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Educar em Revista

versão impressa ISSN 0104-4060versão On-line ISSN 1984-0411

Educ. Rev. vol.35 no.77 Curitiba set./out 2019  Epub 25-Out-2019

https://doi.org/10.1590/0104-4060.68387 

DOSSIÊ - Manuais escolares e mídias educativas: temas e perspectivas de investigação

Nuove pratiche di studio. Indagine sull’uso di nuove e vecchie tecnologie tra studenti universitari

*University of Florence. Center for Generative Communication - Department of Political and Social Sciences. Florence, Italy. E-mail: ilaria.marchionne@unifi.it. https://orcid.org/0000-0003-1747-9583..

**Istituto Nazionale Documentazione Innovazione Ricerca Educativa (INDIRE). Firenze, Italia. E-mail: r.bartolini@indire.it. https://orcid.org/0000-0002-6713-2775.

***Universidad de Salamanca. Salamanca, España. E-mail: taisarodrigues@usal.es. https://orcid.org/0000-0003-1729-6293.


SINTESI

Il presente contributo presenta i risultati di una ricerca qualitativa effettuata con un campione di studenti dell’Università di Firenze finalizzata ad indagare e descrivere, attraverso un processo di indagine qualitativa, le pratiche di studio degli studenti universitari, facendo riferimento all’uso integrato che fanno delle vecchie e nuove modalità di comunicazione, dei testi tradizionali e delle piattaforme e strumenti digitali tra i più famoso e diffuso. All’interno di questo vasto campo di ricerca, la ricerca si concentra in particolare sulla relazione che, attraverso i nuovi strumenti, viene stabilita tra studente e insegnante, tra studente e colleghi e tra studente e testi di studio. L’analisi volta a descrivere nuove abitudini, cercherà di intercettare vantaggi e difficoltà legati all’uso del digitale e di analizzare, in particolare, come l’uso di nuovi metodi di comunicazione o nuove forme di testualità può favorire o inibire la comunicazione in un ambiente universitario.

Parole chiave: Comunicazione generative; Formazione; Strumenti digitali; Nuove tecnologie

ABSTRACT

In a context of “widespread communication”, supported by new tools and work environments, study practices also change, profoundly transforming students’ habits and behaviors. The research in question intends to investigate and describe, through a narrative inquiry process, the study practices of university students, making reference to the integrated use they make of old and new modes of communication, of traditional texts and of digital platforms and tools among the most famous and widespread. The research focuses in particular on the relationship that, through the new tools, is established between the student and the teacher, between the student and colleagues and between the student and the study texts. The analysis aimed at describing new habits, will try to demarcate advantages and difficulties related to the use of digital and to analyze, specifically, how the use of new communication methods or new forms of textuality can favor or inhibit communication within the university environment.

Keywords: Generative communication; Training; Digital tools; New technologies

RESUMO

Em um contexto de “comunicação generalizada”, apoiado por novas ferramentas e ambientes de trabalho, as práticas de estudo também mudam, transformando profundamente os hábitos e comportamentos dos alunos. A pesquisa relatada descreve analiticamente, por meio de um processo de investigação narrativa, as práticas de estudo de universitários, fazendo referência ao uso integrado que fazem de antigos e novos modos de comunicação, de textos tradicionais e de plataformas e ferramentas digitais entre os mais usuais e difundidos. Dentro deste vasto campo de pesquisa, focaliza-se em particular a relação que, mediada pelas novas ferramentas, se estabelece entre o aluno e o professor, entre o aluno e os colegas e entre o aluno e os textos de estudo. Descrevendo novos hábitos, a análise objetivou delimitar vantagens e dificuldades relacionadas ao uso do digital, apontando especificamente como o uso de novos métodos de comunicação ou novas formas de textualidade pode favorecer ou inibir a comunicação em um ambiente universitário.

Palavras-chave: Comunicação generativa; Formação; Ferramentas digitais; Novas tecnologias

Premessa

Negli ultimi anni, i profondi cambiamenti introdotti nella comunicazione e nell’informazione hanno contribuito a riconfigurare le pratiche di studio in ogni ordine e grado di scuola, così come in ambito universitario. Gli strumenti oggi a disposizione ampliano le possibilità offerte agli studenti di acquisire nuovi elementi di conoscenza e modificano, di conseguenza, il modo in cui viene affrontato il personale percorso di formazione. La facilità con cui si accede ad una molteplicità di fonti per approfondire le conoscenze maturate, la possibilità di utilizzare forme testuali diversificate per la sintesi e la ricognizione delle nozioni apprese, l’accesso ad ambienti di formazione all’interno dei quali costruire proficui scambi con colleghi, la possibilità di stabilire una comunicazione più continuativa con i docenti rappresentano oggi opportunità preziose per lo studente.

Tuttavia, in uno scenario che pone particolare attenzione all’innovazione e alla didattica con i nuovi media, sfugge, talvolta, quanto realmente accada nel “laboratorio dello studente” e sono scarsamente noti a chi insegna o ricerca i comportamenti effettivi di chi studia, le nuove pratiche di interazione con gli innumerevoli strumenti a disposizione (Anichini, 2012). Il libro di testo, le dispense fornite dal docente, le spiegazioni in presenza, sono ancora oggi l’unico strumento utilizzato nella preparazione d’esame? Quanto sopravvivono vecchie abitudini come quella di prendere appunti o di ripetere a voce alta, di porre domande o scambiarsi informazioni? Cosa è cambiato nella modalità di rapportarsi alla lezione in presenza e al docente? Quanto questa ricchezza di strumentazione oggi a disposizione corrisponde, di fatto, ad una valorizzazione del processo formativo, ad un reale arricchimento delle opportunità comunicative dello studente, ad una maggiore consapevolezza (Cambi, 2010), ad un ruolo più attivo nel processo di costruzione della conoscenza, una maggiore fiducia nei confronti delle istituzioni formative?

La ricerca presentata in questa sede non ha l’ambizione di fornire risposte a interrogativi così complessi che meritano senza dubbio un’analisi e uno studio molto più approfondito; si prefigge solo di osservare, descrivere comportamenti, analizzare le relazioni che si stabiliscono tra docente, studenti e ambiente di formazione - mettendone in risalto punti di forza e elementi di criticità - nell’ottica di una rivisitazione dei tradizionali paradigmi formativi e della definizione di nuovi modelli, che assegnino un ruolo distintivo all’interazione, alla collaborazione e alla sperimentazione - dentro e fuori la classe; con l’intento, anche, di intercettare ed analizzare lo scarto tra aspettativa e disillusione, che sembra caratterizzare, talvolta, l’approccio all’innovazione, alle pratiche consentite dai nuovi strumenti digitali.

Descrivere le nuove abitudini di studio significa quindi cercare di capire come lo studente affronti oggi la preparazione di un esame universitario, dai suoi primi contatti con il programma, su su fino alla rielaborazione degli argomenti, compiuta tramite lo studio dei materiali e il confronto con colleghi e docenti. Significa cogliere in dettaglio il rapporto che si stabilisce tra vecchi e nuovi comportamenti e tentare di comprendere quanto le nuove consuetudini possano arricchire o, viceversa, in qualche caso, rendere meno significativo il percorso di studio individuale.

La scelta di utilizzare la scrittura (si veda il diario di bordo redatto dagli studenti stessi presentato di seguito) come strumento di indagine si basa sulla fiducia nella scrittura come dispositivo in grado di favorire il coinvolgimento degli studenti, in quanto oggetti/soggetti dell’osservazione, predisponendoli anche ad una pratica riflessiva che è parte fondante di ogni percorso di formazione autentico ed efficace (Akkaraiu, 2016).

L’auspicio è che questa ricerca, circoscritta nel tempo e per il numero di studenti coinvolti, possa rappresentare il primo passo di un’indagine più ampia, volta ad arricchire la conoscenza di ciò che si sta verificando, in un ambito delicato quale quello della formazione (nei diversi ordini e gradi), al fine di poter procedere ad analisi puntuali dei comportamenti emergenti in una realtà in rapida trasformazione. La logica che ci muove è quella di superare, inoltre, le ragioni di una disputa che vede nuove e vecchie tecnologie, nuovi e vecchi metodi a confronto, in nome del recupero di un approccio funzionale alle attività di studio e alla costruzione della conoscenza, di un’idea ‘ecologica’ di ambiente di formazione, reticolare e complesso, ma funzionale sempre alla crescita consapevole del soggetto.

Lo scenario scientifico di riferimento

La credenza che lo sviluppo tecnologico e che le macchine possano rappresentare un valente alleato per l’apprendimento data ormai qualche anno. In uno studio promosso dal Pew Internet Research nel 2016, John Horrigan (Horrigan, 2016) ricostruisce una breve storia della fiducia assegnata alle tecnologie della comunicazione, considerate strumenti attivi di apprendimento e di formazione per tutti. Prima il telefono (siamo nel 1912) e poi il cinema furono considerati potenziali strumenti di formazione. Lo stesso Thomas Edison prospettava un futuro in cui filmati educativi avrebbero sostituito il libro di testo: “I believe that the motion picture is destined to revolutionize our educational system and that in a few years it will supplant largely, if not entirely, the use of textbooks” scriveva nel 1922. Qualche anno dopo la radio fu definita the Assistant Teacher, un’assistente in grado di portare il mondo dentro le classi, così come, di lì a breve, molti si proclamarono entusiasti sostenitori della televisione, come mezzo per cui l’informazione avrebbe potuto facilmente giungere nelle case di ogni cittadino. Ognuna di queste posizioni poneva l’accento sulle potenzialità assegnate alle macchine in merito alla diffusione della conoscenza e al loro potenziale contributo all’alfabetizzazione della popolazione, senza riferimenti espliciti ai diversi aspetti della formazione.

Dalla comparsa di Internet (Castells, 2001) in poi, ha inizio la storia che è sotto gli occhi di tutti: educatori, genitori, studenti. La ricchezza dei contenuti disponibili per tutti e gli strumenti digitali hanno contribuito alla ridefinizione della missione stessa delle istituzioni educative e dei principali attori che operano all’interno di esse, con implicazioni importanti circa le loro responsabilità e competenze professionali.

L’accesso potenziale ad un bagaglio sempre crescente di informazioni e conoscenze, che sembra connotare i nostri anni, pone come problema principale quello di imparare a fare buon uso di questo privilegio. Secondo J. L. Martin, l’information literacy è un concetto fluido, determinato dalle nostre esperienze e dai cambiamenti nella società dell’informazione (Martin, 2013). La quantità di informazioni disponibili online è sorprendente e trovare i modi migliori per la ricerca e l’accesso ai dati è difficile senza la guida di qualcuno che aiuti ad orientarsi, a recuperare informazioni, a valutare le fonti.

Nel 2013 la International Federation of Library Associations and Institutions (IFLA) ha pubblicato un rapporto dal titolo Cavalcando le onde o catturati nella marea in cui si elencano le cinque tendenze destinate a modificare il nostro ambiente di informazione/formazione. La prima fa riferimento all’universo digitale che, in continua espansione, attribuisce sempre maggior valore allo sviluppo di competenze di “alfabetizzazione informativa”, ovvero alla capacità di lettura critica dei dati che diverrà competenza indispensabile per il futuro. La seconda considera come la rapida espansione di quantità di informazione e di risorse educative online moltiplichino le opportunità di apprendimento, le rendano più economiche ed accessibili e generino, quindi, un sempre maggior riconoscimento per l’apprendimento non formale e informale. La quinta mostra come la proliferazione di dispositivi mobili iperconnessi è destinata a trasformare l’economia globale dell’informazione. Tre delle cinque tendenze hanno a che fare, quindi, con il tema dell’informazione digitale e dell’apprendimento, ponendo una questione che non può essere trascurata: insistere sulle grandi potenzialità delle nuove tecnologie in relazione all’accesso all’informazione significa ammettere il loro potenziale legame con lo sviluppo cognitivo di ogni soggetto.

Oltre al tema dell’informazione, si è scritto anche a proposito del valore socializzante delle nuove tecnologie, in nome di un’idea di connettività che sembrerebbe favorire il superamento dei tradizionale approcci formativi. Si è parlato di conoscenza distribuita e di una tecnologia che ci permette l’aggiornamento continuo sui progressi nei diversi ambiti disciplinari, raggiunto anche e soprattutto tramite l’interazione con una comunità di utenti. Stephen Downes (2016) ha postulato l’esistenza di tre principi fondamentali per qualsiasi forma di apprendimento in rete:

  • l’interazione: impariamo dagli altri e altri imparano da noi; ognuno deve creare una propria rete di interazioni e inserirsi al centro di essa;

  • l’usabilità: l’apprendimento deve essere coerente e facile per poter essere ben organizzato;

  • la rilevanza: si deve imparare ciò che è rilevante e importante in quel preciso momento; questo si ottiene accedendo al contenuto di cui abbiamo bisogno e depositandolo nel luogo più adeguato.

Affermazioni discutibili, certo, ma il mondo della formazione sembra subire il fascino e l’influenza dello sviluppo esponenziale delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Esse vengono considerate il perno di un sostanziale cambiamento del paradigma educativo, dal momento che richiedono nuove competenze per i cosiddetti cittadini della società della conoscenza, “nativi digitali”, “millennials” (Howe, Strauss, 2000) o membri della “Net Generation” (Tapscott, 1998). Etichette queste che, svelando un tacito rimando a forme di determinismo tecnologico, hanno polarizzato in questi ultimi anni innumerevoli dibattiti in materia di istruzione.

In questo contesto, è richiesto ai docenti di adattarsi ad un mondo in costante trasformazione e di attrezzarsi per riuscire a formare gli studenti fornendo loro le risorse necessarie per adeguarsi ad una società versatile, che richiede ai giovani di “imparare ad imparare” e anche a disimparare; di formare cittadini autonomi e flessibili, vocati ad atteggiamenti riflessivi, in una società dove l’incertezza e il cambiamento sembrano fare da padroni. Alcuni settori della pedagogia sostengono l’utilizzo di qualsiasi tecnologia disponibile come leva per la motivazione ad apprendere. Il tema della motivazione resta una delle argomentazioni principali portata a sostegno del ricorso all’uso delle tecnologie didattiche.

Risulta chiaro, tuttavia, come l’uso della tecnologia di per sé non sia in grado di determinare un cambiamento profondo dei sistemi formativi e modificare l’approccio di coloro che sostengono che le lezioni, gli esami, i test e il “giardino murato dell’apprendimento” siano l’apice dell’educazione.

Alcuni studi predittivi di sociologia, condotti sugli scenari possibili dell’educazione del 21º secolo (Cornali, 2013) prefigurano la scomparsa della scuola, in linea con idee che risalgono alla metà del secolo scorso (Illich, 1971), ma sostanziate oggi dal fatto che i docenti in carne ed ossa, presenti in edifici deputati all’apprendimento, possano facilmente essere sostituiti da corsi a distanza di nuovissima generazione, alla portata di tutti. I “massive open online courses - MOOCs” sono stati considerati la scommessa degli ultimi anni, pensati in nome di una democratizzazione della conoscenza, ma funzionali anche a politiche di riduzione della spesa per l’istruzione, sostenuta dai governi, per lo più statunitensi. I nuovi media, nuovi al cospetto del libro (ancora oggi strumento dominante nei percorsi di formazione di studenti di tutto il mondo), sembrano destinati a soppiantare la sua funzione di conservazione e trasferimento della conoscenza o almeno a divenire compartecipi del processo di apprendimento.

La questione ha sollevato una disputa tuttora in corso che appassiona sociologi, pedagogisti e psicologi, impegnati a dimostrare, in questa fase di transizione che dura ormai da qualche anno, quanto la tradizione o l’innovazione dei metodi e degli strumenti educativi possa contribuire al successo della formazione. È la riproposizione, in ambito formativo, della vecchia contrapposizione tra “apocalittici” e “integrati”. La questione, tuttavia, non è se le nuove tecnologie facciano bene o male all’istruzione e all’educazione, si tratta di capire, semmai, quali processi formativi esse siano in grado di favorire o, viceversa, di ostacolare in una visione ecologica dell’ambiente formativo, che tenga conto di una serie innumerevoli di variabili.

Anche la morte del libro di testo è stata annunciata e smentita da un numero considerevole di studi, favorita in parte dalle politiche recenti che obbligano, anche in Italia, le scuole dei diversi ordini e gradi ad adottare libri digitali o anche a sostituire il libro in adozione con contenuti didattici digitali recuperati in Rete (OER, Open Educational Resources) o addirittura autoprodotti dai docenti e dagli studenti (Legge 128/2013). Di contro alle direttive istituzionali di molti paesi, o di organismi sovranazionali quali la Comunità Europea o l’OCSE, la digitalizzazione dei percorsi di formazione non è ancora accolta favorevolmente da parte degli attori del processo, dai docenti e dagli studenti stessi. Questi ultimi, in particolare, dimostrano una certa resistenza nei confronti dell’abbandono dei tradizionali strumenti didattici (OECD, 2006; OECD, 2010).

Alcune ricerche rivelano, infatti, quanto coloro che sono stati definiti ‘nativi digitali’ dichiarino di preferire la carta ogni volta che venga richiesta un’attività di lettura più approfondita, verticale, da non confondere con l’attività di ‘serfing’ praticata lontano dai contesti di studio (Baron, 2015). L’autorevolezza accordata al libro di carta sembra sostenuta da un’opinione diffusa presso le giovani generazioni che vede nel libro tradizionale una fonte di informazione più attendibile rispetto alla rete: secondo recenti studi (CIT) il 62% dei giovani sotto i 30 è convinto, infatti, di dover cercare nelle biblioteche informazioni utili per lo studio e riservare alla lettura per svago il tempo trascorso in rete.

Studiare sulla carta risulta più semplice, ad esempio, per gli studenti delle materie umanistiche della University of Washington: il dato si rileva da una ricerca sull’uso dei libri di testo e delle piattaforme per l’apprendimento che l’Università ha svolto nel 2013. La ricerca indaga anche la percezione dello studente circa il proprio profilo di lettore: un lettore che risulta mediamente attivo e scarsamente sociale, in base ad una scala Likert proposta dai ricercatori: (5) indicated an active reader (defined as reading that involves highlighting, note taking, and outlining) and (1) indicated a passive reader (defined as reading without highlighting, note taking, or outlining). (5) indicated a social reader (defined as discussing and sharing readings with others; sharing observations and ideas acquired through reading), (1) is defined as doing the reading without discussing it with others (Giacomini et al., 2013).

Anche per la lettura di svago i giovani tra tra i 13 e i 17 anni sembrano preferire i libri cartacei: il dato è fornito da una ricerca condotta dalla Nielsen, che rivela come il numero di ebook acquistati dai giovani lettori sia indirettamente proporzionale all’età.

Più nello specifico entrano altre ricerche, tra cui lo studio condotto da Anne Mangen della Norway’s Stavanger University, che nel 2012 ha indagato la relazione tra comprensione del testo e supporto. The results of this study indicate that reading linear narrative and expository texts on a computer screen leads to poorer reading comprehension than reading the same texts on paper (Mangen, 2013). La ricerca allude alle implicazioni pedagogiche di questo risultato: la diversa modalità di presentazione di un contenuto avrebbe notevoli influenze sulla comprensione profonda del testo e sulla memorizzazione dei contenuti.

La questione è complessa e merita senza dubbio analisi approfondite, svolte il più possibile con una disponibilità ad accogliere spinte innovative, ma anche a ‘raccontare’ un futuro che sia praticabile e orientato da una cultura pedagogica e sociologica matura, che tenga conto, infine, della voce dei suoi diretti protagonisti, gli studenti. Sollecitare un loro ruolo attivo nella riconfigurazione dei modelli formativi significa dare voce alla loro percezione dei percorsi formativi e degli strumenti a disposizione; alle loro esigenze e difficoltà incontrate, per aiutarli ad un esercizio di consapevolezza che rappresenta senza dubbio il primo gradino di competenza per il futuro (Demetrio, 1996).

Il progetto e le sue fasi

Partendo dallo scenario appena descritto, il progetto “Nuove pratiche di studio. Indagine sull’uso di nuove e vecchie tecnologie tra gli studenti universitari”, condotto dal Center for Generative Communication dell’Università di Firenze in collaborazione con Alessandra Anichini (ricercatrice INDIRE) e Jose Antonio Cordón García (Direttore del Gruppo E-Lectra dell’Università di Salamanca), intende indagare e descrivere le pratiche e le abitudini di studio degli studenti universitari italiani e spagnoli, facendo riferimento all’uso integrato che questi fanno della comunicazione e della testualità tradizionalmente intese - manuali, libri di testo, appunti, etc., in combinazione con piattaforme e strumenti digitali più noti e diffusi - Wikipedia, portali tematici, siti di approfondimento, blog, social network.

Obiettivo del progetto è quello di descrivere quali siano le principali modalità di studio utilizzate per la preparazione di un esame in ambito umanistico, con particolare riferimento all’integrazione di nuovi canali e strumenti digitali con le tradizionali forme testuali e di comunicazione. All’interno di questo vasto ambito di indagine, la ricerca si concentra in particolare sulla presenza del ‘dialogo’ nelle pratiche di studio; un dialogo inteso come relazione di confronto e scambio che si stabilisce a vari livelli: tra studente e docente, tra studente e colleghi e tra lo studente e gli stessi testi di studio. L’analisi cerca quindi di descrivere il modo in cui i nuovi strumenti di comunicazione e i nuovi testi riescano a favorire o, viceversa, ad inibire la relazione che lo studente stabilisce con il docente, con i colleghi e con i contenuti didattici, proprio in base alle abitudini di studio apprese. In questo scenario, il digitale può, infatti, rappresentare un valore aggiunto solo se promuove nello studente un atteggiamento realmente creativo e propositivo che gli permetta di appropriarsi e rielaborare individualmente e socialmente i vari contenuti affrontati (Jenkins, 2006).

Obiettivo implicito del progetto è inoltre quello di ‘risvegliare’ negli studenti un’attenzione più diretta alle proprie abitudini di studio, alla motivazione, nella direzione dello sviluppo di una pratica riflessiva che divenga strumento di appropriazione dei contenuti di studio, oltre che di auto-analisi. Una riflessione che contribuisca a restituire agli attori primi della formazione la consapevolezza di un ruolo attivo nei confronti del proprio percorso di crescita, assieme ad una responsabilità più ampia nei confronti dei processi di trasformazione che l’istituzione formativa sta attraversando.

Seguendo la metodologia generativa (Toschi, 2011) sono state analizzate da vicino le dinamiche messe in atto all’interno di due classi di studenti, per capire come le relazioni che si instaurano tra di loro, tra i docenti e tra i materiali di studio creino, de facto, un ambiente formativo complesso e mutevole.

Il progetto (i cui passaggi sono analiticamente descritti nelle pagine seguenti) ha previsto una prima fase di ricognizione attenta dello scenario teorico di riferimento, che ha consentito la messa a punto della prima bozza di ricerca. Successivamente è seguita una fase preliminare di ascolto diretto di un campione di soggetti, attraverso interviste semi-strutturate. Questa fase preliminare ha avuto lo scopo di definire ulteriormente il focus e l’impianto della ricerca, la campionatura dei soggetti, le domande e gli input che sono stati sottoposti agli studenti nella fase successiva. Il campione selezionato nella fase preliminare è quantitativamente e qualitativamente simile a quello preso in esame per sviluppare il progetto vero e proprio. La fase successiva (che definiremo d’ora in avanti Fase 2) si è concentrata sull’indagine delle principali modalità di studio per la preparazione di un esame in ambito umanistico adottate da un campione rappresentativo di studenti iscritti ad corso di Laurea Magistrale di Teorie della comunicazione dell’Università di Firenze.

Seguendo le principali indicazioni della Narrative Inquiry (Clandinin, 2007), la ricerca è stata condotta attraverso l’analisi di un diario personale, presente all’interno di un ambiente formativo digitale creato ad hoc, in cui lo studente è stato chiamato a raccontare settimanalmente le proprie abitudini di studio.

Il ruolo del ricercatore è stato quello di monitorare l’andamento della scrittura, interagendo con gli studenti, facendo loro domande o chiedendo di approfondire aspetti che risultavano poco chiari. Durante la terza fase (Fase 3), i contenuti emersi dai diari sono stati raccolti e sottoposti a content analysis, secondo una metodologia specifica che ha cercato di andare oltre quanto esplicitamente scritto dagli studenti, per individuare i pattern comuni di comportamento.

La metodologia generativa

La ricerca in oggetto applica la metodologia generativa, sperimentata dal Center for Generative Communication (CfGC), ad un campo d’indagine che rappresenta uno dei focus dell’attività del Centro stesso: la relazione che si instaura, seppur in contesti diversi, tra dimensione simbolica e dimensione reale, attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie.

La prospettiva generativa parte dall’assunto che il sistema comunicativo che oggi contraddistingue le dinamiche sociali stia considerevolmente rafforzando la dimensione trasmissiva, gerarchica, emulativa dei processi comunicativi (Castells, 2002) e formativi, facendosi espressione di una cultura che tende a penalizzare, di fatto e a rallentare l’emergere della conoscenza implicita ed esplicita di cui tutti siamo portatori. Il modello generativo della comunicazione si propone, al contrario, di definire un ambiente ‘generativo’ di conoscenza, di esperienza, di saperi che sia in grado di valorizzare e far maturare nei soggetti coinvolti nel processo, la consapevolezza dell’esistenza di conoscenze ignorate, negate, inibite dall’organizzazione (Toschi, 2012). L’obiettivo della comunicazione generativa è quello di andare oltre l’alternanza fra processi improntati su modelli top-down o bottom-up, nella direzione di un rafforzamento dell’integrazione - anche conflittuale - fra le due modalità comunicative.

La metodologia generativa attiva strategie e processi comunicativi che sono in grado di intercettare e intervenire direttamente sui bisogni - espressi e inespressi - e sulle diverse problematiche riscontrate in diversi ambiti: socio-culturale, politico ed economico. L’approccio alla ricerca è sempre “partecipante”, vede cioè il ricercatore impegnato in prima persona nella lettura e interpretazione degli elementi e dei dati che emergono in corso d’opera. Le domande di partenza, alla base della ricerca, sono fortemente connotate, rispecchiano cioè un’interpretazione e un progetto ideologico-valoriale esplicito di cui il ricercatore si fa promotore, ma vengono corrette e riformulate a seguito del dialogo che si attiva con l’oggetto e i soggetti della ricerca stessa. L’attenzione al dialogo costante tra le parti implica, inoltre, un coinvolgimento consapevole dei soggetti osservati, chiamati a partecipare a tutte le fasi della ricerca e a condividere l’impianto di fondo del progetto stesso.

Il coinvolgimento attivo di tutti i soggetti (in questo caso studenti, docente e ricercatori, per l’intera durata di un corso) sollecitato di volta in volta secondo strategie diverse (dalle pratiche di scrittura, alle interviste o alle riprese video, utilizzate sempre come strumenti di dialogo, contribuisce a riconfigurare l’ambiente di osservazione già dal momento di avvio, disinnescando dinamiche date, introducendo elementi di novità che hanno la forza di produrre, già in corso d’opera, alcuni effetti osservabili (Toschi, 2015a; Toschi, 2015b).

Diversa è anche la modalità con cui vengono trattati i dati durante la fase di lettura degli stessi. Pur riprendendo i principali modelli teorici e di analisi del contenuto (Berelson, 1952; Krippendorff, 1983; Laswell, 1950; De Lillo, 1971) i ricercatori ne hanno proposto una rilettura improntata alla metodologia generativa. Nello specifico, considerato anche il numero limitato del campione di soggetti coinvolti, più che sulle modalità di lettura automatizzata dei dati (si pensi ai diversi software oggi in commercio) è stata posta molta attenzione sull’analisi approfondita delle relazioni sottese ai contenuti esplicitati, mettendo in atto un tipo di analisi qualitativa attenta a valorizzare la relazione tra “filologia” e “critica”, ovvero il rapporto tra i dati puntuali e le informazioni che emergono dalla lettura (in questo caso dei diari degli studenti) e l’interpretazione avanzata dai ricercatori nel momento in cui vanno a rileggere, analizzare e contestualizzare tali informazioni all’interno di un panorama scientifico ben definito, inquadrato dalle domande di ricerca del progetto e, soprattutto, dalla prima ipotesi di soluzione e di risposta. I due momenti (filologia e critica) seppur affrontati in tempi successivi hanno una compresenza a variabilità di peso. È fuori dubbio, infatti, che se in un primo momento la parte maggiormente “filologica” emerge con più forza, è vero anche che la parte “critica” inizia già a definirsi in maniera chiara e a mettere in discussione (e qui ha origine il processo generativo vero e proprio) il tipo di raccolta di dati messo in atto, la selezione delle informazioni e, di conseguenza, le stesse domande di ricerca che sono alla base del progetto (Rositi, 1971). Viceversa, nel secondo momento dell’analisi, seppur maggiormente concentrato sulla lettura e interpretazione “critica” dei dati, il meccanismo generativo porta spesso ad un intervento massiccio sia nella ridefinizione delle domande di ricerca, che nel tipo di campionatura dei dati adottato nella parte filologica. Entrambi i momenti di content analysis sono naturalmente generativi poiché non vanno semplicemente a rispondere alle domande iniziali, andando a riempire una griglia precedentemente impostata, ma arrivano a porsi criticamente nei confronti delle domande formalizzate in partenza. La content analysis, quindi, contribuisce in maniera significativa alla ricerca nel momento in cui individua, analizza e mette in discussione le relazioni che si instaurano tra i dati di primo livello - quelli espressamente formalizzati dagli studenti - e i dati di secondo livello, quelli impliciti e non formalizzati che emergono nel momento in cui il ricercatore, leggendo i dati di primo livello, li interpreta e li discute tenendo conto delle domande che sono alla base della sua ricerca ed individuando i fili e le relazioni non sempre esplicite che legano i dati stessi.

Le fasi del progetto

Fase 1. Le interviste per la definizione della Griglia di analisi

Il progetto ha previsto una fase preliminare (Fase 1) di ascolto di un campione rappresentativo di studenti. Tale fase, propedeutica alla sperimentazione vera e propria, sviluppata in un secondo momento, ha previsto una serie di interviste semi-strutturate attente a rilevare le abitudini di studio degli studenti di un corso di laurea magistrale, afferente all’ambito umanistico. La Fase 1, che si è svolta tra i mesi di giugno e luglio del 2016, si è concentrata prevalentemente sulla definizione della metodologia, delle tematiche, delle domande di ricerca e della prima formulazione della griglia di content analysis.

Le interviste sono state svolte dalle ricercatrici del Center for Generative Communication e del gruppo E-Lectra, nell’ottica di definire un protocollo comune e attivare un confronto strutturato tra le abitudini e i comportamenti di studio degli studenti italiani e spagnoli, che seguono corsi di laurea afferenti all’ambito umanistico. Per agevolare il lavoro del gruppo, tutte le interviste si sono svolte all’interno dei locali del CfGC e sono state audio-registrate, previo permesso dell’intervistato, per permettere un eventuale ascolto e una rilettura successiva dei dati. Ogni singola intervista ha avuto la durata media di 45 minuti ed è stata tenuta da un intervistatore, che ha condotto e gestito il momento in presenza e da un partner di progetto che ha provveduto alla prima verbalizzazione dell’intervista stessa. Di ogni intervista, quindi, sono stati archiviati sia le audio-registrazioni che i verbali di quanto emerso.

Entrando nel merito dei contenuti dell’intervista, le domande sono andate ad analizzare nel dettaglio le abitudini di studio e i comportamenti adottati da ogni singolo corsista prima dell’inizio, durante lo svolgimento e dopo la fine di un corso. In ognuno di questi tre momenti i ricercatori hanno cercato di far emergere soprattutto quegli elementi di conoscenza legati da un lato alla presenza, o meno, della dimensione dialogica all’interno delle pratiche di studio tra studente e docente, tra studente e colleghi e tra lo studente e gli stessi testi di studio; dall’altro al modo in cui i nuovi strumenti di comunicazione e le nuove tecnologie possano favorire o, in alcuni casi inibire, la relazione che lo studente stabilisce con il docente, con i colleghi e con i contenuti didattici.

L’obiettivo principale è stato quello di individuare gli ambiti, le tematiche e la struttura di quella che sarebbe stata poi la griglia di partenza della content analysis ulteriormente sviluppata e utilizzata nella seconda fase del progetto su un campione differente di soggetti, seppur con caratteristiche simili.

I primi risultati emersi hanno di fatto confermato l’impianto e il taglio interpretativo dato alla ricerca. Molte delle domande poste, infatti, hanno messo in luce i punti di forza assieme alle criticità che, seppur in maniera differente, sorgono nella gestione quotidiana del rapporto tra il singolo studente e il docente e tra lo studente e un ambiente formativo, che si presenta a tutti gli effetti poco attento e funzionale a soddisfare i suoi bisogni e le sue esigenze.

La fase 1 ha posto in risalto un altro nodo estremamente significativo su cui la seconda parte della sperimentazione è andata a porre maggiormente l’attenzione, ovvero il disagio relazionale vissuto dagli studenti stessi. È emersa con chiarezza, infatti, la difficoltà che gli studenti incontrano nel formulare domande in classe durante le lezioni, domande tese a chiarire gli argomenti trattati nel corso. Sembra mancare, dunque, quella cultura della domanda, così fondamentale in un ambiente di formazione efficace, che consenta agli studenti di creare un rapporto di reale scambio e confronto con se stessi prima, e con gli altri poi.

In questa situazione, spesso, il canale privilegiato per comprendere meglio i concetti affrontati e per informarsi su elementi poco chiari diventa la Rete. Una soluzione compensatoria ad una mancanza di confronto diretto. Anche la relazione con il compagno di corso sembra subire lo stesso destino: la difficoltà di scambio rappresenta una costante per gli studenti intervistati. Tale difficoltà verrebbe meno nel momento in cui le richieste di aiuto non vengano formulate di persona, ma attraverso device e canali social. Applicazioni come Whatsapp, Skype, Google Hangout e Facebook, infatti, vengono molto utilizzate per creare una rete virtuale dentro la quale condividere dubbi e informazioni.

Ultimo dato significativo, riscontrato nella fase preliminare dell’indagine, è strettamente collegato all’utilità riconosciuta alla lezione in presenza; seppur l’utilizzo di canali e ambienti online sia molto in crescita tra gli studenti, la lezione in presenza rimane lo strumento percepito come più funzionale per assimilare e far propri i contenuti trattati. A differenza di quanto ipotizzato, infatti, affrontare in classe con il docente le tematiche presenti sui libri di testo sarebbe il reale valore aggiunto della partecipazione alle lezioni; l’insegnante, dunque, viene ad assumere il ruolo di vero e proprio mediatore e traduttore di contenuti altrimenti di difficile comprensione.

Fase 2. Il diario e la raccolta dati

Dopo aver ridefinito le domande di ricerca e i punti su cui porre maggiore attenzione, ha preso avvio la Fase 2 del progetto attraverso il coinvolgimento di 16 studenti iscritti al Corso di Laurea Magistrale in Teorie della Comunicazione dell’Università di Firenze immatricolati nell’anno accademico 2016-2017.

Tutti gli studenti sono stati chiamati a sottoscrivere un patto di ricerca che li ha impegnati, per la durata dell’intero anno accademico, a redigere un diario della ricerca all’interno di un ambiente di scrittura creato ad hoc, seguendo gli input che i ricercatori hanno fornito loro e rispettando tempistiche indicate. I diari della ricerca di ogni singolo studente erano privati, visibili solo a colui che redige i testi e ai ricercatori che, tramite commenti, interagivano con l’autore dei testi. Ogni studente, dunque, poteva accedere solo ai propri contenuti. Era necessario, infatti, mantenere l’anonimato nei confronti degli altri soggetti che componevano il campione, per evitare di alterare i risultati dell’indagine. Per questo motivo i ricercatori erano i soli che, oltre allo studente, potevano leggere i testi prodotti e intervenire nella discussione.

Gli input forniti sono stati sei:

  • Il primo input verteva sul modo in cui gli studenti si preparavano per partecipare ad una lezione; veniva chiesto loro, infatti, di individuare quali fossero le azioni preliminari svolte prima che il corso iniziasse: se iniziavano a reperire in anticipo e a leggere i testi consigliati, se svolgevano una qualche ricerca preventiva finalizzata ad ottenere delle informazioni in più circa gli autori e i contenuti dei testi presenti in bibliografia, etc.

  • Il secondo input si concentrava sulla presenza e partecipazione degli studenti alle lezioni; attraverso espliciti riferimenti al modo in cui prendevano appunti, veniva chiesto loro di riflettere sul grado di partecipazione in classe e sulle eventuali modalità di interazione con il docente e i colleghi.

  • Il terzo input verteva sull’analisi del modo in cui gli studenti studiavano un testo universitario. Nello specifico veniva chiesto loro di descrivere quali fossero le attività che di solito svolgevano quando leggevano un testo, sia cartaceo che digitale, (leggere tutte le parti del testo, sottolineare e/o appuntare a matita o a penna le cose più importanti a lato, etc.).

  • Il quarto input invitava gli studenti a riflettere e descrivere il modo in cui integravano gli appunti presi a lezione con i testi da studiare. Nello specifico, veniva chiesto loro di descrivere se, dopo la lezione, correggessero e integrassero gli appunti e se, soprattutto, qualora qualcosa non fosse chiaro, attivassero no un canale di scambio e confronto con il docente e/o i colleghi.

  • Il quinto input si concentrava sulla memorizzazione delle informazioni. Nello specifico veniva chiesto agli studenti di descrivere le modalità che adottavano, una volta finite le lezioni, per memorizzare le diverse informazioni in vista dell’esame finale (studiare da soli o in gruppo, leggere ad alta voce o in silenzio, integrare i contenuti presenti sui libri di testo con altri strumenti come enciclopedie online, piattaforme di scambio di appunti per studenti, siti istituzionali).

  • Il sesto e ultimo input si concentrava sugli spazi e i tempi dello studio. Veniva richiesto agli studenti, infatti, di focalizzare la loro attenzione e di descrivere gli orari, i luoghi in cui preferivano studiare (in biblioteca, nella loro stanza).

Fase 3. La lettura dei dati

Una volta forniti tutti gli input, i ricercatori hanno analizzato i diari degli studenti.

Pur riprendendo i principali modelli teorici e di content analysis, i ricercatori ne hanno proposto una rilettura improntata alla metodologia generativa. Nello specifico, è stata posta molta attenzione sull’analisi approfondita delle relazioni sottese ai contenuti esplicitati, mettendo in atto un tipo indagine qualitativa attenta a valorizzare la relazione tra i dati puntuali e le informazioni che emergono dalla lettura e l’interpretazione avanzata dai ricercatori nel momento in cui andavano a rileggere, analizzare e contestualizzare tali informazioni all’interno di un panorama scientifico ben definito, inquadrato dalle domande di ricerca del progetto e, soprattutto, dalla prima ipotesi di soluzione e di risposta (Silverman, 2000).

La content analysis ha permesso di individuare le relazioni che si instauravano tra i dati di primo livello - quelli espressamente formalizzati dagli studenti - e i dati di secondo livello, quelli impliciti e non formalizzati che emergevano nel momento in cui il ricercatore, leggendo i dati di primo livello, li interpretava e li discuteva tenendo conto delle domande di ricerca.

Risultati

1) La lezione in presenza: un evento comunicativo di fondamentale importanza

Dai dati emersi dalla ricerca è stato possibile determinare che i partecipanti alla sperimentazione riconoscono unanimemente un forte valore aggiunto delle lezioni in presenza; queste ultime, infatti, si caratterizzano come eventi comunicativi strutturati che permettono agli studenti di entrare in contatto e confrontarsi direttamente con gli argomenti centrali nel loro percorso di formazione.

Partecipare alle lezioni, infatti, permette ai soggetti coinvolti di avvalersi di un prezioso strumento per poter preparare nel migliore dei modi l’esame: il ruolo del docente di fare da mediatore fra la complessità dei contenuti che contraddistinguono il corso e i bisogni di apprendimento dei corsisti. Il docente, in questo modo, assume un ruolo centrale nell’aiutare il corsista ad individuare nuclei tematici e problematiche da approfondire durante la preparazione della prova finale.

Altro importante elemento di conoscenza emerso è quello relativo al modo in cui la lezione presenza legittima e rafforza il confronto e lo scambio tra i diversi studenti.

2) La mancanza di un dialogo strutturato fra docente e discenti

I soggetti coinvolti nella sperimentazione hanno fatto emergere, inoltre, la forte conflittualità che anima la relazione tra docente e discenti. Se da un lato gli studenti coinvolti hanno sottolineato più volte l’importanza di analizzare con il docente in classe gli argomenti trattati dal corso, dall’altro sono pochissimi coloro che hanno affermato di riuscire ad interagire, attraverso domande e riflessioni condivise in classe, con il docente.

Il timore di dire qualcosa di sbagliato, di essere fraintesi o di apparire come poco attenti e informati sugli argomenti trattati, limita enormemente la possibilità di rendere l’evento comunicativo “lezione in presenza” come un momento di reale confronto tra le parti.

Raramente, infatti, gli studenti si rivolgono all’insegnante per chiarire i propri dubbi; preferiscono, al contrario, chiedere aiuto ai colleghi per approfondire contenuti poco chiari e, in alternativa, avviare una ricerca in Rete tramite lo smartphone o un computer durante la lezione stessa.

Pochissimi, inoltre, sono gli studenti che richiedono un confronto diretto con il docente in un ricevimento privato.

Il dialogo tra studenti e docente, dunque, appare poco strutturato e lineare a causa di una forte paura del discente stesso di mostrare apertamente e legittimare i propri dubbi e le proprie insicurezze.

3) La difficoltà di creare una rete di scambio e confronto con i compagni

Significativa è anche la difficoltà emersa nelle relazioni con i compagni di corso. Tanti hanno sottolineato come anche il dialogo fra gli studenti stessi sia limitato e risenta del medesimo timore di apparire poco attenti alle attività portate avanti in classe. Le maggiori interazioni avvengono in occasione di richieste di scambio di appunti e di registrazioni audio delle lezioni.

Il gruppo classe, infatti, tende a segmentarsi in sotto-gruppi che attivano delle vere e proprie comunità in cui nascono momenti di confronto e di verifica di quanto appreso. La criticità principale di tale fenomeno e che i diversi sotto-gruppi non interagiscono con frequenza tra loro creando, di fatto, una struttura a macchia di leopardo poco funzionale allo scambio fra tutte le parti chiamate in causa.

4) La predilezione per lo studio sul supporto cartaceo

Nonostante i diversi strumenti digitali oggi disponibili, gli studenti ascoltati continuano a prediligere il supporto cartaceo sia per prendere appunti che per studiare.

Il dispositivo libro, infatti, continua ad essere quello maggiormente preferito in quanto permette di annotare spunti, sottolineare passaggi interessanti, integrare frasi o paragrafi approfonditi dal docente in classe. Anche coloro che utilizzano il pc, ripropongono le stesse dinamiche che da sempre contraddistinguono le modalità di studio su carta.

La Rete, infine, viene eletta come lo strumento per eccellenza per individuare altre fonti da inserire nel percorso di formazione dei discenti e, soprattutto, per incentivare confronti a distanza tra studenti attraverso chat e social network.

Conclusione

Dai risultati appena presentati emerge come i nuovi strumenti digitali, lo sviluppo di nuove tecnologie e processi d’automazione sempre più pervasivi stiano profondamente modificando le pratiche di studio e trasformando le abitudini e i comportamenti degli studenti universitari.

La ricerca, infatti, ha messo in evidenza un forte analfabetismo relativo alle grammatiche che inducono uno specifico uso di tali strumenti che porta gli studenti a non saper più leggere - nel senso di analizzare e comprendere - e, quindi, scrivere - nel senso di progettare - i contenuti che gli vengono proposti senza la necessità di una forte mediazione degli insegnanti e, soprattutto, delle informazioni trovate in Rete.

È necessario, quindi, progettare e definire un ruolo più attivo e consapevole degli studenti nei processi di innovazione in ambito formativo che vada nella direzione di renderli in grado di ripensare criticamente il loro personale percorso di studio. In gioco, infatti, non c’è solo la possibilità di avere un sistema formativo più efficiente e sostenibile, ma la qualità stessa della democrazia.

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Received: August 03, 2019; Accepted: September 02, 2019

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