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Educar em Revista

versão impressa ISSN 0104-4060versão On-line ISSN 1984-0411

Educ. Rev. vol.37  Curitiba  2021  Epub 07-Nov-2021

https://doi.org/10.1590/0104-4060.77696 

DOSSIÊ - Desafios da avaliação na e da Educação Infantil

Gioco e valutazione formativa del bambino: la SVALSI1

Symbolic-Play and formative assessment of the child: SVALSI

* Università degli Studi di Pavia. Pavia, Italia. E-mailbondioli@unipv.it- E-mail: donatella.savio@unipv.it


RIASSUNTO

Partendo dal presupposto che l’assessment delle condotte infantili debba avere un significato essenzialmente formativo, non diagnostico né ricognitivo, l’articolo intende presentare la SVALSI (Scala di Valutazione delle Abilità Ludico-Simboliche Infantili), uno strumento di osservazione e valutazione del gioco simbolico di bambini da 2 ai 5 anni. L’importanza delle condotte ludico-simboliche per il benessere e la crescita dei bambini è segnalata da un’ampia letteratura di ricerca; perciò, in una prospettiva educativa, è fondamentale avere la possibilità di valutare la loro qualità per sostenerne il pieno sviluppo. La peculiarità del dispositivo sta nelle dimensioni considerate e nella finalità d’uso. Oggetto di valutazione della SVALSI sono le abilità di decontestualizzazione, decentramento, integrazione, controllo dell’esecuzione e competenza sociale; tenendo conto dell’estesa letteratura di riferimento, vengono considerate in una prospettiva evolutiva, dalle forme meno evolute a quelle più mature. La finalità d’uso è essenzialmente formativa, volta a individuare le zone prossimali di sviluppo di singoli bambini e di gruppi infantili relativamente al gioco, allo scopo di agire in tali zone per promuovere la loro evoluzione. Nel corso della trattazione, oltre alla struttura dello strumento, vengono anche sinteticamente presentate le ricerche che ne hanno accompagnato l’elaborazione e la messa alla prova.

Parole chiave: Valutazione del bambino; Gioco simbolico; Educazione della Prima Infanzia; Zona prossimale di sviluppo; Valutazione formativa

ABSTRACT

Assuming that the assessment of children’s behaviours must essentially have a formative meaning, neither diagnostic nor recognitive, this article intends to present SVALSI (Evaluation Scale of Children’s Ludic-symbolic Skills), a tool for observation and evaluation of the symbolic play of children from 2 to 5 years old. The importance of playful- symbolic behaviours for the well-being and growth of children is highlighted by extensive research literature: in an educational perspective, it is therefore essential to have the possibility of evaluating their quality in order to support their full development. The Peculiarity of the device lies in the dimensions considered and in the purpose of use. The object of SVALSI assessment are the ludic-symbolic skills of decontextualization, decentralization, integration, execution control and social competence, considered, on the base of an extensive research literature, according to an evolutionary perspective, from the less advanced to the more mature forms.The use of SVALSI is essentially for formative purposes, aimed at identifying the proximal areas of developement of individual children and infant groups in relation to play, so as to work on these areas in order to promote their evolution. In the course of the discussion, in addition to the structure of the tool, the research that accompanied its development and testing is also briefly presented.

Keywords: Children’s assessment; Symbolic play; Early Childhood Education; Zone of proximal development; Formative assessment

RESUMO

Partindo do pressuposto de que a avaliação dos comportamentos infantis deve ter um sentido essencialmente formativo, não diagnóstico e nem intelectual, este artigo pretende apresentar a SVALSI (Escala de Avaliação das Competências Lúdico-Simbólicas na Infância), um instrumento de observação e avaliação do jogo simbólico de crianças de 2 a 5 anos. A importância dos comportamentos lúdicos-simbólicos para o bem-estar e o crescimento das crianças é destacada por uma extensa literatura acadêmica; portanto, do ponto de vista educacional, é imprescindível ter a oportunidade de avaliar sua qualidade para apoiar seu pleno desenvolvimento. A peculiaridade do dispositivo reside nas dimensões consideradas e na finalidade de uso. A avaliação com a SVALSI é baseada nas habilidades de descontextualização, descentração, integração, controle de execução e competência social; levando em consideração a extensa literatura de referência, elas são consideradas em uma perspectiva evolutiva, desde as formas menos evoluídas até as mais desenvolvidas. O objetivo do uso é essencialmente educacional, visando identificar as zonas de desenvolvimento proximal de cada criança dos grupos infantis em relação ao brincar, a fim de atuar nessas zonas para promover sua transformação. No decorrer da discussão, além da estrutura do instrumento, também são apresentadas resumidamente as pesquisas que acompanharam sua elaboração e verificação de uso.

Palavras-chave: Avaliação da criança; Jogo simbólico; Educação infantil; Zona proximal de desenvolvimento; Avaliação formativa

La valutazione (assessment) dei bambini nell’educazione 0-6 è un tema delicato e controverso: nei documenti di indirizzo italiani e euoropei2 si mette in luce da una parte l’importanza dell’assessment per progettare interventi educativi che rispondano efficacemente ai bisogni dei bambini, dall’altra la necessità di evitare test standardizzati, classificazioni e espressione di giudizi. Tali modalità, non del tutto assenti nella politiche educative di alcuni gestori e nelle pratiche di educatrici e insegnanti, sarebbero infatti inadatte a questa fascia d’età in quanto caratterizzata da un andamento evolutivo non lineare e fortemente dipendente dal contesto; inoltre potrebbero avere effetti deleteri sulla costruzione del senso di autostima che pone le sue fondamenta nei primi anni di vita (BONDIOLI; SAVIO, 2015). Resta aperta la difficoltà di mettere a punto strategie che rispettino la natura infantile, la sua sensibilità e complessità evolutiva, e che rispondano pienamente a una funzione formativa.

Con il nostro contributo proproniamo uno strumento che può rispondere a tali esigenze, la Scala per la Valutazione delle Abilità Ludico Simboliche Infantili (S.V.A.L.S.I.) (BONDIOLI; SAVIO, 1994a). Il dispositivo permette di osservare e valutare le capacità di gioco simbolico dei bambini, allo scopo di progettare interventi per promuovere l’arricchimento e lo sviluppo del gioco stesso. Dunque, l’assessment riguarda una condotta la cui rilevanza per la crescita infantile è ampiamente sottolineata dalla letteratura di ricerca, caratterizzata inoltre dal fatto di essere attivata in modo assolutamente spontaneo e di occupare un posto centrale negli interessi di bambini. Per queste ragioni, pensiamo che la valutazione delle capacità di gioco risponda a criteri di rilevanza, autenticità e rispetto: coglie il bambino mentre si dedica a un’attività per lui vitale, che non tollera forzature - pena la sua interruzione - e che corrisponde peculiarmente alla natura infantile.

Prima di presentare la SVALSI, discuteremo sinteticamente il significato del gioco simbolico nello sviluppo infantile e le dimensioni evolutive che lo attraversano; verranno quindi illustrate la struttura dello strumento, le ricerche con cui è stato messo alla prova e le finaltà d’uso.

Caratteristiche e importanza del gioco simbolico3 nello sviluppo infantile

Non è qui possibile presentare una rassegna esauriente degli studi condotti su questo tipo di gioco, data la vastità delle pubblicazioni sull’argomento. Ci basta sintetizzarne i risultati più significativi, che riguardano la sua definizione, le modalità di sviluppo e la significatività che riveste per i bambini.

Al di là delle sfumature che i diversi autori attribuiscono al gioco di finzione, vi è una forte concordanza sulle sue caratteristiche. Il gioco simbolico condivide con altri tipi di gioco il piacere che ne deriva, connesso al fatto che si tratta di un’attività liberamente scelta, definalizzata e intrinsecamente motivata (CAILLOIS, 1967), ma ha anche caratteristiche proprie:

Nel gioco del ‘far finta’ un oggetto viene usato come fosse un altro, una persona si comporta come fosse un’altra. E il tempo e il luogo presenti (il qui e l’ora) diventano un altrimenti e un altrove. Si può parlare con figure e persone immaginarie (fingere di essere inseguiti dal lupo cattivo o di parlare al telefono con la nonna) e materializzare oggetti inesistenti (come quando si sorseggia del caffè da una tazza vuota o si accende un immaginario fuoco sul fornello giocattolo) (BONDIOLI; SAVIO, 1994a, p. 10).

Questo tipo di gioco si fonda su un paradosso secondo cui le azioni che i giocatori compiono non hanno lo stesso significato che le stesse azioni avrebbero fuori dal contesto di gioco (BATESON, 1976). Così come la parola “gatto” non graffia, analogamente fingere di dormire non comporta addormentarsi per davvero; lavarsi i denti per finta rimanda all’azione abituale che compiamo dopo aver mangiato ma non coincide con essa. Per significare che si tratta appunto di gioco, come premessa alle azioni ludiche viene fornita una comunicazione del tipo: “Facciamo finta che io ero …”, Facciamo finta che questa era la caserma dei pompieri …”. Il gioco è simbolico in quanto le azioni compiute “stanno per” altre azioni, cose, luoghi, persone, rimandano ad essi ma senza coincidervi.

Per definire questo tipo di gioco si usa spesso il termine “imitativo” che risulta però ambiguo. Il gioco del “far finta” non tende a riprodurre la realtà ma a darne versioni diverse e nuove. Nel ‘far finta’ i bambini non “copiano” la realtà ma adottano nei suoi confronti un atteggiamento “divergente”:

Quando “fanno finta”, più che imitare interpretano, commentano, esagerano, evidenziano. La realtà e l’esperienza possono essere rappresentate, messe in scena, e, soprattutto modificate. […] Così il bambino può rappresentare non tanto ciò che gli è successo ma il senso di quel che gli è successo (BONDIOLI; SAVIO, 1994 a, p. 11).

Questo aspetto è segnalato in particolare da Bruner (1972) il quale considera il gioco una ricombinazione di aspetti dell’esperienza, produttiva di nuove versioni4 e da Corsaro (1997)che ne parla in termini di “riproduzione interpretativa”, intesa come appropriazione creativa, da parte dei bambini, di informazioni e conoscenze provenienti dal mondo adulto5.

La dimensione affettiva del gioco di finzione è messa in luce soprattutto nella tradizione della psicoanalisi infantile. Anna Freud, Melanie Klein, Donald Winnicott, Bruno Bettelheim affermano che questo tipo di gioco è espressione della soggettività, una messa in scena dei desideri e delle aspirazioni, dei bisogni e dei sentimenti infantili che, nella loro rappresentazione simbolica, trovano appagamento, soddisfazione, risarcimento, trasformando l’angoscia, la frustrazione, la debolezza, la vulnerabilità nel suo contrario, nel piacere di assumere il controllo: il gioco, dunque, come “cura di sé”.

Greta Fein (1989, p. 135-154) sintetizza quanto finora detto identificando cinque aspetti che caratterizzano il gioco simbolico.

Il primo - la libertà referenziale - si riferisce alla relazione divergente che nel gioco di finzione il bambino intrattiene con l’ambiente circostante producendo le trasformazioni ludiche, ad esempio il bracciolo di una poltrona diventa la sella di un motore.

Il secondo - la licenza denotativa - riguarda la posizione divergente adottata dal bambino nei confronti dell’esperienza reale per cui gli eventi rappresentati sono più invenzioni che resoconti di fatti accaduti nella realtà.

Il terzo - le relazioni affettive - indica che ciò che nel gioco di finzione viene rappresentato sono emozioni, affetti, vissuti, relazioni: le azioni compiute nel gioco assumono significato se le si considera in questa prospettiva.

Il quarto - l’incertezza sequenziale - ci informa che nella finzione le trame hanno una qualità ricorsiva e non lineare: nel gioco nuovi temi emergono, vecchi temi vengono ripresi; la successione non è prevedibile.

Infine il quinto - l’autorispecchiamento - presenta due diversi aspetti: indica da un lato che il bambino è consapevole di stare facendo “per finta” e, dall’altro che nel gioco egli esprime se stesso, il suo particolare punto di vista sul mondo.

Le caratteristiche sopraindicate mostrano perché il gioco simbolico rivesta tanta importanza nell’età prescolare. Il bambino, giocando a “far finta” si appropria dell’esperienza attribuendo ad essa un significato personale. Esprime emozioni, vissuti, relazioni affettive giungendo a padroneggiarle. Si accosta al mondo con un atteggiamento di libertà interpretativa che lo fa sentire capace e creativo.

Promuovere il gioco simbolico

Il “far finta” è una condotta spontanea, che fa la sua comparsa nelle sue forme embrionali verso la metà del secondo anno di vita e che, nel corso dell’infanzia, si sviluppa e si articola assumendo forme sempre più mature. Si va dalla semplice ripetizione di azioni quotidiane fuori dal contesto abituale, ad esempio fingere di dormire, fino al gioco socio-drammatico caratterizzato dal fatto che i bambini, assumendo dei ruoli (il papà, il cane, Batman, ecc.), rappresentano complesse trame narrative che condividono con i compagni.

La spontaneità e la naturalezza con cui i bambini giocano non deve però far dimenticare che il gioco stesso, e, soprattutto, le sue forme più progredite, dipendono fortemente da una serie di condizioni interne e ambientali; si sa che situazioni di stress ed angoscia tendono a inibire il gioco mentre la condivisione dell’attività ludica con adulti conosciuti, fratelli e compagni appaiono facilitarlo e sollecitarne le espressioni più mature (HOWES, 1992).

A parità di età troviamo dunque bambini esperti nel gioco finzione ed altri che, per una serie svariata di ragioni, mostrano timidezza, passività o poca inventiva e non si esprimono nelle forme più evolute di questo tipo di gioco (SMILANSKY, 1968; SMILANSKY; SHEFATAYA, 1990). Data l’importanza del gioco di finzione nell’età considerata risulta pertanto altrettanto importante che tutti i bambini possano diventare dei giocatori esperti in modo da godere con pienezza di questo tipo di gioco e dei suoi effetti.

Nei contesti educativi per l’infanzia il riconoscimento del valore del gioco simbolico è spesso affermato ma non trova altrettanto riconoscimento nelle pratiche educative abituali. Educatrici e insegnanti ritengono che basti concedere ai bambini la possibilità di interagire ludicamente tra loro perché questo tipo di gioco abbia modo di svilupparsi.

Questa convinzione, insieme all’idea che intervenire nel gioco possa snaturarne la spontaneità, finisce per ridurre il ruolo dell’adulto unicamente a quello di allestitore di un ambiente favorevole e di sorvegliante dell’area di gioco. Si perde così la possibilità di svolgere azioni di sostegno e promozione attraverso strategie mirate. Condizione per tale possibilità è la conoscenza delle capacità ludiche dei bambini e delle loro possibilità di sviluppo. A questo proposito crediamo che si possa applicare anche al gioco del “far finta” il concetto vygotskiano di “zona di sviluppo prossimale” (VYGOTSKY, 1960), definita come la distanza tra il livello di sviluppo attuale (ciò che il bambino è in grado di fare da solo, ed è abitualmente valutato tramite i test psicologici) e il livello di sviluppo potenziale, che riguarda quelle funzioni che sono ancora in uno stadio embrionale e che possono essere sviluppate con l’aiuto di persone più competenti che svolgono funzioni di tutoring (ROGOFF, 1990; WERTSH, 1979; WOOD;, BRUNER; ROSS, 1976; BONDIOLI, 2001).

Nel caso del gioco del far finta si tratta di stabilire un ponte tra le abilità ludiche attuali del bambino e i livelli di abilità che egli può raggiungere giocando con compagni più esperti (altri bambini o adulti compiacenti). Agire nella zona di sviluppo prossimale del gioco simbolico comporta che il giocatore più capace, giocando a un livello di competenza maggiore del suo partner ludico, suggerisca in questo modo al meno esperto, verbalmente o mediante azioni di modeling, modalità di gioco a un livello che va al di là delle sue abilità attuali favorendone lo sviluppo (SAVIO, 2011).

Perché questo sia possibile è però necessario conoscere il livello dello sviluppo attuale (ciò che il bambino è in grado di fare da solo) e quello dello sviluppo potenziale (ciò che il bambino è in grado di fare se aiutato) del meno esperto per potere agire intenzionalmente entro quest’ultimo livello - e non al di sopra di esso -.

Elementi distintivi della scala SVALSI

Lo strumento che stiamo per presentare - la SVALSI - si propone di rilevare la zona prossimale di sviluppo delle abilità ludico-simboliche di singoli bambini e di gruppi infantili al fine di procedere poi con interventi educativi per rendere tutti i bambini dei giocatori esperti. Collocato nel quadro di strumenti analoghi finalizzati alla valutazione del gioco simbolico6 la SVALSI si caratterizza per alcuni tratti peculiari - l’oggetto di valutazione, costituito dalle abilità ludico-simboliche, e la finalità essenzialmente formativa attribuita all’assessment7.

L’oggetto di valutazione della SVALSI: le abilità ludico-simboliche

Il gioco del “far finta” richiede il possesso e la messa in atto di particolari capacità cognitive, linguistiche e sociali. Dall’analisi degli studi relativi al gioco simbolico e alla sua evoluzione nell’infanzia, la maggior parte dei quali si colloca tra gli anni ‘70 e gli anni ’808, emergono come fondamentali le seguenti abilità: decontestualizzazione, decentramento, integrazione, controllo dell’esecuzione e di competenza sociale.

Decontestualizzazione

La decontestualizzazione si riferisce all'utilizzo, sempre meno realistico, degli oggetti in veste di simboli. Osserva la Fein (1975, p. 292): "il corso evolutivo del comportamento di finzione sembra riflettere la crescente capacità del bambino di creare analogie (o simboli) sempre più indipendenti dalla stimolazione esterna". Questa capacità di allontanarsi dai significati usuali e di attribuire nuovi significati permette lo sgancio dalla letteralità della realtà "così com'è" e rende possibile le trasformazioni simboliche: di oggetti (l'uso degli oggetti come sostituti, ad esempio una conchiglia come tazza), persone, eventi, situazioni, e la combinazione delle rappresentazioni.

La decontestualizzazione come abilità cognitiva tipica del gioco simbolico è segnalata sia da Piaget (1974), che la collega alla funzione rappresentativa, sia da Vygotsky (1966), che la connette alla abilità simbolica di manipolare i significati.

La capacità di decontestualizzare, di cui un aspetto riguarda la sostituzione degli oggetti, si affina con l'età e con l'esperienza ludica. Le prime manifestazioni del gioco di finzione si avvalgono di oggetti realistici, cioé di oggetti assai simili a ciò che rappresentano (un cucchiaio giocattolo per un cucchiaio). Progressivamente il bambino diventa capace di usare un oggetto al posto di un altro (un bastone come cavallo). Tale cambiamento evolutivo è individuato nel secondo anno di vita. Infine nella finzione ludica vengono evocati oggetti del tutto immaginari, resi presenti mediante gesti e parole. Con l'evoluzione del gioco simbolico diminuisce pertanto la dipendenza della finzione dalle proprietà percettive degli oggetti. Un'analoga linea evolutiva riguarda la sostituzione di identità (assunzione e attribuzione di ruoli) e la trasformazione di situazioni (un angolo della stanza come giungla).

Decentramento

Lo studio della capacità di decentrarsi ha come riferimento principale il pensiero di Piaget, che lo definisce per contrapposizione al concetto di egocentrismo cioè l'indifferenziazione tra il proprio e l'altrui punto di vista e la "centrazione" sulla propria prospettiva (PIAGET, 1962). Il decentramento consente di immaginare come un altro vede le cose rendendo così possibile tener conto di ambedue i punti di vista, il proprio e l’altrui, senza confonderli. Nel gioco questa abilità si manifesta nella condotta di role-taking, l’assunzione di un ruolo, che dimostra la capacità di comportarsi come se si fosse un'altra persona. Nel gioco simbolico le condotte che rappresentano l'esercizio e lo sviluppo dell'abilità di role-taking sono due: l'assunzione di ruoli fittizi (per es. fingere di essere la mamma) e l'utilizzo dell'oggetto come se fosse un essere vivente (per es. fingere di nutrire la bambola).

Per quanto riguarda l’evoluzione della prima condotta inizialmente il bambino rappresenta se stesso mettendo in atto “per finta” azioni che lui stesso compie abitualmente nelle quotidianità. Successivamente vengono rappresentate azioni viste fare da altri. Si giunge poi all’assunzione di un ruolo fittizio - la mamma, il dottore, ecc. - che ha caratteristiche stabilmente o convenzionalmente attribuiti ad una posizione sociale. Un passo ulteriore è costituito dall'assunzione di ruoli fittizi insieme a dei compagni di gioco. In questo caso il bambino deve padroneggiare la rappresentazione mentale di almeno due ruoli (quello assunto da lui e quello assunto dal compagno) per poter coordinare le proprie iniziative ludiche con quelle altrui.

Per quanto riguarda la seconda condotta, che consiste nel rapportarsi all'oggetto (ad es. alla bambola) come se fosse capace d'azione, l’evoluzione consiste in comportamenti e verbalizzazioni che dimostrano che il bambino considera l’oggetto animato: dall’accudire la bambola, all’attribuirle sentimenti e emozioni, e, successivamente, a farla agire e, infine, ad interagire con essa come fosse una compagna di gioco.

Integrazione

L'uso del termine integrazione in relazione al gioco simbolico si riferisce allo sviluppo della capacità di combinare un sempre maggior numero di elementi (azioni, oggetti, identità, situazioni) in modo sempre più articolato e coerente all'interno di scene ludiche che assumono la complessità e l'andamento della rappresentazione di vere e proprie storie.

Lo sviluppo dell'integrazione nel gioco simbolico sembra consistere nella messa in scena di scripts, definiti da Schank e Abelson (1977) come rappresentazioni mentali che organizzano le conoscenze relative a eventi quotidiani condivisi da tutti i membri di una certa cultura (come ad es. andare al cinema, fare visita ad un amico, andare al supermercato ecc.) caratterizzati da un certo grado di stereotipia. L’integrazione non è necessaria solo alla rappresentazione di scene e trame convenzionali ma, più in generale, è il fondamento della capacità narrativa che, nel gioco simbolico, si manifesta nella drammatizzazione di trame, serie di scene collegate da nessi temporali e causali.

L’evoluzione di questa capacità in ambito ludico è descritta da diversi studi. Dapprima i bambini rappresentano singoli schemi di azione e, successivamente, azioni combinate secondo un ordine sequenziale riproducendo esperienze quotidiane (per es. fingere di far la spesa, di cucinare e di mangiare). Il grado di complessità successivo vede l'introduzione della problematicità, di un obiettivo che guida l'articolazione delle azioni ludiche (per es. fingere di essere affamati, poi di non aver nulla da mangiare e di uscire di casa alla ricerca di cibo). In questi casi nel gioco viene rappresentata una vera e propria trama narrativa.

Controllo dell’esecuzione

L’uso del linguaggio svolge funzioni diverse nel corso dell'evoluzione del gioco di finzione Dapprima il linguaggio è usato soprattutto come guida e strumento per dirigere le azioni simboliche proprie e si manifesta nel gioco solitario; successivamente diventa strumento prevalente di controllo e comunicazione simbolica di tipo sociale.

Seguendo il pensiero di Vygotsky (1956) il linguaggio è un mezzo per organizzare e dirigere l’azione che si fa nello sviluppo sempre più interiore. In questa prospettiva secondo Lurija e Yudovich (1975):

il linguaggio “nel gioco” assolve una funzione essenziale. Fin dall'inizio esso rappresenta un modo di orientare l'attività ludica, serve ad analizzare i vari elementi del gioco e a realizzare il progetto creativo che viene a poco a poco sviluppato attraverso una serie complessa di stadi intermedi (...) I gesti ludici cessano di avere un significato puramente rituale e acquistano un carattere oggettivo e orientativo. (...) I singoli oggetti non vengono più usati arbitrariamente in questo o in quel processo ludico, ma assumono un significato permanente nel contesto complessivo del gioco programmato. Di particolare importanza è il fatto che ora questo significato rimane invariato per tutto il gioco: esso non si definisce nel corso dell'attività pratica ma preesiste ad essa come formulazione verbale del progetto (LURIJA; YUDOVICH, 1975, p. 112-113).

La verbalizzazione a commento delle condotte ludiche avrebbe la funzione di creare e mantenerne il quadro di riferimento simbolico chiarendo e ricordando al bambino di "stare facendo finta". Quando poi il gioco si fa sociale anche il linguaggio assolve una funzione propriamente comunicativa e serve a partecipare a un gioco simbolico condiviso segnalando agli altri il significato delle proprie azioni ludiche in modo che vi si possano associare.

Le verbalizzazioni sia del primo che del secondo tipo possono svolgere a loro volta due altre funzioni: essere delle battute “nel gioco” (ad es. “come è buona questa pappa!) oppure delle comunicazioni “sul gioco” (metacomunicazioni ludiche) (ad es. facciamo che tu eri il lupo e io scappavo”, che servono a pianificare il gioco e a chiarire e segnalare le proprie intenzioni ludiche

Nel gioco solitario le verbalizzazioni hanno la funzione di dirigere e controllare l'esecuzione propria del bambino in una fase in cui egli sta "imparando" le tecniche e il significato della finzione; quando il gioco si fa sociale il linguaggio mantiene analoghe funzioni di regolazione e controllo esecutivo ma coinvolge non solo le proprie ma anche le altrui condotte ed è lo strumento principe attraverso cui la finzione viene creata, mantenuta, sviluppata, negoziata

Competenza sociale

Giocare insieme non è impresa facile. La possibilità di condividere la finzione ludica dipende da un lato da competenze cognitive relative all'uso e alla creazione di simboli, dall’altro dal desiderio di giocare insieme e dalla capacità di farlo. Occorre saper distinguere azione fittizia da azione non fittizia, essere in grado di comunicare all'altro il significato simbolico attribuito ad oggetti, contesto, gesti, comportarsi in maniera contingente alla condotta ludica altrui secondo piani e copioni comuni.

Lo studio dell’evoluzione della competenza sociale nel gioco di finzione deve molto a Parten che nel 1932 pubblicò in un articolo i risultati delle sue osservazioni sulla partecipazione sociale ad attività spontanee di 42 bambini di età prescolare. Nel saggio venivano individuate diverse categorie di comportamento più o meno marcatamente sociale la cui frequenza aumentava in funzione dell'età dei bambini.

La prima categoria non presenta caratteristiche sociali: il bambino non risulta impegnato in una particolare attività (unoccupied behavior), non gioca, si guarda attorno. La seconda si riferisce al bambino come spettatore (onlooker): guarda giocare gli altri, ne commenta l'attività o fa domande senza partecipare direttamente al gioco. La terza categoria riguarda il gioco solitario (solitary play): il bambino gioca per conto proprio e non appare influenzato dalla presenza dei compagni né nella scelta degli oggetti né nel tipo di attività. Con la quarta categoria del gioco parallelo (parallel play) il bambino, pur giocando da solo, svolge un'attività simile a quella dei compagni avvalendosi di giocattoli analoghi.

Le ultime due categorie definiscono forme di gioco propriamente sociale. Nel gioco associativo (associative play) i bambini svolgono attività simili ma non identiche, giocano insieme conversando sulla loro attività, si scambiano oggetti ma non vi è divisione dei compiti né subordinazione dell'attività individuale ai bisogni del gruppo. Infine il gioco collaborativo (cooperative or organized supplementary play) è invece caratterizzato dalla presenza di un obiettivo comune in vista del quale i bambini cooperano, dividendosi il lavoro.

Le categorie individuate da Parten sono state riprese e dettagliate in successive studi. Di particolare rilievo l’elaborazione della Peer play scale (Howes, 1980) e l’andamento evolutivo proposto da Garvey (1982) relativamente al gioco di ruoli.

La SVALSI: struttura e modalità di utilizzo

La SVALSI permette di identificare i comportamenti di gioco simbolico dei bambini e di tradurli nella dimensione evolutiva e nel livello di competenza che esprimono. Si tratta di uno strumento messo a punto attraverso alcune ricerche empiriche e concepito in un’ottica pedagogica, cioè per un utilizzo finalizzato a promuovere le capacità ludiche dei bambini in modo che le loro esperienze di gioco siano ricche e soddisfacenti.

La SVALSI è strutturata come un insieme di 5 sotto-scale, che corrispondono alle 5 dimensioni evolutive considerate nei paragrafi precedenti:

  • la Decontestualizzazione, cioè la capacità di comportarsi indipendentemente dal contesto percepito;

  • il Decentramento, cioè la capacità di tenere conto dei punti di vista altrui;

  • l’Integrazione, cioè la capacità di coordinare più elementi ludici in modo narrativamente coerente;

  • il Controllo dell’esecuzione, cioè la capacità di utilizzare le verbalizzazioni per dirigere i comportamenti;

  • la Competenza sociale, cioè la capacità di condividere azioni, proposte, progetti di gioco.

Ogni sotto-scala comprende le condotte di gioco simbolico che esprimono la dimensione evolutiva considerata, declinate secondo diversi livelli di competenza.

DECONTESTUALIZZAZIONE9

DECENTRAMENTO

INTEGRAZIONE

CONTROLLO ESECUTIVO

COMPETENZA SOCIALE

L’applicazione dello strumento prevede alcuni passi. In primo luogo si tratta di osservare o videoregistrare il gioco libero di uno o più bambini in un contesto naturale (asilo nido, scuola dell’infanzia ecc.) e di trascrivere piuttosto dettagliatamente quanto si riesce a cogliere. Occorre quindi analizzare le trascrizioni e selezionare le sequenze di gioco simbolico, per poi codificare tali sequenze secondo le categorie comportamentali proposte dalla SVALSI.

Su queste basi, è possibile per ogni bambino definire un profilo ludico-simbolico individuando, per ogni sottoscala, i livelli più e meno evoluti attivati, nonché quelli che compaiono con maggiore e minore frequenza; questo profilo può essere tradotto in termini quantitativi grazie a una scheda che permette di calcolare un indice di competenza per ogni sottoscala e un indice di competenza globale10.

Allo stesso modo, se si analizza il gioco di bambini in gruppo, è possibile definire un profilo ludico di gruppo: analizzando con la SVALSI i profili individuali, è possibile stabilire per ogni sottoscala quali sono i livelli più o meno evoluti e frequenti manifestati nel gioco di gruppo e quindi delineare la zona prossimale di sviluppo, come si vedrà più dettagliatamente nel paragrafo 6.

Le ricerche

La SVALSI è stata elaborata nel corso di una ricerca di dottorato (Savio, 1990) sulla base dell’analisi della letteratura e della messa alla prova con un numero limitato di bambini. La ricerca si proponeva di verificare l’impatto di diverse condizioni di gioco sulla capacità ludico-simboliche di 15 bambini (età media 3 anni), osservati all’interno dell’asilo nido da loro abitualmente frequentato.

I bambini sono stati dapprima analizzati con la SVALSI in situazioni di gioco libero, poi suddivisi in tre sottogruppi equivalenti per età e capacità ludico-simboliche rappresentate (ogni sottogruppo comprendeva bambini con capacità basse, medie e alte in rapporto ai livelli rilevati nell’intero gruppo). I tre sottogruppi sono stati coinvolti in situazioni di gioco differenti, quotidianamente, per un periodo di un mese: il sottogruppo A ha continuato a fruire delle situazioni abitualmente vissute nella giornata del nido; il sottogruppo B ha partecipato a sedute di gioco quotidiane in un ambiente allestito ad hoc; il sottogruppo C ha giocato quotidianamente nello stesso ambiente del sottogruppo B, ma con l’intervento di un adulto finalizzato a promuovere il gioco.

In sostanza, i sottogruppi B e C differivano esclusivamente riguardo a una condizione, l’intervento dell’adulto, presente solo nel sottogruppo C, mentre erano equivalenti per competenze ludico-simboliche iniziali, ambiente e ritmi di gioco proposti in aggiunta a quelli usuali. Al termine dell’esperienza, i bambini sono stati nuovamente analizzati con la SVALSI, sulla base dell’osservazione di 3 incontri di sotto-gruppo finali, per verificare l’impatto dei 3 diversi trattamenti sulle loro capacità di gioco.

L’analisi ha rilevato che i tre sottogruppi non risultano più equivalenti rispetto ai livelli di abilità-ludico simboliche (test di Kruskal-Wallis, p. ≥ 0,1): il sottogruppo C (con l’intervento dell’adulto) fa registarer il maggiore incremento delle capacità ludico-simboliche dei bambini, seguito dal sottogruppo B (ambiente ad hoc) e, per ultimo, dal sottogruppo A (abituali situazioni di gioco). Questi risultati, oltre a indicare che le strategie messe in campo dall’adulto per promuovere le capacità ludico-simboliche sono efficaci, indicano che la SVALSI permette di discriminare livelli diversi di capacità ludico-simboliche, suggerendo un certo grado di validità e sensibilità dello strumento (misura ciò che si propone di misurare).

La SVALSI è stata successivamente provata in modo più sistematico con una ricerca (BONDIOLI; SAVIO, 1994 a; BONDIOLI, SAVIO, 1994 b) che ha coinvolto 52 bambini (21 maschi e 32 femmine) frequentanti 2 asili nido (20 e 17 bambini) e una scuola dell’infanzia (15 bambini), con un’età compresa tra i 26 e i 41 mesi. I bambini sono stati videoregistrati durante le abituali situazioni di gioco simbolico (spazi, materiali, compagni e presenza dell’adulto) offerte dai 3 contesti. Dei momenti di gioco di ciascun gruppo, della durata di mezz'ora, sono stati trascritti i primi 15 minuti. Per ogni bambino, due ricercatori hanno realizzato separatamente una trascrizione, concordando successivamente una versione condivisa.

Ciascun ricercatore ha quindi analizzato individualmente le trascrizioni selezionando gli episodi di gioco simbolico e applicando la SVALSI; i due ricercatori si sono poi confrontati e hanno risolto i casi di disaccordo (sugli episodi di finzione e/o sulla codifica con le categorie dello strumento) discutendo e giungendo a una decisione comune. L’applicazione dello strumento è stata tradotta in dati quantitativi (indici di competenza di sottoscala e indici di competenza globali cfr. nota 11).

L’analisi e l’elaborazione statistica dei dati hanno permesso di giungere, in sintesi, ai seguenti risultati. La concordanza tra osservatori risulta particolarmente elevata sia per quanto riguarda l’individuazione degli episodi di finzione sia per quanto riguarda la codifica degli item della SVALSI; ciò significa che le diverse categorie comportamentali sono definite in maniera chiara e costituiscono un riferimento selettivo per la rilevazione e la valutazione. Lo strumento appare sensibile rispetto ai differenti livelli di gioco, permette cioè di discriminare gradi diversi di abilità ludico-simbolica in soggetti diversi.

Inoltre, risultano esserci correlazioni tra i livelli delle diverse condotte; ciò farebbe pensare che gli elementi presi in considerazione dalla SVALSI siano aspetti di uno stesso fenomeno e che la competenza ludico-simbolica sia costituita da fattori intrecciati tra di loro, a conferma della concezione evolutiva che fa da sfondo allo strumento, secondo la quale le abilità che partecipano a definire la finzione ludica, pur se relativamente indipendenti, risultano interconnesse.

La “vocazione” educativa della SVALSI

L’analisi della letteratura indica che gli strumenti e le metodologie per valutare il gioco possono essere collocati in due ampi filoni: valutazione del gioco o valutazione attraverso il gioco (RAY-KAESER et al, 2018). Nel primo caso oggetto della valutazione sono le abilità, le preferenze e i tipi di gioco; nel secondo caso invece ci si basa sul gioco per misurare le competenze cognitive, emozionali, sociali o affettive dei bambini.

Per come è strutturata e per gli aspetti su cui punta l’attenzione, la SVALSI parrebbe a cavallo tra questi due filoni. Infatti considera dimensioni e tappe evolutive che definiscono il livello delle abilità ludiche; d’altra parte si tratta di dimensioni che individuano competenze cognitive, sociali, emotive ampie e trasversali: la capacità di astrarsi dal contesto percepito (decontestualizzazione), di assumere il punto di vista cognitivo, sociale emotivo di un altro (decentramento), di attivare un pensiero narrativo (integrazione), di utilizzare il linguaggio per sostenere un pensiero prospettico (controllo dell’esecuzione) e per negoziare saperi e azioni condivise (competenza sociale).

Dunque la SVALSI può essere utilizzata per valutare il livello raggiunto da un bambino rispetto a queste competenze, attraverso l’osservazione del suo gioco; tuttavia, non è stata concepita con questa finalità, ma piuttosto con quella di analizzare le capacità ludico-simboliche per sostenerne l’espansione e l’arricchimento affinché i bambini possano giocare in modo pieno e soddisfacente, insomma per promuovere il gioco per il gioco. Alla base della SVALSI vi è quindi il riferimento a una certa idea di gioco: pur senza dimenticare l’importante funzione evolutiva della realtà ludico-simbolica in relazione alle competenze considerate, adottando una prospettiva olistica e fenomenologica si vuole portare in primo piano il fatto che nei vissuti dei bambini essa assume il senso di un’esperienza esistenziale significativa e che, di conseguenza, possiede di per sé da una peculiare nonché ampia valenza formativa.

In definitiva, lo strumento viene proposto non come un test per fissare i livelli di competenza, ma piuttosto come un dispositivo utile a individuare in modo dinamico le abilità ludico-simboliche infantili, traducendole in zone prossimali di sviluppo per progettare condizioni educative favorevoli all’evoluzione e all’arricchimento del gioco stesso. Uno strumento quindi che si rivolge principalmente a chi opera nel sistema educativo 0-6.

Per la definizione delle zone prossimali di sviluppo dei singoli bambini con la SVALSI, in riferimento alle diverse condotte comprese dalle singole sottoscale, l’assunto da cui si parte è che le condotte di gioco più evolute e in genere più raramente attivate dai bambini corrispondano al livello di sviluppo potenziale, vale a dire a livelli di competenza non ancora consolidati che perciò si manifestano in maniera insicura e solo abbozzata; viceversa le condotte di gioco meno evolute, che generalmente compaiono con maggior frequenza, coinciderebbero con il livello di sviluppo attuale, cioè con livelli di competenza pienamente posseduti. Su queste basi è anche possibile definire una zona prossimale di sviluppo di un gruppo di bambini osservati durante il gioco condiviso: una volta delineate le zone di sviluppo prossimali individuali, la zona prossimale di sviluppo di gruppo corrisponderebbe, per il livello attuale, ai livelli di competenza meno evoluti e più frequentemente attivati dai bambini e, per il livello potenziale, con quelli più evoluti e più raramente manifestati.

La zona prossimale di sviluppo, come evidenziato nei paragrafi precedenti, rappresenta lo spazio virtuale della relazione educativa. Con la ricerca attraverso cui è stata elaborata la SVALSI, sono state messe a punto strategie d’intervento dell’adulto11 che puntano, tra l’altro, a sostenere il consolidarsi del livello potenziale di sviluppo in modo che diventi attuale, cioè attivabile dai bambini con frequenza e sicurezza, e che si delineino nuove e più evolute potenzialità. L’adulto agisce primariamente attivando una funzione di modeling, cioè riprendendo le condotte più evolute e solo abbozzate dai bambini per riproporle in maniera compiuta, presentandosi così come un “buon” modello ludico e permettendo così ai bambini stessi di riconsiderale, rafforzarle, riproporle in maniera più “solida”.

Nello specifico per attivare la funzione di modeling utilizzando la SVALSI si procede nel modo seguente.

In primo luogo occorre osservare e trascrivere un momento di gioco del gruppo di bambini, per poi analizzare con lo strumento le manifestazioni-ludico simboliche di ogni singolo bambino. Considerando nell’insieme gli esiti delle analisi individuali, per ogni condotta ludica si individuano a livello di gruppo i comportamenti più evoluti e più raramente manifestati, cioè il livello di abilità potenziali del gruppo (per es. l’oggetto sostituto per la Decontestualizzazione, l’assunzione di ruolo per il Decentramento ecc.), e quelli meno evoluti e generalmente più frequenti, cioè il livello di abilità attuali del gruppo (ad es. l’oggetto prototipo per la decontestualizzazione, l’attività riferita ad altri per il Decentramento ecc.).

Su queste basi si progetta l’intervento dell’adulto in modo che si “collochi” entro la zona prossimale di sviluppo del gruppo e la faccia evolvere12.

Se si possiede una conoscenza approfondita dello strumento, delle condotte e dei livelli di sviluppo che comprende, è possibile attivare la funzione di modeling in presa diretta, cioè analizzando il gioco dei bambini e intervenendo di conseguenza mentre si sta giocando con loro. In questo caso la zona prossimale di sviluppo viene esplorata anche proponendo livelli immediatamente superiori a quelli osservati direttamente dai bambini, appunto per stabilire quale sia il confine del livello potenziale.

Per chiarire questa possibilità, analizziamo l’esempio dell’intervento di un adulto durante il Gioco di un gruppo di 5 bambini, età media 36 mesi.

I. indica un cane di peluche “è Bubu! È il nostro amico”

A. “ma questo Bubu magari ha fame”

La. “tò, tò un toast” finge di porgere qualcosa al cane

A. “eccolo Bubu, bravo Bubu”, accarezza il cane, tutti i bambini si fanno attorno al cane e lo accarezzano, dicono “ciao Bubu” [...]

M. finge di dare da bere al cane

A. “bravo Bubu! Guarda che anche I. gli dà un po’ da bere”, avvicina il cane al bicchiere che I. gli porge e finge di farlo bere con rumori e movimenti appropriati attribuiti al pupazzo, poi allo stesso modo avvicina il pupazzo al bicchiere di La. e di Lu.

I bambini guardano e, dopo un attimo di silenzio incuriosito, scoppino a ridere.

Dopo un po’, La. finge di far mangiare il pupazzo da una pentola che le porge G.

Il gioco si concentra sul peluche Bubu con azioni che, in riferimento alla SVALSI, corrispondono alla condotta dell’oggetto animato nella sottoscala Decentramento. In prima battuta, I. attiva il livello dell’oggetto recipiente passivo, cioè attribuisce al peluche un’identità adatta a un essere animato: dice che è un amico. L’adulto propone immediatamente un livello superiore, cioè quello dell’agente recipiente attivo che prevede l’attribuzione all’oggetto di bisogni, sentimenti, attività “interne” tipiche di un essere vivente: dice che Bubu ha fame. I bambini rispondono prontamente attivando lo stesso livello in vari modi: fingono di dare da bere, da mangiare a Bubu, lo accarezzano, gli parlano attribuendogli la facoltà di udire. Data la pronta e diffusa capacità di manifestare questo livello da parte dei bambini, si può presumere che esso corrisponda al livello attuale del gruppo.

L’adulto, sulla base di questa analisi condotta in medias res, si spinge oltre e propone il livello immediatamente superiore, l’oggetto agente attivo: muove il peluche facendolo agire, fingendo che si avvicini al bicchiere e beva. La reazione di bambini permette di ipotizzare che questo livello corrisponda al livello potenziale del gruppo: guardano incuriositi e poi ridono, come di fronte a una condotta che riescono a comprendere ma che, da soli, non avrebbero attivato perché ancora non ne possiedono pienamente le capacità.

Poco dopo La., la bambina risultata con competenze ludico-simboliche alte a una precedente valutazione con la SVALSI, ripropone autonomamente tale condotta; ciò potrebbe indicare che per lei, in quanto giocatrice abile del gruppo, si tratta di un livello di decentramento d’oggetto animato più accessibile rispetto ai compagni, che grazie all’intervento dell’adulto riesce ad attivare per consolidarlo come livello di capacità attuale.

In sintesi, l’adulto, rimanendo all’interno dei contenuti di gioco proposti dai bambini, cioè senza snaturare la spontaneità e libertà proprie dell’attività ludica, sul piano dei processi evolutivi individua e sostiene le loro capacità ludiche potenziali con un’azione educativa mirata. In questa prospettiva, la SVALSI è uno strumento che permette di orientare e monitorare precisamente l’intervento educativo.

Alcune considerazioni conclusive

La SVALSI è uno strumento complesso, nella struttura come nelle finalità per le quali è stato concepito; il suo utilizzo richiede perciò di tenere presenti alcune avvertenze.

In primo luogo, per applicarlo occorre una professionalità dotata di conoscenze e competenze specialistiche sul gioco. Ciò significa prevedere una formazione per educatori e insegnanti che si sviluppi su due piani: da una parte sul significato del gioco nella prima infanzia, sul suo ruolo evolutivo e formativo in senso ampio, con lo studio delle teorie e delle ricerche che affrontano questo tema; dall’altra sull’osservazione delle condotte da rilevare, nonché sulla loro codifica in termini di livelli e dimensioni evolutiva che rappresentano.

Questo secondo versante formativo richiede training supervisionati, quindi risorse e tempi lunghi; inoltre non può mai darsi per concluso, ma deve essere ripreso e aggiornato nel tempo per poter raggiungere la professionalità che abbiamo mostrato in azione con l’esempio analizzato nel precedente paragrafo.

Riguardo alla complessità delle finalità per le quali lo strumento è stato pensato, è già stato detto come vada utilizzato per progettare e monitorare contesti favorevoli al gioco simbolico “situati”, cioè che rispondano ai bisogni ludico-simbolici degli specifici bambini con cui si opera. La “vocazione” educativa della SVALSI risponde pienamente a quello che riteniamo dovrebbe essere l’orientamento di qualsiasi strategia valutativa rivolta al bambino.

Certamente questo significa tempo per l’analisi, la definizione, la verifica e la ridefinizione degli interventi dell’adulto nel gioco, quindi ancora impegno professionale intenso e “alto”, che andrebbe condiviso all’interno del gruppo educativo di un certo contesto educativo. Ma significa anche allargare lo sguardo e considerare, oltre all’intervento dell’adulto, l’intero contesto e la sua qualità ludica. In altre parole, i livelli di gioco dei bambini delineati con la SVALSI potrebbero essere considerati la cartina tornasole di quanto gli spazi, il loro allestimento, i materiali messi a disposizione, i tempi, l’organizzazione dei gruppi ecc. favoriscano l’attività ludico-simbolica infantile. Queste dimensioni contestuali potrebbero esse stesse essere valutate con strumenti ad hoc13, quindi variate con la finalità di promuovere le possibilità e la ricchezza delle dinamiche di gioco, verificando poi, con la SVALSI, se effettivamente si è riusciti a incidere positivamente su di esse.

Infine, è chiaro che per intraprendere percorsi formativi e progettuali tanto articolati occorre che sia riconosciuto il valore educativo irrinunciabile del gioco, con la decisione di metterlo al centro della riflessione e della relazione educativa.

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1I paragrafi 1, 2, 3 sono scritti da Anna Bondioli, i paragrafi 4, 5, 6, 7 da Donatella Savio.

2Ci si riferisce, tra l’altro, alle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione (Ministero dell’Università e della Ricerca, 2012), e al Proposal for key principles of a Quality Framework for Early Childhood Education and Care (European Commision, 2014).

3Nel testo le espressioni gioco simbolico (symbolic play), gioco del “far finta” (pretend play), gioco di fantasia (fantasy play) saranno usate come sinonimi. L’espressione gioco socio-drammatico (socio-dramatic play) sarà riservato a descriverne le forme sociali più mature.

4Secondo Bruner (1972, p. 38) “il gioco rappresenta una buona occasione di tentare nuove combinazioni comportamentali che non potrebbero essere sperimentate sotto pressione funzionale”.

5Nelle attività coi pari i bambini riproducono gli atteggiamenti, i comportamenti, le dinamiche sociali degli adulti con cui sono in contatto, reinterpretandoli secondo modalità proprie. Attraverso la riproduzione interpretativa, i bambini si appropriano dei contenuti della cultura adulta (riproduzione), introducendovi elementi innovativi (interpretazione) (aspetti creativi apportati dai bambini).

6Due recenti rassegne (BULGARELLI et al., 2018; BULGARELLI; BLANQUIN, 2018) presentano, l’una per il contesto anglofono, il secondo per quello italiano, gli studi e gli strumenti disponibili per la valutazione del gioco. Per quanto riguarda in particolare il gioco di finzione, la prima rassegna menziona tre studi; la seconda rassegna ne presenta cinque, dei quali solo quello relativo alla SVALSI (BONDIOLI; SAVIO, 1994a) appare finalizzato prioritariamente all’assessment.

7A questo aspetto è stato dedicato il paragrafo conclusivo.

8Non potendo qui riportare tutti i riferimenti bibliografici relativi ai numerosi studi sull’evoluzione del gioco simbolico, svolti per lo più tra gli anni ’70 e ’80, si rimanda al testo di Bondioli e Savio (1994a).

9Punteggio attribuibile per la quantificazione dell’analisi; sulla base della letteratura, all’interno di ogni sottoscala si è stabilito di attribuire lo stesso punteggio ai livelli che corrispondono a uno stesso grado di competenza nelle diverse condotte (ad es. oggetto prototipo e identità funzionale equivalgono entrambe a un punteggio 10 di Decontestualizzazione).

10Cfr. nota 10. Per calcolare l’indice di competenza di sottoscala: si considerano esclusivamente i punteggi dei livelli di condotta più elevati manifestati dal soggetto, sommandoli nel caso in cui la sottoscala comprenda più condotte, cioè per la Decontestualizzazione, il Decentramento, l’Integrazione. L’indice di competenza globale si calcola sommando gli Indici di sottoscala e dividendo la somma per 5. Per approfondimenti cfr. Bondioli e Savio (1994a, p. 107-108).

11In sintesi, tali strategie corrispondono a uno stile maieutico: l’adulto entra nel gioco dei bambini con curiosità e discrezione, lasciandosi guidare e sostenendo le loro iniziative rispetto ai temi ludici (ad es. giocare all’incendio, all’ospedale, a cucinare ecc.), ai ruoli (ad es. chi fa il pompiere, il bambino malato, la mamma ecc.), agli sviluppi (ad es. arriva un temporale che spegne l’incendio, si rompe l’ambulanza, si cucina un pollo ecc.), con proposte di arricchimento congruenti (ad es. c’è un cagnolino tra le fiamme, bisogna misurare la febbre, al pollo manca il sale, ecc.) e finalizzate a non a deviare, ma piuttosto a promuovere l’arricchimento dell’articolazione delle dinamiche ludiche di gruppo. Per un approfondimento cfr. Savio (1990, 2011, p. 44-49, 2019b), Bondioli (1989, 1996, 2001, 2011) e Bondioli e Savio (1993, 1994b, 2020).

12In termini operativi ciò avviene attraverso alcune fasi. Inizialmente l’adulto monitora il suo intervento in modo da attivare in prima persona, attraverso la strategia del modeling, i livelli di gioco più evoluti registrati nel gruppo (per es. l’oggetto sostituto per la Decontestualizzazione, l’assunzione di ruolo per il Decentramento ecc.), possibilmente per ogni condotta ludica compresa dalla SVALSIa concentrandosi su ognuna di esse in momenti diversi. In secondo luogo, analizza i comportamenti ludici dei bambini con la SVALSI, per verificare se, quando e per quali condotte i livelli di gioco sostenuti col modeling si siano consolidati e siano divenuti più frequenti tra i bambini, cioè se il livello potenziale del gruppo sia divenuto attuale. Contemporaneamente considera se si manifestino nelle diverse condotte livelli più evoluti (per es. l’oggetto immaginario per la Decontestualizzazione, l’attribuzione di ruolo per il Decentramento), per progettare ulteriori interventi di modeling in riferimento ad essi.

13Molti strumenti di valutazione di contesto contengono sezioni (item) per la valutazione della qualità proposte per il gioco; nel contesto italiano esiste uno strumento interamente dedicato alla valutazione della qualità ludica del nido d’infanzia, lo Strumento del buon nido ludico (SAVIO, 2011).

Received: November 04, 2020; Accepted: April 26, 2021

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