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versión impresa ISSN 0104-4060versión On-line ISSN 1984-0411

Educ. Rev. vol.35 no.77 Curitiba set./oct 2019  Epub 25-Oct-2019

https://doi.org/10.1590/0104-4060.68427 

DOSSIÊ - Manuais escolares e mídias educativas: temas e perspectivas de investigação

Riscrivere la conoscenza, riprogettare il libro di testo: la classe e l’autoproduzione dei contenuti

*Istituto Nazionale Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa (INDIRE). Firenze, Italia. E-mail: a.anichini@indire.it. https://orcid.org/0000-0002-3319-1689. E-mail: l.parigi@indire.it. https://orcid.org/0000-0003-2801-5928.


SINTESI

Il presente contributo è il resoconto di una ricerca qualitativa effettuata all’interno del movimento Avanguardie Educative e volta a descrivere ed analizzare il vissuto di un gruppo di docenti italiani in relazione alla pratica di autoproduzione dei libri di testo o dei contenuti didattici digitali. La ricerca, condotta con alcune scuole coinvolte in un percorso di sperimentazione dell’adozione alternativa del libro di testo, ha consentito di avviare una riflessione approfondita sulle motivazioni che inducono i docenti ad optare per questa scelta, nella direzione di una rilettura del rapporto tra curriculum, indicazioni ministeriali e autonomia di insegnamento, con un’attenzione allo studente considerato soggetto attivo del proprio percorso formativo.

Parole chiave: Libro di testo; Contenuto didattico digitale; Auto-produzione dei libri di testo; Pratica educativa

ABSTRACT

This contribution is a report of a qualitative research carried out within the Avanguardie Educative project aimed at describing and analyzing the experience of a group of Italian teachers in relation to the practice of textbook and digital resources auto-production. The research, conducted with some schools involved in an experimentation process of the alternative adoption of the textbook, has allowed us to start an in-depth reflection on the motivations that induce teachers to opt for this choice, in the direction of a rereading the relationship between curriculum, national indications and teaching autonomy, with particular attention to the student considered as an active subject of his / her training.

Keywords: Textbook; Didactical digital content; Auto-produced textbook; Learning practice

RESUMO

O artigo relata resultados de pesquisa qualitativa realizada no âmbito do projeto Avanguardie Educative, com o objetivo de descrever e analisar a experiência de um grupo de professores italianos em relação à prática de autoprodução de livros didáticos ou conteúdos educacionais digitais. A pesquisa, realizada com escolas envolvidas em um processo de experiência de adoção alternativa ao livro didático, permitiu discutir as motivações que conduzem os professores a optarem por essa escolha, no sentido de uma releitura das relações entre currículo, indicações ministeriais e autonomia de ensino, com especial atenção ao aluno considerado sujeito ativo de sua formação.

Palavras-chave: Livros didáticos; Conteúdos didáticos digitais; Produção de livros pelos professores; Prática educacional

“Il sapere esiste solo nell’invenzione, nella re-invenzione, nella ricerca inquieta, impaziente, permanente che gli uomini fanno nel mondo, col mondo e con gli altri” (Freire, La pedagogia degli oppressi).

Introduzione

Dal 2014 ad oggi, una serie di iniziative sostenute da INDIRE, l’Istituto Nazionale per la Documentazione, l’Innovazione e la Ricerca Educativa, hanno consentito di approfondire il tema dell’utilizzo del libro di testo nelle pratiche di studio degli studenti italiani (Anichini, Chipa, Parigi, 2017). La ricerca viene condotta nell’ambito di Avanguardie Educative, un movimento che coinvolge un numero consistente di scuole italiane impegnate nell’attività di rinnovamento delle pratiche didattiche in relazione a diversi aspetti che vanno dall’organizzazione dei tempi e degli spazi del fare scuola, fino all’utilizzo di strumenti o di metodologie specifiche (Laici, Orlandini, 2016).

Quello dei libri e dei contenuti digitali è un tema molto attuale nel nostro paese (Roncaglia, 2016), anche in considerazione delle recenti indicazioni di legge del Ministero italiano (Law 128/2013 - DM 781/2013). Dal 2013, infatti, l’adozione dei manuali non è più obbligatoria. I docenti possono scegliere tra una serie di opzioni che tendono ad integrare il volume tradizionale con contenuti aggiuntivi che possono essere parte del libro adottato, o possono essere, all’occorrenza, scelti dal catalogo di diverse case editrici, acquisiti in Rete o addirittura autoprodotti. Condizione necessaria: che i manuali siano in parte o integralmente digitali e lo siano soprattutto i contenuti didattici integrativi.

Oltre a questi aspetti legati all’adozione, la sostituzione di un vero e proprio programma ministeriale con Indicazioni Nazionali, meno prescrittive e più generali, per i diversi ordini di scuola, ha contribuito a mettere in discussione il rapporto con i libri di testo che, per anni, si sono proposti come la garanzia di un percorso accreditato e comune, che seguisse di fatto la norma ministeriale sugli argomenti da trattare per ogni disciplina insegnata, indicandone anche la precisa scansione temporale. Il fatto che il libro di testo corrisponda ancora, per molti docenti ma anche per le famiglie degli studenti, ad una sorta di “curriculum di fatto” per le classi di scuola cozza oggi contro le Indicazioni Nazionali, che prevedono percorsi di formazione flessibili, adeguati ai singoli contesti, pur nel rispetto di alcuni contenuti fondamentali per ognuna delle discipline insegnate.

In quanto strumento di indiscussa utilità per la didattica quotidiana, il libro di testo è ancora oggi uno degli oggetti chiave della scuola (Braga Garcia, 2015) e si trova al centro di una riflessione che coinvolge più in generale il tema dell’innovazione scolastica, delle profonde trasformazioni in atto, dovute all’ingresso nella scuola delle nuove tecnologie dell’informazione (Moeglin, 2010). All’inadeguatezza del libro di testo, denunciata da molti docenti che ne criticano l’insufficienza e la rigidità, si contrappone la sua immagine di strumento irrinunciabile, necessario a garantire la qualità e l’affidabilità dei contenuti, fonte autorevole di informazione per gli studenti (Anichini, 2015).

Al di là del dibattito ancora aperto sul tema, la presente ricerca intende soprattutto studiare il ruolo del libro di testo nel percorso di formazione degli studenti, recuperandone le funzioni fondamentali (Choppin, 2008) e reinterpretandole alla luce delle nuove possibilità offerte dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Anichini, 2014). Obiettivo principale è quello di promuovere una riflessione sulla valenza di un’attività di studio che si distacchi dalla pura ripetizione mnemonica di informazioni o concetti e sia piuttosto interpretata come rielaborazione dei saperi, come capacità di operare tra di essi quelle connessioni che consentano di superare gli steccati tra le diverse discipline, in nome di una conoscenza autentica e complessa.

L’analisi dell’attività di scuole che si stanno cimentando con l’autoproduzione dei libri di testo e dei contenuti didattici digitali è quindi soprattutto l’opportunità per riflettere sul significato profondo della parola “studiare”, sulla relazione che si stabilisce tra il curriculum disciplinare e un curriculum che si arricchisce dei pensieri degli studenti e rappresenta la possibilità di connettere i saperi alti delle discipline con le domande provenienti dalla realtà dei contesti in cui la scuola vive e opera.

Lo scenario

“... il mondo non è qualcosa di cui si parli con parole false, ma il mediatore dei soggetti dell’educazione, il luogo di incidenza dell’azione trasformatrice degli uomini, da cui risulta la loro umanizzazione” (Freire, 2011, p. 76). Nella Pedagogia degli oppressi, Freire contrappone una concezione “depositaria” dell’educazione, propria di una cultura immobile ed oppressiva, e una concezione “problematizzante”, fattore indispensabile per la “pratica di libertà”, in grado di far emergere le coscienze e favorire la loro “inserzione critica nella realtà”. Nella pratica problematizzante, “situazione gnoseologica” per eccellenza, si compie l’annullamento di una distanza che i modelli tradizionali di formazione sembrano inevitabilmente sancire: quella tra educatore ed educando, strettamente connessa e funzionale, a sua volta, ad un’altra distanza, forse più significativa: quella tra educando e mondo. Quest’ultimo è l’elemento terzo della relazione in grado di colmare la separazione tra docente e discente, oggetto del dialogo, mediatore necessario su cui si innesta tutta la forza trasformatrice dell’educazione. Quello che si stabilisce tra docente e discente è sempre, infatti, un “dialogo su”, una riflessione che ha origine da e verte su un contenuto preciso, in stretta connessione con un frammento di quel mondo, di quella realtà di cui i soggetti sono parte attiva. Partendo da un confronto su e con l’oggetto/mondo, l’educazione liberatrice genera un processo di conoscenza continuo, che non si limita all’acquisizione di nozioni e concetti dati, ma interagisce con essi in un movimento di ri-elaborazione e creazione incessante.

La valenza pregnante di questo elemento terzo della comunicazione formativa (il contenuto del dialogo, la realtà ad esso sottesa) rappresenta il cuore della pedagogia freireniana che abbiamo scelto a paradigma di queste pagine, pagine nelle quali, il libro di testo viene inteso proprio come oggetto mediatore del rapporto educativo, artefatto chiave all’interno di esso, oltre che rappresentazione tangibile di un compromesso possibile tra curriculum istituzionale, “curriculum emergente” e curriculum contestuale.

Il rapporto tra la scuola e il mondo è stato anche al centro delle riflessioni di Celestine Freinet:

In un’epoca in cui la massa delle conoscenze umane supera la possibilità degli individui più dotati, è indispensabile preparare i bambini a riflettere, a cercare, a documentarsi, a scegliere, a preparare le basi delle risposte ai problemi non soltanto intellettuali ma anche tecnici e sociali che la vita pone e porrà loro. La scuola è tenuta a suscitare e coltivare questo atteggiamento costruttivo, il quale è attivato solo attraverso l’esperienza (Freinet, 2002, p. 76).

Scriveva il maestro di Vence in un articolo del 1937, poi ripreso nel 1964, dedicato proprio al libro di testo e alla sua inadeguatezza all’interno di una scuola che deve aiutare gli studenti ad imparare ad “agire e creare” anziché ad “ascoltare ed obbedire”. Freinet aveva proposto la tipografia in classe come tecnica in grado di riportare l’interesse degli studenti verso le attività didattiche e la consapevolezza di un’immediata spendibilità di quanto si apprende, di un legame tra ciò che avviene nelle aule di scuola e il mondo fuori. Sostituire lo studio di “tre, cinque, o dieci libri-riassunto così spesso indigesti” con un lavoro che consente ad ogni allievo di trarre la conoscenza da migliaia di libri, ma anche da fonti di altro genere, dischi, interviste e soprattutto dall’osservazione sistematica e dall’analisi della realtà, è il suggerimento didattico offerto ai colleghi.

La tipografia in classe diventa, negli anni a seguire, una tecnica praticata da molti docenti di tutta Europa. In Italia, il Movimento di Cooperazione Educativa (MCE) se ne farà sostenitore promuovendo, nella scuola di base, la produzione in proprio del sussidiario didattico. In molte classi di scuola elementare non si adotta infatti un unico libro di testo per la lettura e per le discipline storiche, geografiche e scientifiche, ma si sceglie di acquistare una serie di volumi che andranno ad arricchire la biblioteca di classe e costituiranno, assieme ad altri testi, una delle fonti utili per la stesura dei libri autoprodotti.

In queste classi, si affrontano gli argomenti del programma e li si approfondiscono documentandosi su testi di vario genere, compiendo quell’operazione di contestualizzazione del curriculum che consiste nell’individuare nell’esperienza degli allievi gli agganci con i temi trattati nei libri e viceversa, nell’innescare processi di conoscenza della realtà circostante, considerata sempre parte di un contesto più ampio che oltrepassi i confini territoriali. I temi prescelti nascono dalla riflessione condotta nelle classi, dall’osservazione della vita familiare, del paese, delle città, dei contesti socio-economici di cui la scuola è parte, sempre però attenti al respiro ampio e generalizzante delle esperienze in questione. I libri autoprodotti sono la formalizzazione di una ricerca che parte dalle domande dettate dall’esperienza e si sviluppa attraverso un confronto il più ampio possibile con il mondo esterno alla scuola.

“Un libro che offra a tutti i bambini di una classe le stesse letture, le stesse immagini, non avrebbe senso non solo nell’ambito di una didattica di avanguardia, ma neanche secondo i programmi” scrivevano Aldo Pettini, Bruno Ciari, Mario Lodi, Luisa Tosi, Ines Casanova, Renata Dellacasa, Daria Ridolfi alla fine degli anni Sessanta (Pettini et al., 1969, p. 1), consapevoli che il “programma” andasse riletto e calato nelle specifiche situazioni scolastiche. Qualche anno dopo, Mario Lodi, un insegnante di scuola elementare e una delle voci principali della ricerca pedagogica MCE negli anni del dopoguerra, scrisse contro la generalità dei libri di testo che non tenevano conto dei contesti di vita degli studenti (Lodi, 1977). Questa idea si radica gradualmente altrove, in situazioni meno note e diventa piano piano patrimonio ordinario di centinaia di docenti, non necessariamente legati all’MCE, ma che di questo movimento hanno recepito la suggestione.

“Adozione alternativa” si chiamerà la possibilità di optare per questa soluzione, sostenuta dalla Legge 517 del 1977, che porta nella scuola italiana alcune sostanziali innovazioni, tra cui il tempo pieno. Successivamente la possibilità per la scuola primaria di optare per l’adozione alternativa verrà ribadita dal Decreto Legislativo del 16 aprile 1994, n. 297 - Testo Unico delle disposizioni vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado:

Per le classi di scuola elementare, che svolgono sperimentazioni ai sensi degli articoli 277 e 278, qualora siano previste forme alternative all’uso del libro di testo, è consentita l’utilizzazione della somma equivalente al costo del libro di testo per l’acquisto da parte del consiglio di circolo di altro materiale librario, secondo le indicazioni bibliografiche contenute nel progetto di sperimentazione (Art. 156, comma 2).

Gli articoli 277 (Sperimentazione metodologico-didattica) e 278 (Sperimentazione e innovazioni di ordinamenti e strutture) del Testo unico saranno poi abrogati dal Regolamento sull’autonomia e sostituiti dalle indicazioni contenute nell’articolo 6 e nell’articolo 4 del DPR 275/99: “La scelta, l’adozione e l’utilizzazione delle metodologie e degli strumenti didattici, ivi compresi i libri di testo, sono coerenti con il Piano dell’offerta formativa” (Legge 517).

La scuola primaria è il terreno privilegiato in cui si innesta questo tipo di innovazione, che dovrà attendere qualche decennio per interessare anche la scuola secondaria di primo e secondo grado. Per anni, molte classi di scuola primaria hanno prodotto in casa i loro testi di storia e geografia all’interno dei quali la specificità dei percorsi era legata in maniera particolare alla presenza di elementi del contesto di appartenenza della scuola: percorsi di storia locale, approfondimenti sul territorio su aspetti geografici o produttivi, spaccati antropologici fatti di interviste e ricognizione di tradizioni locali.

Oggi, dopo le recenti innovazioni legislative, si è aperta in Italia una nuova fase di interesse nei confronti dell’auto-produzione dei libri di testo, o di parti di essi. Il libro di testo continua sicuramente ad essere un oggetto centrale della didattica, strumento al servizio di docenti e studenti, tramite tra scuola e famiglia, riferimento primo al curriculum nazionale, garante di un percorso di formazione definito ed esplicitato (Choppin, 2003), ma il suo ruolo viene ridiscusso alla luce di un rinnovamento di metodi e strategie didattiche. La sua natura assertiva, statica, di oggetto pensato per “trasferire” i contenuti del sapere depositandoli nelle menti di studenti condannati alla ripetizione mnemonica di informazioni e concetti appare quanto di più avverso possa esserci alla logica generativa della conoscenza. Il libro di testo, così come tradizionalmente inteso, è funzionale ad una concezione conservativa del sapere (Eco, Bonazzi, 1972) che male si sposa con gli assunti pedagogici alla base di alcune diffuse pratiche didattiche. Inoltre, la nuova attenzione verso una revisione dei curricula disciplinari, che, secondo le Indicazioni Nazionali lascia aperta all’autonomia delle scuole la possibilità di orientare la scelta dei contenuti dei percorsi formativi, anche in base alla loro contestualizzazione rispetto a situazioni specifiche, costituisce una delle spinte ad integrare i contenuti dei manuali con approfondimenti specifici.

L’autoproduzione dei libri di testo e dei contenuti digitali si collega, inoltre, ad una specifica idea di scuola intesa come laboratorio, secondo i principi deweyani della scuola attiva, uno spazio operativo in cui si realizzano “oggetti”. Non una ‘scuola del fare’ dove domini una pratica fatta di procedure e di esercizio, del tutto speculare alla scuola delle nozioni, ma una scuola dei progetti e della progettualità, secondo le indicazioni di William Kilpatrick. L’attività scolastica è orientata da un “piano di lavoro” condiviso da docenti e alunni, la cui attuazione richiede l’acquisizione di particolari conoscenze e abilità. La progettualità che la ispira è lontana da logiche procedurali che ingessano l’azione e mortificano la creatività individuale; si ispira, piuttosto alle indicazioni di Bruno Munari, designer di spicco nella cultura degli anni Sessanta/Ottanta, solo indirettamente coinvolto nella ricerca pedagogica seppure assai influente nella scuola di quegli anni. Le sue riflessioni sul tema del progetto e della progettazione sono ben sintetizzate nel volume Da cosa nasce cosa, in cui l’autore tenta di risolvere la dicotomia avvertita tra l’idea di progetto e quella di creatività. Nell’orizzonte teorico di Munari il concetto di progetto è strettamente collegato alla creatività: creatività e progetto sono un binomio inscindibile, dal momento in cui la prima non è da considerarsi un fenomeno spontaneo e innato, libero da vincoli, ma è profondamente legata a precisi contesti e destinata ad alimentarsi attraverso il confronto con una norma, una tecnica: “Creatività non vuol dire improvvisazione senza metodo: in questo modo si fa solo della confusione e si illudono i giovani a sentirsi artisti liberi e indipendenti” (Munari, 2003, p. 17). La creatività viene stimolata da situazioni problematiche ed è il frutto di una ricerca consapevole che prevede studio e disciplina:

La creatività è una capacità produttiva dove fantasia e ragione sono collegate per cui il risultato che si ottiene è sempre realizzabile praticamente. […] Con la creatività il designer, dopo aver analizzato il problema da risolvere, cerca una sintesi tra i dati ricavati dalle varie componenti per trovare una soluzione ottimale inedita, dove ogni singola soluzione sia fusa con le altre secondo il modo che si ritiene migliore per giungere ad un equilibrio totale (Munari, 2004, p. 22-23).

La conoscenza gioca un ruolo chiave in questo processo: “Il problema basilare quindi, per lo sviluppo della fantasia, è l’aumento della conoscenza, per permettere un maggior numero di relazioni possibili tra un maggior numero di dati” (Munari, 2004, p. 35). Progettualità è sinonimo di disciplina, orientamento, conoscenza, che sono anche alla base del processo creativo, una riflessione questa che ha ricadute sul lavoro scolastico in genere e nel rapporto con il digitale in particolare. Aiuta a sconfessare, in qualche modo, una credenza in voga nelle scuole dei nostri anni che prefigura studenti assai più preparati dei loro docenti nel confronto con i nuovi strumenti digitali, in nome di una loro presunta “natività digitale”.

Questa attività di autoproduzione dei contenuti di studio si configura come un’attività di “riscrittura” a tutti gli effetti, scrittura di “artefatti concettuali”, intesi secondo la definizione data da Carl Bereiter (Bereiter, 2002). In un articolo del 2002, l’autore sostiene la necessità di aiutare gli studenti a compiere incursioni nei territori del Mondo Terzo di popperiana memoria non come un visitatore, ma come partecipante a attivo, al fine di promuovere in loro il gusto per la concettualizzazione e la formulazione di idee, dopo e mentre aver frequentato massivamente il mondo primo (delle cose) e il mondo secondo (dei pensieri e dei sentimenti). Prendendo le distanze da un’interpretazione limitativa del costruttivismo pedagogico, che interpreta la “costruzione” come un atto quasi spontaneo, compiuto da chi apprende, magari all’interno di percorsi formativi caratterizzati dal “fare” e da modelli procedurali rigidi e stereotipati, Bereiter propone la sua idea di “riscrittura” come capacità di trattare concetti e idee, passando attraverso l’acquisizione di conoscenze, il loro confronto e la loro verifica, la loro rappresentazione in forme leggibili per la cultura di riferimento.

A questa operazione di “riscrittura” che è attività fondamentale per l’apprendimento degli studenti si collega l’idea di curriculum emergente, sostenuto da Gert Biesta, un curriculum il cui senso non è acquisito una volta per tutte, ma “is continuously made and remade through engagement with our world” (Osberg, Biesta, 2008, p. 2).

La ricerca

Queste riflessioni sono il contesto in cui si colloca la presente ricerca, svolta nell’ambito delle attività di Avanguardie Educative, il progetto promosso da INDIRE nel 2014, che prosegue lavorando a stretto contatto con un sempre crescente numero di scuole italiane (ad oggi 800 scuole dei diversi ordini e gradi), impegnate in percorsi di rinnovamento della didattica e dell’organizzazione tradizionale della scuola (Cochran-Smith, Feiman-Nemser, McIntyre, Demers, 2008).

All’interno del percorso di ricerca portato avanti da Avanguardie Educative e in particolare di una delle linee di lavoro che riguarda appunto i libri di testo e i contenuti didattici integrativi (Anichini, Bucciarelli, Chipa, Morani, Parigi, Taddeo, 2016), sono state già studiate le modalità secondo cui alcune delle scuole più innovative del paese si avvicinano al processo di auto-produzione dei manuali (Anichini, Chipa, Parigi, 2016). Le attività condotte hanno avuto lo scopo di studiare e descrivere le pratiche didattiche più innovative, che sono in grado di restituire agli studenti la voglia di essere attivi e coinvolti in un processo di reale costruzione del sapere.

La descrizione delle pratiche messe in atto dalle scuole, confluita in un documento di Linee guida per l’implementazione rivolto ai colleghi di altre scuole, è stata affiancata da un percorso di riflessione sulle pratiche stesse, attuato dai ricercatori assieme ai docenti delle scuole aderenti al Movimento delle Avanguardie. Una ricerca di tipo qualitativo, che ha inteso approfondire una serie di temi che si sono aperti durante la prima fase di lavoro.

L’intento è quello di approfondire la pratica di autoproduzione tramite l’ascolto della voce stessa dei docenti coinvolti nel progetto, con la convinzione che la trasformazione della didattica sia legata in primo luogo alla loro idea di scuola, alla loro percezione del ruolo del docente e degli strumenti utilizzati quotidianamente, primo tra tutti il libro di testo (Choppin, 2003).

La ricerca in questione, condotta dai ricercatori INDIRE, si concentra dunque sulle motivazioni che hanno indotto e inducono docenti di ogni ordine e grado ad intraprendere l’adozione alternativa dei libri di testo e l’auto-produzione di contenuti didattici digitali nelle loro classi, sviluppando con loro una riflessione sulle scelte adottate e suoi principi che guidano l’operato di ognuno di loro, con un’attenzione particolare al rapporto che si stabilisce tra Indicazioni Nazionali, curriculum di fatto, curriculum contestuale.

Metodologia

Durante l’anno 2017/18 la ricerca ha coinvolto un gruppo di docenti appartenenti ad 11 scuole del territorio nazionale, di diversi ordini e gradi, tutti impegnati in percorsi di autoproduzione di contenuti didattici digitali. Il lavoro svolto con i 22 docenti è stato finalizzato alla ricognizione delle motivazioni che inducono a mettere in atto percorsi innovativi in relazione all’adozione e all’uso del libri di testo. I docenti hanno preso parte a un focus group organizzato come una riflessione libera (o analisi tipo swot) sui pro e i contro dell’autoproduzione di libri di testo e di contenuti didattici digitali. In particolare è stata posta ai docenti un’unica domanda: Quali sono i punti di forza, debolezza, le opportunità e i rischi dell’autoproduzione di contenuti didattici digitali?

Successivamente sono state effettuate interviste individuali per approfondire alcuni elementi emersi durante il focus group e raccogliere informazioni ulteriori. L’intervista, semi-strutturata, è stata suddivisa in 3 sezioni:

  • La prima, il Racconto della pratica, era volta a descrivere la pratica di produzione di un CDD all’interno della classe; le domande rivolte ai docenti chiedevano di individuare uno dei lavori svolti e di descriverlo in termini di contenuto, fino a specificare poi il tipo di lavoro richiesto (“Che tipo di lavoro, individuale o di gruppo, ha richiesto agli insegnanti la trattazione del tema? Come il contenuto fosse stato scelto, se dal docente, dai ragazzi o assieme (“Come sono stati scelti gli argomenti e la loro organizzazione?”. Si chiedeva, infine, di raccontare il processo di scrittura, con riferimento alle fasi di progettazione e realizzazione del prodotto e alla partecipazione degli studenti.

  • La seconda, Riflessioni sul curriculum, era volta a definire il rapporto di questo tipo di attività con il curriculum disciplinare; le domande indagavano soprattutto il lavoro dei docenti e la loro riflessione: “In che modo modo il contenuto didattico si raccorda con le Indicazioni Nazionali/Linee guida per la scuola secondaria di II grado? Si chiedeva di parlare dei metodi e delle tecniche didattiche messe in atto, oltre a descrivere il tipo di valutazione utilizzata, un tema questo che risulta sempre centrale nelle osservazioni dei docenti chiamati ad esprimere un giudizio sul lavoro degli studenti.

  • La terza, Il ruolo degli studenti, era volta a descrivere il comportamento degli studenti, cercando di definire quanto segue: “Come è stata accolta l’attività dagli studenti? Quali sono state le ricadute positive? Quale tipo di difficoltà hanno incontrato gli studenti? Quali sono state le difficoltà che hai incontrato come insegnante?”.

Il corpus testuale raccolto è stato sottoposto ad analisi secondo le tecniche della content analysis. La content analysis è stata condotta con un approccio ermeneutico. Ogni singola risposta è stata considerata come unità di analisi: l’individuazione delle categorie di analisi è stata induttiva con l’obiettivo di rintracciare gli elementi più ricorrenti dal corpus testuale (Mayring, 2014).

Risultati

Motivazioni professionali

Dall’analisi della discussione condotta nel focus e dalle risposte dei docenti emergono chiaramente temi che appartengono alla sfera motivazionale degli insegnanti stessi, al loro vissuto professionale. L’autoproduzione risulta percepita, infatti, come una pratica di appartenenza al gruppo dei docenti “innovatori”, una sorta di “orgoglio professionale” di chi si percepisce pioniere in un percorso di trasformazione del modo di fare scuola. Si lega ad un utilizzo diffuso della strumentazione tecnologica, considerata l’elemento di innesco del cambiamento messo in atto. Il convincimento della bontà delle scelte operate è molto forte, anche se si rileva la convinzione che l’organizzazione non sempre supporti questo tipo di percorso, vissuto quasi come un’attività personale, portata avanti dal singolo docente o dalla singola scuola, talvolta contro quello che ci aspetterebbe.

Tutti i partecipanti sono convinti che si sia di fronte ad una metodologia nuova, che cambia profondamente il modo di fare scuola, una metodologia che deve essere appresa, soprattutto nel caso in cui si tratti di sostituire completamente il libro di testo con materiali autoprodotti, come nel caso delle scuole appartenenti alla Rete di Books in progress. I docenti rilevano la difficoltà da diffondere la pratica tra i colleghi (“Credevamo che la pratica dei CDD potesse crescere più celermente e invece si va a rilento, anche se poi, quando è conosciuta, esplode perché i docenti sono contenti di entrare in una metodologia diversa dalla cartacea”). Le difficoltà sono imputate all’atteggiamento di resistenza dei colleghi nei confronti dell’innovazione in genere (“ci sono docenti più avvezzi all’innovazione e anche chi è più contrario”), ma anche e soprattutto alla mancanza di percorsi di formazione adeguati, alla mancanza delle infrastrutture necessarie, tra cui una buona connessione alla Rete. Una difficoltà rilevata riguarda anche l’archiviazione dei materiali prodotti, la loro conservazione in ambienti digitali dedicati che sono sempre di competenza del singolo docente o nel migliore dei casi della scuola: quello che si avverte mancare è un archivio istituzionale dei prodotti delle scuole (quelli più significativi) che consenta il recupero agevole e la consultazione dei materiali prodotti.

Motivazioni didattiche

I docenti rivelano qualche difficoltà nell’esprimere in maniera netta le motivazioni estrinseche alla pratica di auto-produzione. Nella fase finale del focus, la domanda è emersa in maniera esplicita: “Mi stavo chiedendo: perché li faccio? … mi sono data questa risposta, non so se è legata alla disciplina perché mi consente di usare una pluralità di linguaggi per cui … mi permette di essere ridondante, mi consente di andare incontro a tutti gli stili di apprendimento”. Il tema del rispetto dei diversi stili di apprendimento ricorre in numerosi interventi, così come la convinzione che la pluralità di codici e linguaggi sia utile ad operare la differenziazione didattica, personalizzando l’intervento sugli studenti.

Il contenuto didattico digitale, proprio in virtù della sua natura multimediale contribuirebbe ad assecondare diversi stili di apprendimento e garantirebbe il rispetto della varietà dei livelli cognitivi presenti nelle classi. Emerge, infatti, forte il problema dell’eterogeneità delle classi, delle differenze tra modi di apprendere e strumenti culturali degli studenti. In questo senso il libro prodotto dall’editore è visto come un limite in quanto strumento uniforme, incapace di intercettare le diversità, se non in casi specifici, insufficiente nel proporre una differenziazione didattica.

La riflessione dei docenti si concentra poi sul ruolo di garante del programma che erroneamente viene ancora oggi attribuito al libro di testo: “Tutto parte dalla necessità di modificare i curricoli (...) nelle scuole i docenti non hanno mai compreso che non esistono più i programmi ministeriali”. Il libro di testo viene rappresentato come uno strumento rigido, incapace di intercettare temi emergenti dalla classe o dal contesto locale (“Ad esempio, anche il libro di geografia diventa molto poco utile, penso ad esempio in terza quando la selezione degli stati la fa l’editore. Sono io che faccio la selezione degli stati in base al percorso della mia classe. Se lì non c’è l’India ed io voglio fare l’India …. Ho avuto un confronto con uno dei rappresentanti e gli ho detto: “questi libri di testo … avremmo bisogno di tanti contenuti che possiamo scegliere liberamente come vogliamo noi… questo testo liquido di cui si parla … non è liquido ancora e questi approfondimenti multimediali sono proprio proprio, proprio … poveri).

Dai vari interventi si ricava l’impressione che i libri di testo utilizzati fino ad oggi abbiano un’impostazione tipica, caratterizzata dalla presentazione di contenuti sintetici, approfondimenti che non sono accurati, esercizi individuali. L’autoproduzione è vista invece come l’occasione di sviluppare “biblioteche di testi” - spesso realizzate in piattaforme digitali online - che siano più funzionali alla didattica che i partecipanti identificano come attiva.

Alcuni docenti hanno rappresentato l’autoproduzione come “dispositivo didattico” per sviluppare segmenti di curricolo locale. Altri convergono sull’idea che l’autoproduzione di contenuti sia soprattutto un lavoro di riflessione, una sorta di “scrittura metacognitiva”, individuale o cooperativa, che dovrebbe accompagnare sempre la didattica attiva. I docenti che hanno raccontato questa funzione dell’autoproduzione dei contenuti si dotano spesso di strumenti compiuti (rubriche, processi di organizzazione del lavoro). Questa pratica sembra dar vita ad una tecnica didattica vera e propria che potremmo accostare a una sorta di documentazione riflessiva (definibile altrimenti come diario di apprendimento, racconto di apprendimento, dossier di percorso). “Per i ragazzi delle classi della secondaria e in gran parte della primaria che in gran parte lavorano da sempre a isola, in modo laboratoriale. La lezione frontale si fa poco, si fa all’inizio di un percorso, all’inizio di un’unità di apprendimento per introdurre … l’80 per cento della scuola lavora così, per tutte le discipline. Alla fine di una unità di apprendimento, di un argomento i ragazzi producono, fanno produzione in maniera collaborativa. Quando parliamo di prodotto, ad esempio può essere il compito autentico alla fine della unità di apprendimento, è un lavoro che li può impegnare anche una o due settimane, possono impiegare anche tre settimane per poterlo fare in maniera collaborativa e può andare da un video dove hanno anche utilizzato le immagini create da loro e le musiche per farlo a un prodotto minimo, base, a un semplice Power Point .. o a un fumetto …. Poi noi abbiamo ufficiosamente una rubrica di valutazione per … stabilire cosa deve avere il contenuto didattico, diamo loro degli indicatori di massima”.

Creatività digitale

Colpisce, in generale, il forte bisogno di raccontare nelle pratiche di lavoro, le soluzioni, anche molto interessanti, di implementazione tecnologica. Questo bisogno ha portato il gruppo a ripensare la definizione stessa di contenuto didattico digitale. Si è ragionato a lungo sulle caratteristiche formali del digitale, anche recuperando categorie “antiche” come la manipolabilità, la replicabilità: “Qual è la grande novità del digitale? è che io me lo posso trovare dappertutto mentre per la falegnameria devo andare in un posto adatto, una lim e due computerini e siamo a posto … gli strumenti digitali li ho a disposizione. Se devo fare una brochure, lo faccio a grandi linee seguendo il mio scopo … sulla carta, però quando vado a farla con il computer … se sbaglio non è una tragedia, tolgo una foto e ce ne metto un’altra. Mentre con la carta e con le mani ci vuole un po’ più di tempo ….il prodotto digitale dà più possibilità e serve a un’altra cosa: leva il terrore dello sbaglio, specialmente a quelli più piccini. Perché se hai messo una foto e non ti piace non succede nulla”.

In coerenza con un’idea di scuola concepita come luogo di costruzione del sapere, il libro di testo viene ripensato nella sua essenza, per assumere caratteristiche adeguate a promuovere negli studenti e nei docenti atteggiamenti critici e costruttivi, un approccio alla conoscenza che sia di ricerca attiva (Anichini, 2015). Esso mira a trasformarsi in un “oggetto matrice” in grado di rappresentare il centro aggregante dell’attività didattica; non un mero deposito di contenuti da acquisire, da “mandare a memoria”, ma un oggetto malleabile e aperto, suscettibile per sua natura di trasformazione, punto di partenza e di arrivo di significativi percorsi di apprendimento. Si configura come una traccia di lavoro, che indichi itinerari possibili ed apra ad integrazioni e riscritture, preveda approfondimenti o rimozioni. Il libro così inteso si propone come una sorta di mappa dei saperi disciplinari, che può e deve essere corredata di percorsi personalizzati, oltre che arricchita di una serie di contenuti integrativi.

Un libro siffatto può essere sì il prodotto fornito da una casa editrice scolastica, ma solo in una logica di integrazione, di apertura, che preveda cioè, da parte delle scuole, un lavoro di “completamento autoriale” fattivo. Può anche essere auto-prodotto dalle scuole stesse, trasformarsi cioè nel risultato tangibile dell’attività didattica, rappresentazione dei processi di apprendimento compiuti da un gruppo classe, in un ambito disciplinare circoscritto e definito, in aderenza a temi e interessi che ‘emergono’ dal confronto diretto con l’esperienza.

Infine, scrivere il proprio libro significa per gli studenti, prima di tutto stabilire un ponte tra vissuto e cultura (tra vero e certo, avrebbe detto Gramsci), per colmare quella distanza che è, spesso, il prodotto di una cattiva scuola. Significa affinare un metodo che è quello della ricerca ed entrare in contatto con competenze tecniche che consentono di penetrare più a fondo nella logica della comunicazione culturale, comprendere appieno i meccanismi della circolazione delle idee, riflettere sull’efficacia della loro formulazione. Rivedere il curriculum operando una stretta connessione tra tematiche di contesto e temi generali, secondo quella che rappresenta sicuramente una delle emergenze della società attuale.

Conclusioni

La presente ricerca è parte di un percorso ancora in atto. Continua, infatti, la collaborazione tra ricerca e scuola che caratterizza il movimento delle Avanguardie Educative, un percorso che, assumendo come riferimento l’approccio fenomenologico alla ricerca sulle pratiche (Mortari, 2010), arricchisce vicendevolmente teoria e pratica educativa. All’interno di un disegno di ricerca più ampio, che prevede una serie di fasi, questa parte del lavoro è servita in primo luogo ad indagare il significato che le pratiche innovative di auto-produzione acquistano per i docenti che le attuano con i loro studenti. Le motivazioni che inducono i docenti ad una scelta, certo per loro spesso faticosa, che li pone talvolta persino in conflitto con i colleghi, risiede sostanzialmente nella volontà di tentare pratiche che possano migliorare il modo di fare scuola, per riuscire a coinvolgere maggiormente gli studenti e intercettare la loro individualità, individuando anche, un più stretto rapporto tra la realtà in cui vivono e i temi disciplinari trattati a scuola: una riconnessione tra vita e saperi.

Per molti docenti questo significa recuperare le suggestioni di una scuola che ha fatto storia nel nostro come in altri paesi europei, ma che, negli anni, ha finito per perdere la sua spinta propulsiva scivolando in una consuetudine spesso poco riflettuta: il recupero, cioè, di una didattica molto presente negli anni Ottanta del secolo scorso, soprattutto nella scuola primaria, ispirata a grandi maestri come Mario Lodi e Bruno Ciari, fatta di laboratori ed attenzione alla realtà circostante, che ha ceduto il passo, negli ultimi decenni, ad una sorta di “licealizzazione” degli ordini di scuola inferiore, con un recupero sostanziale del modello spiegazione-esercitazione-verifica, che basa molta della sua efficacia sullo studio puntuale del libro di testo. Questi docenti hanno spesso alle spalle un’esperienza di scuola primaria e rilanciano pratiche già messe in atto anche prima dell’avvento del digitale. Per altri, soprattutto appartenenti alla scuola secondaria di primo e secondo grado, il ricorso all’auto-produzione è piuttosto legata alla scommessa sul digitale come strategia per innovare la didattica e coinvolgere maggiormente gli studenti nel loro percorso formativo: la produzione di contenuti didattici digitali insiste soprattutto su quell’aggettivo “digitale” che consente di rivedere le attività scolastiche e anche permette di accostarsi alle abitudini dei giovani. Sono motivazioni di ordine diverso, che meriterebbero di essere approfondite e che ci restituiscono l’idea di una variegata identità dei “docenti innovatori”. Gli elementi di convergenza (e ci sono) sono legati senza dubbio alla comune idea di voler “cambiare la scuola” e di farlo nella direzione di una recuperata centralità dello studente, come elemento primo per un corretto modo di fare scuola. In questo senso l’auto-produzione dei libri e dei contenuti didattici digitali può rappresentare anche un’importante occasione di riflessione, utile a riconnettere le diverse posizioni e stabilire un ponte più stretto tra recupero della tradizione e futuro.

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Received: August 08, 2019; Accepted: September 02, 2019

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