emigranti tanto in patria quanto all’estero; la seconda è destinata specificamente alla trattazione della geografia economica dei maggiori paesi stranieri di immigrazione. In linea di continuità pertanto con altri testi coevi, l’opera abbraccia più ambiti, tra cui quello storico, giuridico, economico e sociale.
La valenza del manuale, così come emerge dalle stesse considerazioni manifestate dal Commissario generale del tempo, risiede, in questo nuovo tornante politico, nella sua utilità pratica tanto per i maestri che per i loro studenti, gli adulti migranti, guardando in prevalenza al loro possibile contributo sul piano di lavoratori preparati, qualificati, legati al progetto di affermazione politica della madre patria, non più da rimpiangere nostalgicamente con l’atto del suo abbandono, ma da onorare con la propria dignità civile di italiani, sulle orme di una ideologia sempre più intrisa di nazionalismo, a cominciare dal primo dopoguerra.
Di lì a poco, tuttavia, si sarebbe esaurito l’impegno educativo speso a favore dell’istruzione popolare, della collegata preparazione degli emigranti e dei loro stessi maestri, al tramonto della stagione liberale di primo Novecento, preoccupata della valorizzazione dell’emigrante in patria e fuori dal suo suolo e sull’onda delle conseguenze postbelliche. In un clima politico diverso, infatti, il Commissariato Generale, malgrado l’opera sperimentata con successo in passato, fu soppresso e trasformato nell’organo di natura politica sancito dalla sua conversione nella Direzione Generale degli Italiani all’Estero, nel 1927, alle dipendenze del Ministero degli Affari Esteri, nel solco della svolta anti-migratoria fatta propria dal regime nella fase di ridimensionamento degli espatri verso paesi stranieri.
Conclusioni
Provando a riepilogare i diversi versanti che, in sintonia con le varie stagioni storico-politiche e le relative posizioni ideologiche, “nella prevalenza delle ragioni d’ordine interno” (OSTUNI, 2001, p. 317), si sono provati a vagliare intorno al tema dell’istruzione dell’emigrante e della collegata opera dei maestri, chiamati a tale delicata e complessa missione sociale, è possibile enucleare tre piani principali: uno strumentale, legato alla prima campagna di alfabetizzazione condotta nelle scuole popolari specie in età giolittiana; uno funzionale, ai fini dell’addestramento tecnico e professionale per l’ingresso nel mondo del lavoro, volto a contrastare le forme di protezionismo manifestatesi in maniera crescente in alcuni stati, in primis gli Stati Uniti, segnatamente dal 1917, poiché avverse all’accoglienza di emigranti privi dei basilari strumenti del saper leggere e scrivere; uno maggiormente educativo e identitario, coniugato al sentimento di appartenenza alla patria da oltre confine e in direzione quindi di una iniziale valorizzazione dei lavoratori quali agenti di civilizzazione all’estero, colonizzatori e operai qualificati nel primo dopoguerra: riportando la questione migratoria alla questione nazionale sul piano economico, andata poi a sfociare nel freno politico successivo posto agli esodi, nella limitazione alla libertà di emigrazione e nelle forme di controllo, organizzazione e pianificazione dei flussi migratori.
Collegata a questi piani, la complessiva letteratura dell’emigrazione di cui ci siamo qui interessati, contigua alla messe di letture per gli emigranti transitate tra i banchi scolastici tra Otto e Novecento in Italia e all’estero (BARAUSSE, 2015), si pone, a ben vedere, non solo quale termometro sensibile dei processi in atto che riguardano la gestione governativa del fenomeno migratorio, ma anche un apprezzabile osservatorio della cultura pedagogica richiesta ai maestri e delle finalità formative previste per l’emigrante. Queste, come si è provato a lasciare emergere fin qui, si connotano in modo in parte divergente tra le esigenze di preparazione al lavoro nei paesi accoglienti (maggiormente rinvenibili nella posizione di Cabrini ad esempio) ed esigenze indirizzate verso un generale miglioramento delle condizioni di arretratezza culturale dei migranti (rintracciabili nelle preoccupazioni espresse invece da Corradini), nella collegata necessità di rinsaldare il sentimento di dignità e italianità, quasi ultimo testimone lasciato a chi si metteva in viaggio, da trattenere durante la traversata e tenere vivo, una volta messo piede nel suolo straniero. Provano altresì le trasformazioni della stessa offerta formativa professionalizzante rivolta alle masse migranti nel primo dopoguerra, secondo una nuova programmazione statalistica, e la speculare riduzione della libertà didattica dei maestri, risalente all’epoca giolittiana, rispetto all’osservanza loro richiesta delle direttive provenienti dal centro.
I manuali e i libri di testo destinati ai maestri degli emigranti che, sotto tali lenti, abbiamo esaminato si pongono, concludendo, quali importanti cartine di tornasole delle iniziative e degli strumenti didattici messi a disposizione per rafforzare la consapevolezza nella classe magistrale di una cultura professionale specializzata, non scevra, come si è visto, dei riflessi delle posizioni ideologiche concernenti l’emigrazione nelle sue diverse fasi storiche e della relativa elaborazione dei modelli educativi più consoni alla formazione del buon emigrante, prima della scelta di partire e fino all’arrivo in terra straniera.