SciELO - Scientific Electronic Library Online

 
vol.27Diversidade, democracia e justiça: as minorias político-culturais e a Educação Básica públicaDo cristão moralista ao budista niilista: reflexões sobre a moral contemporânea a partir da Genealogia da Moral de Nietzsche índice de autoresíndice de assuntospesquisa de artigos
Home Pagelista alfabética de periódicos  

Serviços Personalizados

Journal

Artigo

Compartilhar


Conjectura: Filosofia e Educação

versão impressa ISSN 0103-1457versão On-line ISSN 2178-4612

Conjectura: filos. e Educ. vol.27  Caxias do Sul  2022  Epub 20-Mar-2024

https://doi.org/10.18226/21784612.v27.e022037 

ARTIGOS

Cognizioni corporee: l’olfatto e l’esperienza del sapore

Body cognitions: the sense of smell and the experience of flavor Cognições corporais: o sentido do olfato e a experiência do sabor

Rosalia Cavalieri1 

1Dipartimento di Scienze Cognitive della Formazione e degli Studi culturali – Università di Messina (Italia)


Sintesi

Da lungo tempo considerato uno dei sensi minori e più deboli negli animali umani, l’olfatto in realtà riveste nella nostra modalità d’esistenza una funzione tutt’altro che marginale nei comportamenti socio-emozionali, nell’evocazione dei ricordi e nella comunicazione non verbale, e non ultimo nella nostra vita quotidiana, specialmente per il suo ruolo nella percezione del sapore degli alimenti. Grazie ai progressi che la ricerca ha raggiunto negli ultimi decenni, al punto da giustificare tra l’altro la nascita di una nuova impresa scientifica nota come neurogastronomia, l’olfatto, e in particolare l’olfatto retronasale, si configura addirittura come una delle nostre abilità più specie-specifiche, alla quale dobbiamo peraltro una delle più grandi gioie della vita: il piacere consapevole di assaporare e di apprezzare cibi e bevande. Partendo da questo assunto, l’obiettivo di questo saggio è dunque mostrare in che misura un’esperienza radicata nel corpo come la percezione del sapore sia riconducibile alle caratteristiche specie-specifiche sviluppate dall’olfatto umano nel corso dell’evoluzione, configurandosi come una forma complessa di cognizione incarnata le cui possibilità dipendono tanto dalla struttura biologica, quanto dall’uso effettivo che facciamo di questo straordinario dispositivo corporeo.

Parole chiave Odori; Olfatto Retronasale; Percezione Del Sapore; Gusto; Neurogastronomia; Anosmia; Ageusia

Abstract

For a long time considered one of the minor and weakest senses in human animals, smell actually plays a far from marginal function in our mode of existence in socio-emotional behaviors, in the evocation of memories and in non-verbal communication, and not least in our daily life especially for its role in the perception of food flavour. Thanks to the progress that research has achieved in recent decades, to the point of justifying among other things the birth of a new scientific enterprise known as neurogastronomy, the sense of smell, and in particular the retronasal smell, is even configured as one of our most species-specific abilities, to which we owe moreover, one of the greatest joys in life: the conscious pleasure of savoring and appreciating food and drink. Starting from this assumption, the aim of this essay is therefore to show to what extent an experience rooted in the body as the perception of flavour is attributable to the species-specific characteristics developed by the human sense of smell during evolution, configuring itself as a complex form of embodied cognition whose possibilities depend as much on the biological structure as on the actual use we make of this extraordinary bodily device.

Keywords Odors; Retronasal Smell; Flavour Perception; Taste; Neurogastronomy; Anosmia; Ageusia

Resumo

Há um longo tempo considerado um dos menores e mais fracos sentidos nos animais humanos, o olfato na realidade assume na nossa modalidade de existência uma função bem menos marginal, antes central, nos comportamentos socioemocionais, na evocação das memórias e na comunicação não verbal, não sendo o último na nossa vida quotidiana, especialmente pelo seu papel na percepção do sabor dos alimentos. Graças aos progressos que a pesquisa alcançou nas últimas décadas, a ponto de justificar, entre outras coisas, o nascimento de uma nova área científica chamada neurogastronomia, o olfato, especialmente o retronasal, configura-se como uma das nossas habilidades mais espécie-específicas, à qual devemos, inclusive, uma das maiores alegrias da vida: o prazer consciente de saborear e apreciar alimentos e bebidas. Partindo desse tema, o objetivo deste ensaio é, portanto, mostrar em que medida uma experiência radicada no corpo, como a percepção do sabor, remonta às características espécie-específicas desenvolvidas pelo olfato humano no curso da evolução, configurando-se como uma forma complexa de cognição encarnada, cujas possibilidades dependem tanto da estrutura biológica quanto do uso efetivo que fazemos desse extraordinário dispositivo corpóreo.

Palavras-chave Odores; Olfato Retronasal; Percepção do Sabor; Gosto; Neurogastronomia; Anosmia; Ageusia

1. Premessa

Da lungo tempo considerato uno dei sensi minori e più deboli negli animali umani, l’olfatto in realtà riveste nella nostra modalità d’esistenza una funzione tutt’altro che marginale nei comportamenti socio-emozionali, nell’evocazione dei ricordi e nella comunicazione non verbale, e non ultimo nella nostra vita quotidiana soprattutto per il suo ruolo nella percezione del sapore degli alimenti. Grazie ai progressi che la ricerca ha raggiunto negli ultimi decenni, al punto da giustificare tra l’altro la nascita di una nuova impresa scientifica nota come neurogastronomia, l’olfatto si configura addirittura come una delle nostre abilità più specie-specifiche, alla quale dobbiamo peraltro una delle più grandi gioie della vita: il piacere consapevole di assaporare e di apprezzare cibi e bevande.

Se questo aspetto in condizioni normali sfugge ai più, una disfunzione o una perdita dell’olfatto causata da un incidente o da un’infezione come la Covid-19, può generare in modo traumatico questa consapevolezza, facendoci comprendere quanto da questo senso misconosciuto e sottovalutato dipenda la qualità della nostra vita e il nostro benessere. Una conseguenza devastante è proprio la perdita del sapore, un’esperienza negativa che ci mette tuttavia di fronte a un fatto in genere ignorato: l’importanza dell’olfatto per la qualità della nostra vita quotidiana e per la generazione della motivazione a mangiare. Da qui la sua funzione chiave nel sapore umano, ancora ignorata dalla maggior parte delle persone.

Partendo da questo assunto, l’obiettivo di questo saggio è dunque mostrare in che misura un’esperienza radicata nel corpo come la percezione del sapore sia riconducibile alle caratteristiche specie-specifiche sviluppate dall’olfatto umano nel corso dell’evoluzione, configurandosi come una forma complessa di cognizione incarnata le cui possibilità dipendono tanto dalla struttura biologica quanto dall’uso effettivo che facciamo di questo straordinario dispositivo corporeo.

2. L’olfatto: figlio di un Dio minore

Nella storia del pensiero occidentale che da circa tremila anni condiziona il nostro modo di pensare, di sentire e di percepire la realtà, l’olfatto ha goduto di scarsa considerazione, specialmente rispetto alla vista e all’udito, considerati modelli primari per la conoscenza, utili per rischiarare le operazioni mentali: l’udito soprattutto per la sua funzionalità al linguaggio, la vista perché è il senso che usiamo di più e a cui più ci affidiamo per comprendere la realtà. A differenza delle immagini e dei suoni, gli odori personali e ambientali, e i sapori degli alimenti e delle bevande che assumiamo non sembrano trasmetterci informazioni cognitivamente rilevanti, sono per lo più connessi alla nostra sopravvivenza e hanno principalmente un carattere emotivo, edonistico, intimo, privato: ci segnalano un pericolo, accendono le passioni, suscitano attrazione o repulsione, ci regalano il piacere di una colazione o di un pranzo gustoso, attivano i ricordi personali.

L’inferiorità dell’olfatto, classificato già da Aristotele tra i sensi “minori” (cfr. DA, 421a; DSS, 437a, 441a, 445a), è duplice: per la sua distanza dalla conoscenza, che lo relega all’ultimo posto nella gerarchia dei sensi nella specie umana, e per la sua debolezza rispetto a quello di altre specie animali dotate di un odorato più sviluppato. Sopraffatto specialmente dalla vista, l’olfatto è stato l’ultimo sistema sensoriale di cui si è occupata la scienza e forse anche per questa ragione resta ancora in larga parte un intrigante mistero. Le teorie della percezione elaborate in ambito filosofico, psicologico, neuroscientifico e in quello delle scienze cognitive tendono a tutt’oggi a privilegiare la vista e l’udito, i sensi “più cognitivi”, considerati gli unici delegati alla conoscenza scientifica e oggettiva (basata sulla percezione “distale”), trascurando le informazioni trasmesseci dal naso e dal palato (i sensi più prossimali insieme al tatto), che continuano pertanto a occupare l’ultimo posto nella gerarchia dei sensi. Ecco perché non è consueto che si parli dell’odorato o del gusto come di sensi “intelligenti” (cfr. Cavalieri, 2009; 2011), di finestre sul mondo capaci di fornirci informazioni e conoscenze che gli altri sensi non possono offrirci, garantendoci peraltro un accesso al mondo unicamente umano e contribuendo in modo niente affatto trascurabile alla qualità della nostra esistenza. A condizione tuttavia che sappiamo farne buon uso.

In realtà dietro alla presunta inferiorità naturale di questo senso si cela un pregiudizio culturale, legato anche alle rappresentazioni negative che gli umani, specialmente nelle società occidentali, si fanno del naso, come segno distintivo dell’animalità. Ci fidiamo poco degli odori e annusare è un comportamento che ci crea un certo imbarazzo, ci preoccupa o ci disgusta, probabilmente perché a differenza dei suoni e delle immagini che restano fuori di noi, ciò che annusiamo ci pervade, ci entra dentro e questo ci porta a giudicarlo. Le credenze e/o i fraintendimenti sul senso dell’odorato sono stati poi alimentati anche dalla scienza, secondo cui la riduzione della sensibilità olfattiva sarebbe il prodotto dell’evoluzione umana, a partire dall’assunzione della stazione eretta, con il conseguente allontanamento del naso dal terreno (a diretto contatto con le fonti odorose), parallelamente alla maggiore importanza assunta dalla visione: lo sviluppo della neocorteccia con centri cognitivi visivi (e poi anche uditivi e linguistici) ben sviluppati ci avrebbe insomma liberati dalla dipendenza dalla comunicazione chimica (cfr. Shepherd, 2004; Cavalieri 2009, pp. 73-78).

Agli studi anatomo-funzionali effettuati da Paul Broca nell’800 sul cervello umano, comparati a quelli di altri animali, risale poi l’ipotesi della riduzione dei bulbi olfattivi (prima stazione del cervello odorante deputata a ricevere input dai neuroni sensoriali dell’epitelio olfattivo e a trasmetterli al resto del cervello) a favore dei lobi frontali (sede del linguaggio e del pensiero specificamente umani) nel corso della filogenesi, e quindi la conseguente ridotta capacità di percepire e di riconoscere gli odori (cfr. Broca, 1879). Da qui la successiva classificazione dei mammiferi in “macrosmatici”, cioè con capacità olfattive molto sviluppate come i ratti e i cani, e “microsmatici”, cioè con abilità olfattive deboli come l’animale umano (Turner, 1890), ha finito per consolidare un’idea di senso comune: quella cioè dell’uomo come animale il cui comportamento è poco influenzato dall’odorato.

Indubbiamente il naso di numerose specie animali macrosmatiche, cani, ratti, e specialmente elefanti (quelli africani hanno ben 2000 geni olfattivi, i cani e i ratti circa un migliaio, gli umani meno di 400 – cfr. Buck, Axel, 1991; Niimura et al., 2014)2, i mammiferi con l’olfatto più sviluppato, consente loro di fare moltissime cose utili alla sopravvivenza e all’adattamento all’ambiente. Anche questo dato è stato interpretato dagli stessi scienziati che studiano l’olfatto come un ulteriore correlato a sostegno delle modeste capacità olfattive umane, che nel corso dell’evoluzione sarebbero state funzionali allo sviluppo della visione tricromatica, una tesi comunque non del tutto acclarata (cfr. McGann, 2017 e gli studi ivi citati).

Tuttavia, nonostante l’evidente ridimensionamento anatomico delle strutture olfattive in tutti i primati superiori, uomo incluso, non è ancora del tutto chiaro il suo impatto sulla funzione olfattiva umana: non è detto infatti che a bulbi olfattivi più piccoli debbano corrispondere necessariamente ridotte capacità olfattive. In realtà, le più recenti ricerche neuroscientifiche attesterebbero che l’odorato umano è molto più sviluppato di quanto si pensi e pur essendo più modesto rispetto a quello di molte specie animali macrosmatiche è soprattutto sottostimato e sottoutilizzato. Diversi studi comparativi dimostrerebbero che al ridimensionamento dei bulbi olfattivi nei primati non corrisponde una riduzione del numero di neuroni rispetto ai roditori.

I bulbi olfattivi presentano peraltro una peculiarità che potrebbe contribuire a spiegare le buone prestazioni olfattive degli umani a fronte dei limiti anatomici: la presenza cioè di un numero di glomeruli (complesse strutture sferiche situate nei bulbi olfattivi, deputate a ricevere le informazioni provenienti dalle cellule recettoriali dell’epitelio olfattivo, neuroni a tutti gli effetti, e importanti per la trasduzione dei segnali olfattivi) nettamente superiore a quello dei geni olfattivi, che in genere si equivalgono. Se un topo ha un migliaio di geni olfattivi attivi e circa 1800 glomeruli, un uomo ha meno di 400 geni olfattivi ma in media 5600 glomeruli, il che fa pensare che questo numero nettamente più alto di glomeruli possa aver compensato la riduzione di recettori e quindi di geni attivi nel corso dell’evoluzione (cfr. Maresh et al., 2008). I bulbi olfattivi degli animali umani, anche se proporzionalmente più piccoli di quelli dei roditori, sarebbero pertanto più complessi e con essi anche le regioni centrali del cervello odorante deputate a interpretare gli input olfattivi, e in particolare la corteccia orbitofrontale (oggi nota anche come “l’area del sapore” e degli aspetti edonistici di cibi e bevande – cfr. Rolls, 2003; Rolls, 2005), un area che nel cervello umano è più estesa e complessa rispetto a quella dei roditori e più ricca di connessioni con altri distretti neocorticali (cfr. McGann, 2017; Shepherd, 2004). La riduzione dei recettori e quindi del repertorio di geni olfattivi attivi negli umani potrebbe essere stata compensata dunque anche dall’ampliamento dei meccanismi cerebrali superiori di elaborazione delle informazioni odorose.

Questi dati alimentano pertanto l’ipotesi che il senso umano dell’olfatto sia notevolmente sottostimato e non adeguatamente testato, e che la teoria del suo impoverimento rispetto a quello degli altri mammiferi rappresenti, come afferma il neuroscienziato John McGann (2017), «un mito del diciannovesimo secolo». In realtà, specie diverse mostrano sensibilità variabili a odori diversi e nel caso degli animali umani quest’abilità risente dell’influenza culturale e della pratica sensoriale, cioè della diversa importanza riconosciuta all’olfatto e dal modo in cui viene usato (cfr. Cavalieri 2019, in particolare pp. 50-65, 181-188). Sappiamo, per esempio, che un naso allenato come quello di un profumiere-compositore (un creatore di profumi) è in grado di distinguere decine di migliaia di odori differenti e professioni olfattive come quelle che vedono impegnati sommelier, analisti organolettici e cuochi, in cui si esercita un’expertise olfattiva, attestano la potenza del nostro olfatto. Tra gli umani ci sono anche nasi prodigiosi, come la nota cieco-sorda Helen Keller, dotata di uno straordinario talento olfattivo, frutto di un allenamento “obbligato”, che le consentiva con una semplice inspirazione di capire chiaramente che mestiere facessero le persone:

le esalazioni mi fanno conoscere molte cose intorno alle persone, e sovente anche il lavoro a cui sono intente: l’odore del legno, del ferro, della vernice delle droghe impregnano gli abiti delle persone che ne usano. Così io posso distinguere il falegname dal fabbro-ferraio, l’artista dal muratore e dal farmacista

(Keller, 1908, p. 51).

Un ambito in cui il naso umano sembra eccellere, per esempio rispetto a quello dei cani, veri e propri specialisti dell’olfatto – animali che conoscono e scandagliano il mondo circostante attraverso il naso, ricavando dagli odori informazioni incredibilmente ricche, e il cui comportamento ha a che fare prevalentemente con l’atto di fiutare il mondo (cfr. Horowitz, 2016) – è indubbiamente quello alimentare, includente com’è ovvio l’ambito della degustazione (cfr. Shepherd, 2015). La superficie del nostro epitelio olfattivo (la parte del naso preposta ad annusare e contenente i recettori olfattivi, neuroni a tutti gli effetti), comparata a quella di un cane appare a dir poco ridicola. Nel libro di una delle massime esperte della mente del cane, Alexandra Horowitz, si legge: «se il suo epitelio olfattivo fosse distribuito sulla superficie esterna del corpo del cane, la ricoprirebbe tutta. Negli esseri umani, coprirebbe più o meno un neo sulla spalla sinistra» (2016, 42). Laddove gli umani poi hanno circa 6 milioni di recettori olfattivi, i cani, a seconda della razza, hanno un numero di recettori olfattivi che va da 200 milioni a 1 miliardo, e anche una maggiore tipologia di recettori che accresce ulteriormente l’immensa quantità di odori percepibili. Nonostante queste e altre differenze anatomiche, il naso umano e quello di un cane si comportano in modo simile (cfr. Horowitz, 2016, pp. 71-74). Tuttavia, come il naso dei cani, anche il nostro presenta delle caratteristiche uniche e specie-specifiche: siamo in grado di discriminare decine di migliaia di odori (secondo qualche studio addirittura almeno un trilione di composti odorosi – cfr. Bushdid et al., 2014), siamo gli unici animali capaci di comporre odori per creare un profumo, di apprezzarne le qualità estetiche, di identificare e descrivere a parole i profumi di un vino, di un olio extravergine o di un pietanza, un compito certamente difficile ma non impossibile, e gli unici a percepire e ad apprezzare il sapore squisito di pietanze e bevande, godendone appieno.

3. Struttura e complessità del sapore umano

Che significato hanno dunque per noi gli odori, i sapori e gli aromi del cibo che mangiamo? Che ruolo rivestono nel piacere di mangiare e soprattutto nell’apprezzamento di alimenti e bevande? E in che modo si fondono nel nostro cervello per generare il sapore?

L’atto di gustare un cibo non è un comportamento sul quale ci soffermiamo a riflettere: una cosa o ci piace o non ci piace, e pochissimi hanno contezza di ciò che mangiano e del ruolo ricoperto in questa esperienza edonistico-cognitiva da ciascuno dei nostri sensi nell’apprezzamento di una pietanza, nel desiderio che ci spinge a cercarla e a elaborarla e nel piacere consapevole che ne traiamo al di là delle necessità nutritive. Assaporare un cibo non è semplicemente avvertire il gusto di ciò che portiamo alla bocca, ma è molto di più. In genere non pensiamo a quanto il naso sia importante per l’apprezzamento del sapore dei cibi o delle bevande, eppure la ricchezza e la complessità delle sensazioni procurate dal cibo dipendono principalmente dalla stimolazione olfattiva, a cui dobbiamo in larga parte i piaceri della buona tavola.

Nell’accostarci a una pietanza o a un vino, questo lavoro preliminare ma decisivo svolto dal naso, «una specie di gusto a distanza», come lo ha definito Kant (1798, p. 578), ci anticipa quello che andremo a mangiare e a bere, facendocelo pregustare al punto da evocarci le sensazioni dei profumi dei cibi. De resto, ciascuno di noi sa per esperienza quanto un piacevole profumo di cibo ci stimoli a mangiare, procurandoci anche l’acquolina in bocca. In questo caso le sostanze odorose, composte da molecole volatili, vengono captate nella fase inspiratoria attraverso l’olfatto ortonasale, attraverso cioè quello che comunemente viene chiamato “senso dell’olfatto”, responsabile dell’inalazione diretta degli odori attraverso le narici. Ma il bello viene dopo: quando portiamo in bocca un boccone di cibo o un sorso di vino e si attiva l’olfatto retronasale (o olfatto orale), quello che si origina per l’appunto all’interno della bocca entrando nel naso dalla parte posteriore, coinvolto nella fase espiratoria quando mastichiamo, rimestiamo con la lingua e poi deglutiamo il cibo o il vino: la componente decisamente più importante nella formazione del sapore, quella che più di tutte ne determina la percettibilità.

Nella fase espiratoria l’aria che espelliamo fa sprigionare quel sottile strato di cibo rimasto sulle pareti della faringe, liberando gli aromi di bocca attraverso la via retronasale: ecco che avvertiamo la persistenza (“lunghezza in bocca”) di un buon cioccolato o di un cognac, il retrogusto di anice o di liquirizia di un pezzetto di finocchio, e moltissimi altri aromi. In altre parole, le migliaia di aromi di bocca sprigionati dagli alimenti (specialmente da quelli cucinati: il calore accresce la volatilità delle molecole odorose facilitandone l’accesso ai nostri sensi e le alte temperature creano inoltre nuove fragranze che rendono più piacevole l’aroma del cibo) e dalle bevande per effetto della masticazione, del mescolamento del cibo o del vino con la lingua e la saliva, del calore, dell’umidità, dell’arieggiamento, e poi della deglutizione, attraversano la rinofaringe (il canale che collega il naso all’area posteriore della bocca) e raggiungono i recettori olfattivi alloggiati nella cavità nasale, influenzando più di ogni altra sensazione l’esperienza gustativa e la sensazione di piacere che ne scaturisce. La via retronasale rappresenta la fonte principale degli aromi percepiti da alimenti e bevande all’interno della nostra bocca. Configurandosi come i maggiori responsabili della piacevolezza dei cibi, combinandosi con le sensazioni gustative elementari, con quelle tattili e termiche, e con le sensazioni visive legate all’aspetto dei cibi, gli aromi producono quella complessa sensazione crossmodale che chiamiamo sapore.

L’olfatto retronasale, un senso in larga parte sconosciuto, rappresenta, a dire il vero, l’ultima frontiera degli studi sull’odorato e sul sapore: oggi sappiamo che se il naso dei cani si è specializzato nel fiuto e nella cattura degli odori ambientali (olfatto ortonasale), quello umano invece, pur essendo meno sensibile, staccandosi dal suolo si è evoluto per sfruttare l’olfatto retronasale e percepire l’odore quale componente fondamentale del sapore. Questa sensazione complessa con l’introduzione della cottura dei cibi, rendendoli più saporiti e profumati dei cibi crudi, sarebbe diventata determinante, stimolando anche lo sviluppo della cucina. Se siamo l’unica specie in grado di percepire gli aromi degli alimenti si deve anche alla particolare conformazione assunta dalla faringe, dalla bocca e del naso umani nel corso dell’evoluzione: il fatto che le vie respiratorie e quelle in cui passa il cibo non siano separate, come accade in moltissime specie animali, ci espone al rischio di soffocamento quando mastichiamo il cibo, ma per altro verso alla conformazione aperta delle vie aeree corrisponde il beneficio di poter articolare i suoni del linguaggio e di percepire l’aroma di cibi e bevande. Insomma, possiamo «tenere il cibo in bocca e respirarvi sopra prima di inghiottirlo, massimizzando il tal modo le molecole degli odori che si trasferiscono nel naso» (Herz, 2018, pp. 90-91).

La rinofaringe, così come il canale ortonasale negli umani, è peraltro molto più corta e più larga rispetto ai cani e alla maggior parte dei mammiferi, un vantaggio per la percezione dei sapori che così possono raggiungere più facilmente i recettori olfattivi ospitati nella cavità nasale (cfr. Shepherd, 2012, pp. 26-30; 2015). Si ipotizza pertanto che negli umani questa struttura, insieme alla bocca, si sia evoluta – oltre che per la produzione del linguaggio articolato – proprio per migliorare l’olfatto retronasale, un senso divenuto particolarmente importante presumibilmente a partire dal momento in cui abbiamo iniziato a cuocere i cibi con homo ergaster-herectus (circa 1 milione e mezzo di anni fa – cfr. Wrangham et al., 1999; Wrangham, 2009), un’altra attività caratteristica degli animali umani che rende gli alimenti più saporiti e profumati. Insomma, l’invenzione della cucina potrebbe aver determinato modifiche nella bocca e nella faringe tali da favorire l’apprezzamento di una gamma più ricca di sapori e di gusti (cfr. Lieberman, 2011, pp. 272 e ss.) o viceversa, la nostra straordinaria capacità di percepire gli aromi del cibo potrebbe avere favorito l’invenzione della cucina e la sua evoluzione.

Questo dimostrerebbe quanto il naso sia fondamentale per gli animali umani nella neurogastronomia, una scienza nuovissima che cerca di spiegare in che modo il cervello, combinando una molteplicità di dati sensoriali, dia vita alla complessa sensazione del sapore che quotidianamente esperiamo nell’atto di mangiare (cfr. Shepherd, 2012). Agendo in sinergia con l’olfatto ortonasale, l’olfatto retronasale avrebbe perciò compensato la perdita di un gran numero di geni dei recettori olfattivi subita dall’uomo nel corso dell’evoluzione, con vantaggi per la discriminazione di un ricchissimo repertorio di sapori e per la varietà dei nostri regimi alimentari, unitamente allo sviluppo di un cervello più grosso, legato anche al consumo di cibi più saporiti e calorici, come appunto i cibi cotti (cfr. Shepherd, 2004; 2006; 2012). Se i gusti elementari (dolce, salato, acido amaro, umami) sono innati, gli odori retronasali sono frutto di un processo di apprendimento e sono quindi soggetti a quella variazione interindividuale che spiega peraltro l’esistenza di una grandissima varietà di cucine nel mondo e quindi di preferenze alimentari.

In questa complessa tecnologia corporea alloggiata nella bocca, funzionale al mangiare e al parlare, dove l’olfatto retronasale è preminente, accanto ai diversi sistemi sensoriali attivi, i muscoli del sapore svolgono parallelamente un ruolo importante generalmente ignorato:

proprio come esiste un homunculus sensoriale che rappresenta la superficie corporea, con vaste aree dedicate alla lingua e alle labbra, ne esiste uno corrispettivo motorio dotato di un’estensione simile al livello delle labbra e della lingua. Questo rappresenta il maggior numero di microcircuiti corticali preposti alla ricezione degli input sensoriali e al controllo fine dei movimenti delle labbra e della lingua quando mangiamo e beviamo. […] Questo sistema motorio costituisce una parte essenziale del più ampio sistema del sapore

(Shepherd, 2012, pp. 165-166).

Se la respirazione ha una funzione determinante nella generazione del sapore quando mastichiamo e poi deglutiamo, questa sensazione sinestetica è anche frutto di un'attività multimotoria, forse ancora più complessa di quella implicata per la produzione del linguaggio articolato, includente movimenti della lingua, delle labbra, della mascella, delle guance e gli altrettanto complessi meccanismi motori della deglutizione coordinati con quelli della respirazione (cfr. Shepherd, 2015; Lieberman, 2011). I movimenti che consentono di masticare, e di spostare il cibo all’interno della bocca e poi di ingoiarlo, ne migliorano le qualità sensoriali, in particolar modo gli odori retronasali. A completare questo sofisticato sistema senso-motorio coinvolto nella generazione del sapore, e a determinarne la specie-specificità, contribuiscono capacità cerebrali altrettanto peculiari che fanno dell’animale umano l’unico in grado di assaporare cibi e bevande.

Così la percezione e l’apprezzamento del sapore si configura come uno dei comportamenti umani più complessi, elaborato da una rete di circuiti cerebrali sottocorticali e corticali in cui il «sistema percettivo del sapore» è strettamente connesso ai «sistemi d’azione del sapore» (emotivo, decisionale, di memoria, di linguaggio ecc.) che controllano i comportamenti alimentari, e che insieme costituiscono il «sistema cerebrale umano del sapore», coinvolgente numerose aree tra cui: corteccia orbitofrontale, insula anteriore, cingolo, amigdala, ippocampo, giro anteriore del cingolo (cfr. Shepherd, 2012, pp. 171 e ss.). Il che vuol dire che è il cervello a generare il sapore, ricostruendo un complesso puzzle sensoriale-cognitivo, frutto del lavoro sinergico di molteplici sistemi sensoriali, motori e cognitivi. Si può pertanto ipotizzare che il piacere complesso che gli animali umani traggono dal buon cibo sia stato favorito dall’evoluzione che ci ha dotati di una complessa attrezzatura biologica includente capacità cognitive reclutate a sostegno dell’olfatto, combinate con una migliore rivelazione retronasale e con l’invenzione della cucina (cfr. Lieberman, 2011, p. 408).

Tornando all’olfatto retronasale, per rendersi conto della sua importanza nella formazione del sapore dei cibi basta pensare a cosa ci accade quando abbiamo un raffreddore: pur continuando a percepire i gusti di base, il trionfo di zucchero di un dessert o il sapore salato di una costoletta d’agnello alla brace, perdiamo il piacere di assaporare gli alimenti e abbiamo la sensazione di mangiare cotone. Quando il condotto nasale non è libero (ovvero quando si ha la cosiddetta impressione di avere il “naso chiuso”), persino il vino non può esercitare il suo fascino, come sanno bene i sommelier che in questa condizione non possono degustarlo. E se proviamo a fare un piccolo esperimento, quello che gli psicologi chiamano la “prova della molletta” (cfr. Shepherd, 2012, p. 31), turandoci il naso (impedendo all’aria espirata di passarvi attraverso) e bendandoci gli occhi, non saremo in grado di distinguere una fetta di patata da una fetta di mela, il succo d’arancia da quello di mandarino, la carne di manzo da quella di agnello: percepiremo solo le sensazioni del dolce, del salato, dell’acido e dell’amaro e ancora la durezza, la mollezza e la temperatura del cibo (se è caldo o freddo). Se poi proviamo a liberare il naso o ad abbassare il palato, favorendo con un’espirazione la diffusione delle molecole volatili del cibo nella rinofaringe, sentiremo immediatamente il sapore dell’alimento che abbiamo in bocca nella sua pienezza. A questo esercizio vengono sottoposti gli assaggiatori professionisti, i quali durante tutto il percorso formativo sono anche invitati a turarsi il naso per percepire il gusto delle semplici componenti registrate dalla lingua e dal palato e capire così il ruolo delle sostanze aromatiche quando poi liberano il naso.

Il fatto di fondersi con il gusto e con il tatto orale spiega la nostra scarsa consapevolezza del ruolo dell’olfatto retronasale nella formazione del sapore, in genere camuffato dalle altre sensazioni: da qui l’illusione che il sapore arrivi dalla bocca, alla quale in genere si attribuiscono erroneamente gran parte dei meriti del piacere alimentare (cfr. Shepherd, 2012, pp. 31-35). Come osservava già Brillat-Savarin, l’intellettuale gourmet fondatore della scienza gastronomica, “senza la percezione degli odori che si opera nel retrobocca, la sensazione del gusto sarebbe ottusa e imperfetta” (1825, p. 24):

Chi per esempio mangia una pesca, all’inizio è piacevolmente colpito dal profumo che se ne sprigiona; la mette in bocca e prova una sensazione di freschezza e di acidità che lo spinge a continuare; ma solo nel momento in cui deglutisce e il boccone passa sotto la cavità nasale, gli si rivela l’aroma, e ciò completa la sensazione che una pesca deve produrre. Solo dopo averla ingoiata poi, giudica ciò che ha provato e dice a se stesso: “Deliziosa!”

(1825, p. 31).

La «confusione gusto-olfattiva» cui spesso andiamo incontro (cfr. Rozin, 1982), specialmente quando siamo affetti da un raffreddore, non ci permette quindi di avere contezza dei confini tra gusto e olfatto, e ci induce a sopravvalutare il ruolo del primo a scapito del secondo. Ci rendiamo conto così di quanto l’olfatto, e quindi l’aroma, sia coinvolto nelle azioni, semplici solo in apparenza, di assaporare e di godere ciò che mangiamo e beviamo. Stando ad alcune stime, all’incirca l’80% del sapore di un alimento è determinato dall’olfatto retronasale: senza il suo concorso il cibo che ingeriamo perderebbe gran parte della sua squisitezza e dunque del suo appeal.

Affiancando e arricchendo il lavoro del palato, il naso perciò nobilita, completa e valorizza la capacità elementare del gusto, come ben sanno peraltro gli anosmici, le persone che hanno perso l’olfatto in seguito a un’affezione delle vie respiratorie o a un trauma cranico: costrette a vivere in un mondo inodore e insapore, perdono assieme al piacere di mangiare anche quello di vivere, perché incapaci di godere di quelle insostituibili gioie della vita che solo il naso sa darci. Provare a descrivere cosa significhi vivere in un mondo privo di odori non è semplice, solo gli anosmici possono avere contezza di quanto la capacità di avvertire gli odori sia fondamentale in qualsiasi aspetto della vita. Oltretutto, questo tipo di deficit sensoriale in genere non è preso in seria considerazione come la cecità, la sordità o la perdita di altro attributo fisico. Nonostante le turbe dell’olfatto sia considerate secondarie, e talvolta anche banalizzate, possono tuttavia generare un profondo disagio psicologico ed esistenziale nelle persone che ne sono affette – esposte peraltro a rischi per la loro sicurezza – al punto da mandare la loro vita in frantumi (cfr. Cavalieri, 2009, pp. 25-36; Herz, 2018, pp. 86 e ss.; D’Errico, 2019, pp. 83-99; Bensafi, Rouby, 2020, pp. 57-89).

Sono una menomata [afferma una donna divenuta all’improvviso anosmica, dopo un anno di starnuti]: uno dei due milioni di americani che soffrono di anosmia, cioè sono incapaci di sentire odori e sapori (i due sensi sono fisiologicamente collegati) … L’intenso aroma del caffè o il sapore dolce delle arance sono qualcosa di così scontato che quando perdiamo questi sensi ci sembra quasi di non saper respirare. […] Avevo sempre creduto che, se avessi dovuto scegliere, avrei sacrificato l’odorato al gusto, ma d’un tratto mi resi conto di quanto mi fossero mancati gli odori per tutto quel tempo. Diamo per scontato, e non ci accorgiamo, che tutto ha un odore: la gente, l’aria, la nostra casa, la nostra pelle… Mi misi ad aspirare tutti gli odori, buoni o cattivi, come un’ubriaca. Purtroppo il piacere durò solo pochi mesi

(cfr. Ackerman, 1990, pp. 43-45).

4. Il prezzo della ribalta: l’olfatto nell’era della Covid-19

Sebbene le esperienze olfattive umane non riscuotano grande attenzione da parte degli stessi umani, soprattutto per ragioni culturali, alcune esperienze traumatiche come un’anosmia possono renderle particolarmente salienti. Nell’ultimi due anni la Covid-19, la malattia associata all’infezione virale SARS CoV-2, nel bene e nel male ha in un certo senso riabilitato il “figlio di un Dio minore”, l’olfatto appunto, facendone sperimentare l’importanza per la qualità della vita di una persona proprio attraverso la sua perdita temporanea (più o meno prolungata) legata all’infezione. Insomma, anche se traumaticamente, la Covid-19 ha generato consapevolezza del ruolo dell’olfatto per l’apprezzamento del sapore, e non soltanto. Proviamo a capire come e perché.

Fino ad alcuni mesi fa i termini anosmia e ageusia erano ignoti ai più, ma a causa della Covid 19 sono assunti agli “onori” della cronaca, mostrando l’importanza dei due sensi considerati minori, olfatto e gusto, e tuttavia fondamentali nella via quotidiana. Uno dei sintomi di questa infezione virale (ma anche un ottimo indicatore per distinguere questo tipo di infezione da altre patologie respiratorie), che in genere si manifesta nelle forme più moderate della malattia in un numero elevato di soggetti, è proprio un deficit dell’olfatto (anosmia o iposmia), che ha come naturale conseguenza anche la perdita del gusto (ageusia o disgeusia). Le cause ancora non del tutto comprese sono attribuite a un danno del neuroepitelio olfattivo, il tessuto che racchiude i recettori deputati alla cattura degli odori, e/o delle altre cellule dell’epitelio, che è come per altri virus una via di accesso privilegiata per SARS-CoV-2.

Se ogni persona ha sperimentato almeno una volta nella vita la riduzione dell’olfatto e del gusto quando è raffreddata, l’anosmia (e la conseguente ageusia) causata dalla Covid presenta una peculiarità: oltre a causare un deficit sensoriale più severo rispetto a quello prodotto da un raffreddore, che permette ancora di cogliere qualche traccia di odore, si distingue anche per il fatto di non accompagnarsi a naso chiuso o a naso che cola, e di manifestarsi all’improvviso. All’anosmia si può aggiungere in certi casi anche una perdita effettiva del gusto in senso stretto – dal momento che alcuni pazienti non riescono a percepire neppure i gusti di base: dolce, salato, acido e amaro – e della sensibilità trigeminale, responsabile delle percezioni del piccante, della freschezza della menta e delle sostanze chimiche irritanti, le cui cause non sono ancora chiare. Questo significa che il deficit chimico-sensoriale associato alla Covid-19 non si limita all’olfatto ma può coinvolgere tutti i sensi chimici: olfatto, gusto e sensibilità trigeminale (cfr. Bensafi, Rouby, 2020, pp. 104-108).

Benché si tratti di uno dei sintomi meno gravi, tuttavia il suo impatto sulla qualità della vita delle persone, specialmente nei casi in cui persiste oltre le 4-5 settimane, è notevole. I soggetti colpiti (le donne in percentuale più alta degli uomini) lamentano la perdita del piacere di mangiare, e quindi dell’appetito, e acquisiscono improvvisamente contezza di quanto nella vita quotidiana ci si affidi all’odorato senza tuttavia rendersene conto finché non lo si perde: per cucinare, per assaporare i cibi e le bevande vivendone appieno il piacere, per individuare una fuga di gas, un incendio, una pentola che brucia o un cibo andato a male, per controllare l’igiene personale, per le relazioni sociali ecc. Senza contare che il 25-30% dei pazienti va incontro a sintomi depressivi (cfr. Sutherland, 2020; Bensafi, Rouby, 2020, pp. 91-116; Kay, 2020; Harrison, 2020). Ovviamente non si conoscono ancora gli effetti a lungo termine dell’anosmia da Covid sulla qualità della vita delle persone e sulla loro salute psicologica – specialmente di coloro che hanno una perdita più marcata e prolungata nel tempo – poiché richiedono ricerche supplementari attraverso la somministrazione di test psicofisici. Uno degli effetti secondari certi della perdita dell’olfatto è indubbiamente la presa di coscienza dell’importanza e del valore di questo senso per la nostra specie nella quotidianità: per l’autoconservazione, per la spinta a mangiare, per la gratificazione alimentare e più in generale per la qualità della vita.

5. Epilogo

Per concludere, quindi, capire cosa ci accade realmente mentre assaporiamo e annusiamo una pietanza, oltre a renderci più consapevoli di ciò che mangiamo e a determinare la nostra motivazione a mangiare, accresce il piacere che traiamo dal consumo del cibo ma anche la nostra capacità di analizzare un piatto, di apprezzarlo, di giudicarlo e di migliorarlo, e poi rende sia la cucina, sia il consumo del cibo, più eccitanti e divertenti, trasformandoli in un’esperienza intellettuale. Una consapevolezza che andrebbe quindi coltivata.

Nel contempo ci permette di comprendere le nostre possibilità cognitive ed emotive a partire dalla biologia di un organo che solo negli umani nel corso della filogenesi si è strutturato in un certo modo, funzionalizzandosi alla trasformazione di una necessità biologica, cioè il bisogno di nutrirsi, nell’atto di assaporare il cibo e di trarne godimento, un comportamento legato anche allo sviluppo della cucina, e più in generale della cultura alimentare umana, ulteriormente progredita diecimila anni fa con la creazione di nuovi prodotti alimentari frutto dell’agricoltura e dell’allevamento. Ciò vuol dire che la pregiudizievole inferiorità e debolezza del naso non dipende tanto dalla sua biologica quanto piuttosto dalla mancanza di una cultura olfattiva, insomma da quella che si potrebbe definire un’anosmia culturale.

2In una ricerca pubblicata nel 1991 e premiata con il Nobel per la medicina nel 2004, due biochimici americani, Linda Buck e Richard Axel, hanno scoperto i geni che controllano il meccanismo di percezione degli odori e descritto la natura dei recettori olfattivi, cioè delle serrature biologiche capaci di catturarli. Si tratterebbe di una famiglia numerosissima, comprendente almeno 1000 geni differenti da cui avrebbero origine altrettanti recettori olfattivi situati sulle cellule dell’epitelio: nell’uomo quelli attivi sono all’incirca 350 (un numero variabile tra i vari gruppi etnici), cioè l’1% del genoma umano (nel corso dell’evoluzione circa due terzi sono divenuti pseudogeni con la progressiva riduzione del cervello olfattivo – bulbi e corteccia – a favore di un perfezionamento del sistema visivo), nei ratti un migliaio e nei pesci un centinaio (cfr. Buck, Axel, 1991).

Bibliografia

Ackerman, D. Storia naturale dei sensi. (1990) trad. do it. Milano: Frassinelli, 1992. [ Links ]

Aristotele. Del senso e dei sensibili. (DSS). trad. do it. in Opere, vol. 4, Roma-Bari: Laterza, 1998, pp. 195-236. [ Links ]

Aristotele. Dell’anima. (DA) trad. do it. in Opere, vol. 4, Roma-Bari: Laterza, 1983, pp. 97-191. [ Links ]

Bensafi, M., Rouby, C. Cerveau et odorat. Comment (ré)éduquer son nez. Les Ulis: EDP Sciences, France, 2020. [ Links ]

Brillat-Savarin A. Fisiologia del gusto. (1825) trad. do it. in Lettura di Brillat-Savarin di Roland Barthes, pp. 1-273, Palermo: Sellerio, (ed. fr. 1975) 1978. [ Links ]

Broca, P. Recherches sur les centres olfactifs. Revue D’Anthropologie, 2, p. 385, 1879. [ Links ]

Buck L.B., Alex R. A novel multigene family may encode odorant receptors: a molecular basis for odor recognition. Cell, 65, pp. 175-187, 1991. [ Links ]

Bushdid, C., Magnasco, M.O., Vosshall, L.B., Keller, A. Humans can discriminate more than 1 trillion olfactory stimuli. Science, 343, pp. 1370–1372, 2014. [ Links ]

Cavalieri, R. Il naso intelligente. Che cosa ci dicono gli odori, Roma-Bari: Laterza, 2009. [ Links ]

Cavalieri, R. Gusto. L’intelligenza del palato, Roma-Bari: Laterza, 2011. [ Links ]

D’Errico, A. Il senso perfetto. Mai sottovalutare il naso, Torino: Codice Edizioni, 2019. [ Links ]

Harrison, S. Coronavirus: i pazienti che hanno perso l’olfatto, lo recupereranno? National Geographic, 20 agosto 2020. [ Links ]

Herz, R. Perché mangiamo quel che mangiamo. Il gusto spiegato dalla scienza (2018) trad. do it. Torino: EDT, 2020. [ Links ]

Horowitz, A. Una questione di naso. Essere un cane in un mondo di odori. (2016) trad. do it. Milano: Edizioni Sonda, 2018. [ Links ]

Kant I. Antropologia dal punto di vista pragmatico. (1798) trad. do it. in Scritti morali, Torino: UTET, 1970, pp. 535-757. [ Links ]

Kay, L. Why COVID-19 makes people lose their sense of smell. Scientific American, 13 june 2020. [ Links ]

Keller H. Il mondo in cui vivo. (1908) trad. do it. Milano: Fratelli Bocca Ed., 1944. [ Links ]

Lieberman, D.E. The evolution of human head, Cambridge (Mass): Harvard University Press, 2011. [ Links ]

Maresh, A., Rodriguez Gil, D., Whitman, M.C, Greer, C.A. Principles of glomerular organization in the human olfactory bulb – implications for odor precessing. PLoS One, July 9, 2008. [ Links ]

McGann, J. Poor human olfaction is a 19th-century myth. Science, vol. 156, 2017. [ Links ]

Niimura, Y., Matsui, A., Touhara, K. Extreme expansion of the olfactory receptor gene repertoire in african elephants and evolutionarydynamics of orthologous gene groups in 13 placental mammals. Genome Research, 24 (9), pp. 1485-1496, 2014. [ Links ]

Rolls, E. La corteccia prefrontale, l’area del sapore e della ricompensa. In AA.VV., Sensi diVini. Il segreto del cervello nella degustazione, Siena: Enoteca Italiana, pp. 35-43, 2003 [ Links ]

Rolls, E. Taste, olfactory, and food processing in the brain, and the control of food intake. Physiology & Behavior, 85 (1), pp. 45-56, 2005. [ Links ]

Rozin, P. “Taste-smell confucions” and the duality of the olfactory sense. Perception and Psychophysics, 31 (4), pp. 397-401, 1982. [ Links ]

Shepherd, G.M. The human sense of smell: are we better than we think?. PLoS biology, 2 (5), 2004. [ Links ]

Shepherd, G.M. Smell images and the flavour system in the human brain. Nature, 444, pp. 316-321, 2006. [ Links ]

Shepherd G.M. All’origine del gusto. La nuova scienza della neurogastronomia. (2012) trad. do it. Torino: Codice Edizioni, 2014. [ Links ]

Shepherd, G.M. Neuroenology: how the brain creates the taste of wine. Flavour, 4, 2015. [ Links ]

Sutherland, S. Mysteries of COVID smell loss finally yield some answers. Scientific American, 18 nov. 2020. [ Links ]

Turner, W. The convolutions of the brain: a study in comparative anatomy. Journal of Anatomy, 25, pp. 105-153, 1890. [ Links ]

Wrangham, R.W. L’intelligenza del fuoco. L’invenzione della cottura e l’evoluzione dell’uomo. (2009) trad . do it. Torino: Bollati Boringhieri, 2011. [ Links ]

Wrangham, R.W., Jones, J.H., Laden, G., Pilbeam, D., Conklin-Brittain, N.L. The raw and the stolen: cooking and the ecology of human origins. Current Anthropology, 40, pp. 567-594, 1999. [ Links ]

Received: July 15, 2022; Accepted: September 19, 2022

Creative Commons License Este é um artigo publicado em acesso aberto (Open Access) sob a licença Creative Commons Attribution, que permite uso, distribuição e reprodução em qualquer meio, sem restrições desde que o trabalho original seja corretamente citado.