Introduzione
Una delle prime attività ad essere sospese a causa dell’emergenza sanitaria Covid-19 è stata la didattica in presenza a tutti i livelli del sistema formativo, inclusa la scuola del primo e secondo ciclo d’istruzione. In Italia, come in altre situazioni, le scuole come luoghi fisici, come aule fatte di banchi, cattedre e lavagne, hanno chiuso i battenti insieme alla didattica presenziale nei primi giorni del mese di Marzo 2020, ma non si è interrotta la didattica tout court che, seppur con tempi e modalità diverse da scuola a scuola, ha proseguito nella sua forma a distanza, ora rinominata per la prima volta nel nostro paese DaD, acronimo di didattica a distanza. L’innovazione lessicale ha sorpreso molti degli studiosi italiani nel settore dell’e-learning: dalla fine degli anni Novanta in poi hanno prevalso altre formule come “didattica online”, “apprendimento online”, didattica in rete”, “didattica online” a segnalare un importante cambio di paradigma nella storia dell’istruzione a distanza (IaD), vale a dire il passaggio da approcci didattici trasmissivi o fortemente direttivi ad approcci didattici di taglio costruttivista, incentrati sullo scambio dialogico, la negoziazione dei significati, la costruzione collaborativa della conoscenza. L’adozione della formula DaD ha proiettato nel passato piuttosto che nel futuro il dibatto sul ruolo delle tecnologie nella formazione online, con buona pace di chi si occupa del tema da oltre vent’anni, mentre il repentino passaggio al digitale sembra aver trovato gran parte delle scuole e delle istituzioni scolastiche impreparate. In che modo hanno reagito le scuole e gli insegnanti di fronte alla chiusura? Se e come la tradizionale didattica in presenza è stata ripensata? Quali pratiche didattiche e quali strategie valutative sono state implementate per garantire la continuità educativa?
In questo contributo, esploreremo tali domande focalizzandoci sul contesto della scuola primaria e presentando i risultati di una indagine realizzata tra Aprile e Maggio 2020 attraverso la somministrazione online di un questionario rivolto a maestri e maestre. Oltre alla descrizione e all’analisi dei risultati, il lavoro comprende una introduzione al contesto italiano e una riflessione di sintesi finale su quanto appreso da questa esperienza.
Contesto normativo e stato dell’arte
Quadro normativo: la risposta del MIUR alla pandemia
Il 4 Marzo 2020 il Presidente del Consiglio dei Ministri del Ministero dell'Istruzione, Ministero dell'Università e della Ricerca - MIUR, visto il carattere particolarmente diffusivo dell'epidemia da COVID-19 e l'incremento dei casi sul territorio italiano, firma il Decreto che sancisce, tra le varie restrizioni, la chiusura delle scuole (DPCM 4 marzo 2020). Tra le varie misure restrittive viene infatti comunicata la sospensione delle attività scolastiche di ogni ordine e grado, invitando i dirigenti scolastici ad attivare “per tutta la durata della sospensione delle attività didattiche nelle scuole, modalità di didattica a distanza” (ART. 1, comma 1g). Da questo momento in poi si è assistito ad un proliferare di decreti, note e ordinanze ministeriali per fornire indicazioni sempre più specifiche alle scuole.
Con la nota del 28 Marzo il ministero dell’istruzione (Nota 562/2020) prevede lo stanziamento di 85 milioni di euro per far fronte all’attuale emergenza sanitaria e consentire alle istituzioni scolastiche statali la prosecuzione della didattica tramite la diffusione di strumenti digitali per l’apprendimento a distanza, al fine di
Dotare immediatamente le scuole di strumenti digitali o favorire l’utilizzo di piattaforme di e-learning. In questa fase emergenziale, il ministero ha messo a disposizione gratuitamente ambienti digitali per l’apprendimento. Inoltre, è stata implementata una pagina dedicata sul sito istituzionale del ministero , che rende disponibili piattaforme telematiche certificate, contenuti didattici digitali e specifici strumenti di assistenza. Tale pagina comprende anche iniziative di didattica a distanza messe a disposizione da alcune Istituzioni scolastiche che hanno maturato negli anni esperienze in questo campo, nonché un canale tematico dedicato all’inclusione degli alunni disabili. Gli ambienti online per la didattica a distanza sono offerti a titolo gratuito a tutte le scuole. Pertanto, le risorse e gli strumenti digitali resi disponibili con il decreto-legge possono essere utilizzati per l’insegnamento a distanza o per potenziare quelli già in dotazione, sempre nel rispetto dei criteri di accessibilità per le persone con disabilità;
Mettere a disposizione degli studenti meno abbienti, in comodato d’uso gratuito, dispositivi digitali individuali, anche completi di connettività, per la migliore e più efficace fruizione delle piattaforme per l’apprendimento a distanza di cui al punto precedente;
La formazione online dei docenti sulle metodologie e sulle tecniche di didattica a distanza.
Il ministero dell’istruzione insieme al Movimento di Avanguardie Educative (INDIRE, 2020) stila il “Manifesto della scuola che non si ferma”. Secondo il Manifesto, la scuola non rappresenta solo un luogo di crescita per gli studenti, ma di tutta la comunità educante che fonda il suo agire sulla fiducia e la responsabilità.
Nel Manifesto vengono enucleati sei principi che devono ispirare il lavoro di quanti costituiscono oggi la comunità educativa:
Crescita. La scuola è il luogo in cui crescere sani, responsabili, competenti. È un ambiente di apprendimento che facilita la relazione educativa, la condivisione, il piacere di conoscere, la creatività e il benessere. Si cresce tutti, insieme: ragazzi e adulti.
Comunità. Siamo, con forza, comunità: docenti, dirigenti, personale della scuola, famiglie e studenti. Vogliamo sostenerci a vicenda, ognuno per il ruolo che ricopre. Fare lezione adesso significa affrontare insieme un’emergenza che rinsalderà la nostra scuola, la farà crescere e la renderà migliore.
Responsabilità. Crediamo che il rapporto educativo si fondi sulla fiducia e sulla corresponsabilità. Per questo, insieme, ci attiviamo, in presenza o a distanza, con modalità differenti per raggiungere tutti, con modi e tempi adatti a ciascuno. Nessuno deve rimanere indietro.
Sistema. Puntiamo a fare sistema, a non improvvisare e a condividere scelte adeguate alla nostra situazione d’Istituto, per dare risposte precise alle famiglie e agli studenti. Siamo visionari, non solo sognatori: progettiamo ogni azione che mettiamo in campo, ispirandoci all’arte, alla scienza, alla letteratura, alla poesia, alla matematica, come anche alla tecnologia. Le nostre radici sono salde e le nostre ali spiegate
Rete. Siamo una comunità educante allargata e - ancor più nell’emergenza - facciamo rete e condividiamo buone pratiche e consigli utili con tutti. Siamo a disposizione di tutti i docenti e dirigenti d’Italia per costruire insieme nuovi spazi e ambienti di apprendimento, fisici e virtuali, oltre le mura degli edifici scolastici.
Innovazione. Crediamo in una scuola che si rinnova e non si ferma, anche in condizioni di emergenza. Sosteniamo che le metodologie innovative - in presenza e a distanza - rappresentino una risorsa irrinunciabile. La formazione è una tappa imprescindibile del nostro cammino. Siamo pronti a metterci in gioco e in discussione, con professionalità e sacrificio.
Il 6 Aprile 2020 il ministero (MIUR, 2020) pubblica una guida per i docenti intitolata “Didattica a distanza e diritti degli studenti. Mini-guida per docenti”.
La guida è costituita da sei quesiti che vanno dal digital divide al come rassicurare gli alunni rispetto alla condizione attuale, seguite da suggerimenti di attività pratiche per i docenti, del tipo:
Proporre l’ora dell’ascolto: dedicare almeno un’ora di collegamento alla settimana all’ascolto dei dubbi e delle paure di bambini e di ragazzi. Affrontare dubbi e paure anche con l’aiuto di un esperto.
Aiutare i bambini e i ragazzi a focalizzarsi sugli aspetti positivi della situazione, invitandoli a lasciare traccia (scrittura, disegno, poesia, cucina, canzone, pittura, musica, ecc.) di quanto appreso da questa nuova esperienza.
Invitare i bambini e i ragazzi a fare delle proposte sull’organizzazione della didattica (temi da affrontare, compiti da svolgere, con quali modalità, anche di valutazione) e, ove fattibili, rendersi disponibili a realizzarli.
Proporre ai bambini e ai ragazzi, secondo l’età e il grado di maturità, riflessioni sulla nuova esperienza formativa, aiutandoli a riflettere sulle opportunità di apprendimento offerte dalla nuova condizione e dalla metodologia innovativa.
Proporre ai più piccoli un’attività grafica, anche a partire da un dipinto.
Rassicurare i bambini e i ragazzi. Gli aiuti dallo Stato e dalle scuole stanno arrivando. E nel frattempo, per chi non ha il computer o ne ha uno solo da condividere con altri fratelli o sorelle (o con i genitori che lavorano da casa), si possono prevedere piani di studio da realizzare in orari differiti da quelli della famiglia. Oppure è possibile chiamare al telefono gli alunni che non possono seguire la didattica a distanza. È importante impegnare tutti in attività didattiche che fungano da stimolo e incoraggiamento, che non li facciano sentire soli e che mettano in moto la mente e la creatività.
Favorire l’educazione motoria, attraverso video tutorial, al motto di “Svagarsi tutti, nessuno escluso!”.
Proporre brani musicali da ascoltare, cantare, suonare e, a seguire, fare una narrazione sulle emozioni.
Alternare sessioni didattiche con momenti più prettamente ludici e giocosi, adatti all’età e al grado di maturità della classe, proponendo attività creative, giochi e attività di allenamento della mente (cruciverba, fumetti, letture di libri, filastrocche sul coronavirus o per lavarsi le mani ecc.).
Educare i bambini e i ragazzi a sviluppare pensieri positivi, chiedendo loro di inventare favole a lieto fine o prospettando situazioni-tipo per le quali devono ricercare soluzioni pratiche.
Dare ai bambini e ai ragazzi un appuntamento fisso, in modo da mantenere la continuità didattica ed educativa, secondo un ritmo quotidiano.
Proporre attività per piccoli gruppi (a distanza).
Un ultimo riferimento importante a livello ministeriale riguarda il pronunciamento sul delicato tema della valutazione da parte della Commissione Cultura e Istruzione, che in data 27 maggio 2020 ha approvato un emendamento al Disegno di legge n. 1774, che recita: «In deroga all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n.62, dall'anno scolastico 2020/2021, la valutazione finale degli apprendimenti degli alunni delle classi della scuola primaria, per ciascuna delle discipline di studio previste dalle Indicazioni Nazionali per il curricolo è espressa attraverso un giudizio descrittivo riportato nel documento di valutazione e riferito a differenti livelli di apprendimento, secondo termini e modalità definiti con ordinanza del Ministro dell'istruzione». Questa disposizione è stata trasformata in legge il 6 giugno 2020, consentendo agli insegnanti di potersi avvalere di uno strumento descrittivo per documentare le lacune e punti di forza degli apprendimenti degli allievi e incoraggiandoli verso un uso formativo della valutazione.
Linee di indirizzo e ricerche in corso sulla scuola italiana nell’emergenza sanitaria
Una ricerca del Censis (2020), facendo riferimento ad alcune rilevazioni MIUR del 2016, ricorda che a quella data il 97% delle scuole disponeva di una connessione, ma solo l’11,2% aveva una connessione veloce (superiore ai 30 Mbps). Tuttavia, come emergeva da una indagine Censis su 1.221 dirigenti scolastici di ogni ordine e grado di scuola, uno dei principali rischi all’impiego della tecnologia a scuola stava soprattutto nella formazione degli insegnanti, considerata inadeguata e insufficiente (77,2%), così come il rischio che l’“entusiasmo tecnologico” (70,9%) portasse ad utilizzare le tecnologie nelle scuole con un approccio didattico tradizionale. Si tratta di una criticità già emersa nel passato, quando alla diffusione delle LIM (Lavagna Interattiva Multimediale) nelle classi in molti casi non ha fatto seguito un loro utilizzo diverso da quello della vecchia lavagna di ardesia.
Il Censis mette in luce come un altro aspetto poco considerato in passato è quello determinato dall’intreccio tra competenze digitali possedute, disponibilità di tecnologie ed ambienti, e composizione familiare. Con l’emergenza Covid-19 e la conseguente chiusura delle scuole, seguire le lezioni da casa implica di avere a disposizione spazi sufficienti per tutti i componenti della famiglia e una strumentazione informatica tale da consentire agli studenti di seguire le lezioni a distanza. Questa condizione ha escluso una quota importante della popolazione. I più recenti dati Istat, relativi al 2018-19, mostrano che il 33,8% delle famiglie non ha un computer o un tablet in casa, il 47,2% ne ha uno e il 18,6% ne ha due o più. La percentuale di chi non ne possiede almeno uno scende al 14,3% tra le famiglie con almeno un minorenne. Ciò significa che in Italia 850.000 studenti tra i 6 e i 17 anni (il 12,3%) non hanno un pc o un tablet a casa.
A complicare ulteriormente il quadro intervengono gli spazi abitativi disponibili. Secondo i dati relativi al 2018, il 41,9% dei minori vive in abitazioni sovraffollate e non ha a disposizione un luogo idoneo per connettersi a Internet e studiare. Una quota pari al 7% dei minori vive in condizioni di grave deprivazione abitativa (problemi strutturali, senza bagno/doccia con acqua corrente, con problemi di luminosità).
Un ultimo indicatore riguarda le effettive competenze digitali possedute dagli studenti italiani. La familiarità e l’uso intensivo che le giovani generazioni hanno con alcuni device non sono sinonimo di competenza digitale (RANIERI, 2011). Se è possibile affermare che quasi tutti i teenagers (ma meno i bambini e i preadolescenti) navigano su internet (nel 2019 il 92,2% dei 14-17enni), solo il 30,2% possiede alte competenze digitali, mentre circa il 60% si colloca su livelli bassi e il 3% non possiede alcuna competenza digitale.
Tutto ciò ha portato nella prima fase di avvio della DaD, secondo le dichiarazioni dei 2.812 dirigenti scolastici che hanno partecipato all’indagine (più del 35% del totale), a maggiori difficoltà di coinvolgimento nelle scuole del primo ciclo nelle quali nel 19,4% dei casi, viene segnalato di non avere ancora raggiunto più del 10% dei propri studenti (CENSIS, 2020). A questi dati si affianca quello della “dispersione degli insegnanti”. È il 45,6% dei dirigenti scolastici a segnalare che tutti i docenti sono impegnati in attività didattiche a distanza, con un restante 54,4% che si divide tra chi:
ha meno del 2% di docenti non coinvolti nelle attività di DaD (23,3%)
ha tra il 2,1% e il 5% di docenti non ancora attivati (18,6%)
ha più del 5% del corpo docente ancora non coinvolto nelle attività di DaD (12,5%)
Un’altra ricerca (CIDI-TORINO, 2020) mostra i numeri che, nella fase iniziale della DaD, esprimono queste difficoltà. Secondo questi dati il 22,3% degli insegnanti della primaria segnala che spesso fino ad un quarto degli allievi della classe non è raggiungibile o lo è con difficoltà. Mentre il 14% indica assenze che variano tra il 25% e il 50%.
All’affacciarsi dell’emergenza Covid-19 e a fronte delle numerose difficoltà emerse, alcune associazioni e società scientifiche si sono mosse per fornire indicazioni e sostenere le scuole in questo difficile passaggio ad una didattica da gestire completamente a distanza.
La Società Italiana di Ricerca sull'Educazione Mediale (SIREM) ha elaborato un compendio centrato sugli aspetti metodologici e didattici, che evidenzia come elementi imprescindibili della DaD (SIREM, 2020):
la partecipazione, che è data non solo dalla disponibilità delle dotazioni tecnologiche da parte delle famiglie, ma anche dalla motivazione dello studente, che va promossa insieme ad una maggiore autonomia e autoregolazione;
la scelta degli strumenti, preferibilmente piattaforme integrate su cui sarà necessario dare indicazioni precise. A questo riguardo, il compendio fornisce anche una guida alle risorse che possono essere utilizzate;
l’accessibilità, particolare attenzione deve essere posta alla preparazione di materiali di supporto efficaci con font di grandezza leggibile, colori ben contrastati, brevi video pensati anche per essere fruiti da studenti con disabilità;
la definizione dell’obiettivo formativo, che non solo va definito con chiarezza in termini progettuali, ma deve essere condiviso con gli studenti e supportato da indicazioni su quello che c’è da fare, le risorse da consultare e i lavori da svolgere;
le modalità didattiche, che possono essere a carattere erogativo o interattivo. Qualsiasi modalità si decida di attuare è importante avere presente che la didattica a distanza richiede tempi diversi, più brevi per le attività erogative e più distesi per le attività interattive;
le esposizioni online possono avvenire in modalità sincrona (utilizzando per esempio strumenti di videoconferenza) o asincrona (utilizzando per esempio dei video preregistrati);
le discussioni online possono essere mediate dall’insegnante che, in questo caso, funge da tutor moderando le conversazioni nel forum interno alla piattaforma, nelle chat testuali o audio interne alla piattaforma o nelle chat vocali esterne (es. Skype, Hangouts, ecc.) o ancora nei canali informali per l’interazione (es. WhatsApp, Flipgrid o Telegram, ecc.);
la valutazione formativa e il feedback sono gli ingredienti più qualificanti della didattica e devono essere gestiti anche a distanza, dove essi richiedono azioni esplicite come domande di verifica, l’interazione tra insegnante e allievo e l’autovalutazione;
le attività e i compiti: esistono numerose attività che possono essere realizzate in rete, anche se non è pensabile improvvisarsi esperti di formazione a distanza.
Tra i vari temi menzionati, quello della valutazione a distanza rappresenta uno degli ambiti più delicati da affrontare, come testimonia la richiesta delle Associazioni Professionali del mondo della scuola al Ministero. In un documento congiunto, promosso dal Movimento di Cooperazione Educativa (MCE) e sottoscritto da altre associazioni, viene ribadito come con la didattica a distanza sono ancora più evidenti le criticità legate alla valutazione espressa con un voto numerico da 1 a 10, non solo per la mancanza di elementi per poter esprimere una valutazione attendibile, ma anche per il rischio di sottolineare e accentuare le difficoltà sociali o legate alla condizione del momento di numerosi studenti e delle loro famiglie (MCE, 2020). Si reclama così a gran voce l’adozione di una diversa prospettiva sulla valutazione, proponendo una valutazione formativa, espressa con una breve descrizione delle attività svolte e delle competenze acquisite per ciascuna area disciplinare o gruppi di discipline, capace di promuovere e sostenere il dialogo pedagogico, fondamentale - specie in situazione di emergenza - per i minori, le famiglie e il Paese.
La DaD nella formazione degli insegnanti: dai modelli ai piani di intervento
Tecnologie didattiche e formazione insegnanti
Oggi più che mai l’emergenza sanitaria e la DaD hanno mostrato come il processo di insegnamento e apprendimento non si concretizza esclusivamente nel rapporto insegnante/allievo, ma si delinea in maniera evidente come processo circolare che non solo si allarga al gruppo classe, ai colleghi, alla scuola, ma investe tutta la comunità educante a partire dalle famiglie. L’allontanamento dalle aule scolastiche ha inoltre rimarcato l’importanza del contesto in cui avviene questo processo, un contesto fatto di persone, spazi fisici e strumenti. Quando infatti il contesto subisce variazioni tutto il processo di insegnamento e apprendimento ne viene condizionato. «Le tecnologie della conoscenza modellano ciò che si apprende, andando a cambiare il come si apprende» (LAURILLARD, 2014, p. 17). Tuttavia l’impiego delle tecnologie nelle attività didattiche può essere realmente efficace solo se gli insegnanti sono capaci di progettare percorsi di insegnamento/apprendimento che pongano al centro l’allievo che, con gli strumenti digitali, può diventare costruttore del proprio percorso di conoscenza con la guida di un docente che sa costruire un ambiente ricco di risorse, flessibile, aperto alla ricerca e al monitoraggio costante (FALCINELLI; GAGGIOLI, 2016; RANIERI; MENICHETTI; BORGES, 2018). Come emerge anche nei documenti sopra citati, la formazione degli insegnanti è un punto centrale nei processi di innovazione didattica, in quanto rende possibile un uso creativo e produttivo delle nuove tecnologie.
In Italia INDIRE ha analizzato alcune tendenze diffuse negli ultimi anni nell’ambito dei servizi e degli strumenti a supporto dell’apprendimento, che emergono dalla lettura del Report “Teaching and learning in 2020” dell’Agenda Digitale Europea (2010). Terminati i processi di diffusione di tecnologie di facile utilizzo, come per esempio le LIM (Lavagne Interattive Multimediali) su larga scala a scuola, anche a livello europeo, è emersa l’esigenza di verificare se e quanto le tecnologie siano state integrate nell’ambiente di apprendimento, e se la loro presenza abbia apportato delle modifiche/cambiamenti alle metodologie didattiche al fine di sostenerne il processo di stabilizzazione. Alcune tra le tendenze emerse rivelano che il ruolo dell’insegnante si configura come il punto chiave nel processo di trasformazione delle azioni di apprendimento. La presenza sempre più diffusa e naturalizzata nella scuola delle tecnologie ha reso necessario per l’insegnante sviluppare e mettere in campo competenze ancor oggi piuttosto lacunose.
Tra le più recenti iniziative realizzate in Italia, un importante programma di innovazione che ha posto l’attenzione sull’organizzazione del contesto classe, piuttosto che sullo strumento tecnologico, è stato il progetto Cl@ssi 2.0. L’azione Cl@ssi 2.0 intendeva offrire la possibilità di verificare come e quanto, attraverso l’utilizzo costante e diffuso delle tecnologie nella pratica didattica quotidiana, l’ambiente di apprendimento potesse essere trasformato. Il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) è il documento di indirizzo emanato nel 2015 dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per il lancio di una strategia complessiva di innovazione della scuola italiana e per un nuovo posizionamento del suo sistema educativo nell’era digitale, come previsto dalla legge n. 107/2015. La storia del PNSD ha inizio nel 2007, quando per la prima volta si è discusso della necessità di elaborare un Piano Nazionale per la Scuola Digitale che avesse l’obiettivo principale di modificare gli ambienti di apprendimento e promuovere l’innovazione digitale nella scuola, aprendo la strada a una serie di azioni e progetti messi in campo dal Ministero. L’Azione LIM promossa per la prima volta nel 2008, prevedeva la diffusione capillare della LIM nella didattica in classe, alla quale seguirono le azioni Cl@ssi 2.0, caratterizzata dallo slogan «non più la classe in laboratorio, ma il laboratorio in classe» con l’obiettivo di stimolare l’ideazione e la realizzazione di ambienti di apprendimento innovativi investendo in supporto e formazione, e Scuol@ 2.0.
Questo graduale processo di digitalizzazione della scuola italiana, reso possibile anche grazie alle risorse stanziate a livello europeo con la Programmazione Operativa Nazionale (PON istruzione), ha fatto sì che le dotazioni tecnologiche a disposizione delle scuole nel nostro paese toccassero circa 1.300.000 unità (605.000 nei laboratori, 650.000 nelle classi e la cifra restante nelle biblioteche) di cui il 70% connesso in rete in modalità cablata o wireless (ma generalmente con una connessione inadatta alla didattica digitale) (MIUR, 2015, p. 17). Tuttavia, come riconosce il Ministero, «la sfida dell’educazione nell’era digitale non può più essere una mera funzione della quantità di tecnologie disponibili; piuttosto, essa deve coniugare la crescente disponibilità di tecnologie e competenze abilitanti, la rapida obsolescenza tecnologica, e le nuove esigenze della didattica. Comprendere questa relazione significa aiutare la scuola ad acquisire soluzioni digitali che facilitino ambienti propedeutici agli apprendimenti attivi e laboratoriali, nonché per quelli costruttivisti o per progetto. L’educazione nell’era digitale non deve porre al centro la tecnologia, ma i nuovi modelli di interazione didattica che la utilizzano» (MIUR, 2015, p. 28). Per questo, il passaggio dalla scuola tradizionale alla scuola digitale segna un percorso che tocca inevitabilmente quattro ambiti fondamentali: strumenti, competenze degli studenti e contenuti, formazione e accompagnamento.
È dunque un punto centrale quello della formazione in materia di competenze digitali a tutti i livelli (iniziale, in ingresso, in servizio), affiancata dalle azioni di accompagnamento della scuola verso l’innovazione. La sfida a cui la scuola italiana è oggi chiamata a rispondere sta proprio nel cercare di scardinare le pratiche tradizionali, per accompagnare tutti gli studenti verso il successo formativo. Quello che in molti casi sembra mancare è una formazione centrata sull’analisi delle pratiche didattiche per coglierne gli elementi positivi da rafforzare e quelli critici da migliorare per ottimizzare i processi. L’analisi delle pratiche educative è una procedura di ricerca, molto diffusa in ambito europeo, che si propone di studiare l’articolazione dei processi educativi in situazione, al fine di rendere espliciti una serie di atti che coinvolgono insegnanti e studenti, nella complessità dei contesti in cui la pratica si realizza.
In tale prospettiva diviene centrale lo studio del sistema di interrelazioni che i vari protagonisti dell’agire educativo cercano di costruire, così come il sistema dei significati condiviso, le modalità di spiegazione, interpretazione e intervento sui fenomeni concreti. Una vera formazione professionale degli insegnanti ha bisogno di appoggiarsi su conoscenze didattiche, ma anche su conoscenze professionali pedagogiche: sapere della pratica. Non si tratta di tradurre le situazioni di insegnamento-apprendimento in saperi formalizzati, dogmatici, prescritti da applicare in classe, ma piuttosto di produrre, attraverso la ricerca, strumenti concettuali per l’analisi delle pratiche e delle situazioni didattiche (ALTETl, 2003).
Oltre a ciò, in relazione all’emergenza Covid-19, gli studi sulla “Emergency Remote Education” (HODGES et al, 2020; WILLIAMSON; EYNON; POTTER, 2020) hanno evidenziato come il rapidissimo passaggio dalla formazione in presenza alla DaD abbia pesantemente influenzato la tipologia di interventi formativi realizzati in questa fase. In pratica, nella transizione al digitale è completamente mancata la (ri)progettazione didattica, che avrebbe permesso di rimodulare i percorsi formativi tenendo conto dei mutati vincoli spazio-temporali e delle potenzialità degli ambienti tecnologici utilizzati. La ricerca in questa area, nota con l’appellativo “learning design” (CONOLE, 2013; LAURILLARD, 2012), sottolinea l’importanza di favorire lo sviluppo delle capacità dei docenti di progettare interventi formativi pedagogicamente solidi, basati cioè su dispositivi progettuali e metodologie didattiche adeguate attraverso processi formativi “sostenibili”, nell’ottica delle comunità professionali e della condivisione di buone pratiche.
La Scuola Primaria alle prese con la DaD: una ricerca
La mancanza di attrezzature tecnologiche affligge in generale la scuola italiana, come abbiamo anticipato. Essa tuttavia è particolarmente accentuata nel contesto della scuola primaria, dove si registra una situazione anche peggiore rispetto agli altri ordini scolastici (OECD, 2019). In questa situazione, considerando altresì gli scarsi risultati ottenuti negli ultimi anni nella formazione dei docenti, attraverso questo studio abbiamo inteso esplorare la risposta dei docenti di scuola primaria alle molteplici sfide sollevate dalla DaD nella fase pandemica. In particolare, ci siamo posti le seguenti domande di ricerca:
In quale misura gli insegnanti erano pronti, sia da un punto di vista tecnico che cognitivo, ad affrontare da casa una didattica mediata da computer?
In che modo gli insegnanti hanno utilizzato gli strumenti digitali per garantire la continuità didattica nel corso della pandemia e facilitare l’apprendimento a distanza?
Quali sono state le metodologie didattiche adottate dagli insegnanti in questo periodo di didattica a distanza? Fino a che punto, la didattica è stata riprogettata secondo modalità innovative per essere erogata online?
Che cosa si è appreso da questa esperienza? Cambierà qualcosa nella didattica futura dei docenti?
A questo scopo è stato elaborato un questionario composto da 62 domande a scelta multipla, divise in cinque sezioni:
dati socio-demografici e formazione
progettazione didattica
metodologie didattiche adottate
modalità di valutazione
visioni degli insegnanti
Sia la ricerca che lo strumento sviluppato hanno osservato le procedure etiche, informando i partecipanti sugli obiettivi della ricerca e invitandoli volontariamente a rispondere al questionario. Sono stati inoltre informati che i loro dati personali e professionali sarebbero stati riservati e che la loro partecipazione non avrebbe causato alcun tipo di imbarazzo o rischio. Il questionario è stato implementato tramite Google Form e diffuso tra i docenti grazie ai social network.
Hanno partecipato all’indagine 820 insegnanti di scuola primaria provenienti da tutte le regioni italiane. Nella maggior parte dei casi, si tratta di insegnanti curriculari titolari (58%) in servizio da più di 6 anni (60,6%) e di età inferiore ai 45 anni (61,1%).
I dati sono stai elaborati quantitativamente attraverso software di calcolo.
In quale misura gli insegnanti erano pronti, sia da un punto di vista tecnico che cognitivo, ad affrontare da casa una didattica mediata da computer?
Tutti i docenti che hanno risposto al questionario, vale a dire il 100%, hanno dichiarato di aver utilizzato le tecnologie digitali per la didattica a distanza, nel periodo dell’emergenza Covid-19 (tabella 1). Eppure, la stragrande maggioranza di essi, l’89%, non aveva mai praticato la didattica a distanza in precedenza. Tra i docenti che hanno dichiarato di aver già fatto ricorso in precedenza alla didattica a distanza (11%), si registrano le seguenti motivazioni: il 16% ne ha fatto uso per raggiungere alunni assenti da scuola per lunghi periodi; il 53% per fornire materiale didattico di supporto; e il 30%, infine, per fornire strumenti compensativi agli studenti con bisogni educativi speciali. Circa la metà degli insegnanti (56%) ha preso parte in passato (prima dell’emergenza sanitaria) a corsi di formazione sulla didattica a distanza o a corsi sulle nuove tecnologie, mentre il 69% ha partecipato a questa tipologia di corsi durante l’emergenza. Questo suggerisce che un 13% di insegnanti si sia accostato a queste tematiche solo in questo momento.
Domanda | SI | NO |
---|---|---|
Prima dell'emergenza sanitaria Coronavirus, aveva mai partecipato a corsi di formazione sulla didattica a distanza o sulle nuove tecnologie? | 44% | 56% |
Durante l'emergenza sanitaria, ha partecipato ai corsi di formazione e webinar sulla didattica a distanza che sono stati resi disponibili online dalle società scientifiche? | 69% | 31% |
Nel periodo di emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del Covid-19 sta utilizzando le tecnologie digitali per praticare una didattica a distanza? | 100% | 0% |
Aveva mai praticato la didattica a distanza prima dell'emergenza sanitaria Coronavirus? | 11% | 89% |
Fonte: elaborazione propria.
Alla domanda “Che cosa ha contribuito prevalentemente alla sua formazione relativa alla didattica a distanza?”, il 57% ha risposto di aver imparato ad utilizzare le piattaforme per la didattica a distanza in autonomia, mentre il17% ha seguito dei webinar e il 11% ha frequentato corsi di formazione. Anche se in percentuali modeste, alcuni insegnanti (6%) hanno trovato negli ambienti informati dei social network risorse e indicazioni per formarsi sulla DaD.
In che modo gli insegnanti hanno utilizzato gli strumenti digitali per garantire la continuità didattica nel corso della pandemia e facilitare l’apprendimento a distanza?
Per lo svolgimento delle attività didattiche, la maggioranza dei docenti (62,5%) si è avvalsa di modalità erogative prevalentemente asincrone (materiali caricati su piattaforme, invio di schede o compiti agli studenti), il restante 37,5% ha impiegato modalità sincrone come le lezioni erogate in diretta. Nella scelta delle modalità di intervento e degli strumenti da adottare, il 62% degli insegnanti ha ricevuto indicazioni precise dal proprio dirigente scolastico.
In fase di progettazione iniziale, l’85% delle scuole di appartenenza dei docenti rispondenti ha svolto un'indagine per verificare la disponibilità di strumenti elettronici da parte delle famiglie degli alunni
Alla domanda “Quanti alunni hanno accesso senza difficoltà alle lezioni e al materiale didattico online?”, i docenti hanno risposto che nel 65% dei casi quasi tutti gli alunni hanno avuto accesso alle lezioni e al materiale senza difficoltà, mentre nell’9% dei casi la metà dei bambini ha avuto accesso senza difficoltà, e nel 4% dei casi meno della metà dei bambini ha potuto accedere alla DaD senza difficoltà. Solo nel 22% dei casi tutti gli alunni hanno avuto accesso senza difficoltà. Ciò che sembra aver impedito il corretto accesso tecnologico da parte degli studenti (tabella 2) è stata la mancanza dei dispositivi necessari, o perché utilizzati da altri familiari (55%) o perché non posseduti (51%). Altri fattori che hanno inciso sulla non partecipazione degli alunni alle attività didattiche on line sono quelli legati ai genitori in alcuni casi sprovvisti delle necessarie competenze tecniche (44%) o linguistiche (33%) per chi vive da poco in Italia e non conosce ancora bene la lingua.
Motivazione | Percentuale |
---|---|
Altri membri della famiglia avevano necessità di utilizzare il dispositivo | 55% |
Aspetti economici e il conseguente non possesso dei dispositivi necessari per la connessione | 51% |
Competenze tecniche inadeguate da parte dei genitori nel supportare il figlio | 44% |
Incomprensioni dovute allo svantaggio linguistico e culturale | 33% |
Fonte: elaborazione propria.
Quali sono state le metodologie didattiche adottate dagli insegnanti in questo periodo di didattica a distanza? Fino a che punto, la didattica è stata riprogettata secondo modalità innovative per essere erogata online?
Come si evince dalla Tabella 3, i docenti hanno utilizzato una discreta varietà di strumenti per l’erogazione della didattica a distanza, spaziando da sistemi di videoconferenza a siti didattici. Tra gli strumenti per l’erogazione delle attività di didattica a distanza che i docenti dichiarano di aver utilizzato ci sono: sistemi di videoconferenza (85%), registro elettronico (64%), registrazioni audio e video caricate in piattaforma (62%), classe virtuale (56%), registrazioni audio e video inviate ai genitori (46%), materiale inviato per email ai genitori (36%), creazione di video (32%) e blog o sito internet creato dall’insegnante.
Strumenti | Percentuale |
---|---|
Sistemi di videoconferenza | 85% |
Registro elettronico | 64% |
Registrazioni audio e video caricate in piattaforma | 62% |
Classe virtuale | 56% |
Registrazioni audio e video inviate ai genitori | 46% |
Materiale inviato per email ai genitori | 36% |
Creazione di video | 32% |
Blog o sito internet | 11% |
Fonte: elaborazione propria.
Alla domanda “Quanto si è sentita/o preparata/o nella gestione delle lezioni in via telematica e all'uso della tecnologia nella didattica?” in una scala da 1 (per niente preparato) a 5 (molto preparato), la maggioranza (78%) si colloca in maniera equamente distribuita tra i punteggi 3 e 4 (grafico 1).
In merito alle metodologie adottate nella didattica a distanza (grafico 2), i docenti che hanno risposto al questionario dichiarano nella maggior parte dei casi di aver utilizzato: schede didattiche da completare (87%) e compiti di realtà da svolgere a casa (56%). Gran parte di loro dichiara inoltre di non aver utilizzato attività di gruppo (70%), di cooperative learning (71%) o peer tutoring (72%).
La gestione del gruppo classe durante le lezioni online è avvenuta dividendo la classe in piccoli gruppi, ripetendo la lezione in live streaming più volte, in orari diversi (41%), facendo lezione in diretta in un orario prestabilito e caricando la lezione successivamente online in modo che ciascun alunno potesse rivederla (19%), registrando la lezione da caricare in piattaforma (16%). Significativo è il numero di chi dichiara di non aver realizzato lezioni (5%) o di aver fatto altro rispetto la lezione (6%).
In merito all’assegnazione dei compiti da svolgere, il 29% dei docenti li ha assegnati inviandoli tramite e-mail o Whatsapp ai genitori, il 16% scrivendoli nella chat, in modo che i bambini potessero scriverli sul diario o sul quaderno, il 5% dettandoli ai bambini al termine della lezione, il 3% scrivendoli sul registro elettronico. Il 4% degli insegnanti non ha assegnato compiti, mentre il 26% dichiara di aver utilizzato altri mezzi, al di fuori delle piattaforme online.
L’assegnazione dei compiti è stata tuttavia rimodulata nella maggioranza dei casi (89,5%) con una differenziazione tra chi ha assegnato ai bambini molte attività da svolgere per non lasciare che spendessero il loro tempo in attività improduttive (10%) e chi ha assegnato i compiti focalizzandosi solo sui concetti più importanti (79%). Il 10,5% ha assegnato i compiti secondo le stesse modalità che utilizza nella didattica in aula (grafico 3).
Una delle attività in cui i docenti dichiarano di aver riscontrato particolare difficoltà è la valutazione degli alunni (75%), per la quale l’84% degli insegnanti ha adottato criteri differenti rispetto a quelle utilizzate nella didattica in presenza (grafico 4).
Per quanto riguarda le modalità valutative, i docenti hanno fatto ricorso: all’osservazione degli atteggiamenti degli studenti (71%); alle interrogazioni svolte online (40%); ai questionari e alle schede da compilare (37%); ai lavori in piccolo gruppo (17%).
Che cosa si è appreso da questa esperienza? Cambierà qualcosa nella didattica futura dei docenti?
In generale i docenti che hanno partecipato all’indagine ritengono che la lezione a distanza sia meno coinvolgente (88%) e meno efficace (66%) di quella in presenza, e che la distanza compromette la relazione con gli alunni (88%).
Ciononostante, se prima dell’emergenza sanitaria la maggior parte dei docenti vedeva negli strumenti tecnologici solo un possibile ausilio alla didattica (85%), ora grazie all'esperienza maturata nel periodo del Covid-19 un’ampia fetta della popolazione docente (77%) dichiara che ne farà uso (grafico 5) per potenziare la comunicazione nella didattica, rendendo disponibili agli alunni i materiali (82%), caricando online gli approfondimenti delle lezioni (51%), registrando audiolezioni o videolezioni (27%) (tabella 4).
Lesson learnt e future direzioni di ricerca
La chiusura delle scuole, sancita dal DPCM del 4 marzo 2020 e il conseguente invito ai dirigenti scolastici ad attivare attività in modalità di didattica a distanza, ha mostrato come il processo di insegnamento e apprendimento non si concretizza esclusivamente nel rapporto insegnante/allievo, ma si delinea come processo circolare che non solo si allarga al gruppo classe, ai colleghi, alla scuola, ma investe tutta la comunità educante a partire dalle famiglie. In questo contesto è stato possibile comprendere più chiaramente che il successo o l’insuccesso della didattica a distanza dipende dall’intreccio di tre fattori: (1) competenze didattiche e tecnologiche dei docenti, (2) disponibilità di tecnologie ed ambienti e composizione familiare, (3) il ruolo della valutazione nei processi di insegnamento e apprendimento.
(1) Come abbiamo visto, le ricerche realizzate negli ultimi anni mostrano come il principale rischio di insuccesso nell’impiego della tecnologia a supporto delle attività didattiche è legato alla formazione degli insegnanti, considerata inadeguata e insufficiente nella maggior parte dei casi (CENSIS, 2020). La sfida a cui la scuola è chiamata a rispondere sta proprio nel cercare di scardinare le pratiche tradizionali, per consentire ai docenti di accompagnare tutti gli studenti verso il successo formativo. I dati che abbiamo raccolto evidenziano un importante bisogno formativo da parte degli insegnanti nei riguardi delle tecnologie didattiche (OECD, 2019): i docenti si sono sentiti impreparati e hanno attinto a materiali ed esperienze più o meno formali per colmare questo vuoto. Le carenze non riguardano la tecnologia tout court, ma la capacità complessiva di riprogettare la didattica in un mutato setting formativo che colloca l’interazione tra docente e alunni e tra alunni all’interno di situazioni caratterizzate da diversi vincoli spazio-temporali e diverse modalità comunicative (CONOLE, 2013; LAURILLARD, 2012). Un rafforzamento della capacità progettuale si rende necessario (HODGES et al, 2020; WILLIAMSON, EYNON, & POTTER, 2020) anche a fronte della tendenza emersa nel corso della pandemia a ricorrere a formati didattici prevalentemente erogativi: gli insegnanti che hanno risposto al questionario hanno fatto principalmente ricorso a lezioni registrate, videolezioni sincrone monodirezionali, compiti inviati tramite piattaforme, trascurando le didattiche collaborative che richiedono capacità metodologiche di pianificazione e organizzazione del lavoro. Eppure, in un momento di distanziamento fisico e sociale dei bambini, l’adozione di strategie didattiche di taglio cooperativo avrebbe potuto non solo favorire l’acquisizione dei contenuti ma anche promuovere le interazioni sociali tra alcuni, riducendo o contenendo il senso di isolamento imposto dall’emergenza sanitaria. Le didattiche collaborative possono far leva sulla progettazione, sulla soluzione di casi e problemi, sulla ricerca di informazioni, sulla costruzione condivisa di prodotti, ma vanno preparate e sostenute attraverso una pianificazione circostanziata. Il mondo delle piattaforme digitali è ricco di strumenti dialogici, dai web forum ai social network, e di supporto alla produzione condivisa, dai wiki alla Google apps: da questo punto di vista, la formazione dei docenti dovrebbe essere orientata ad una maggiore comprensione delle affordance della rete per una progettazione tecnologico-didattica consapevole dei punti di forza degli ambienti elettronici. Al tempo stesso, nella formazione dei docenti andrebbero contemplate le criticità del setting digitale (FALCINELLI e GAGGIOLI, 2016), tra cui - per citarne una - il fatto che essa presuppone studenti autonomi capaci di gestire e autoregolare il proprio processo di apprendimento. Durante il lockdown, gli studenti hanno dovuto organizzare da soli gran parte delle proprie attività di studio, ma non sempre hanno saputo farlo con pesanti ricadute sulle famiglie, quando queste erano presenti, oppure sugli apprendimenti in senso negativo. In un contesto di formazione a distanza o misto, è fondamentale promuovere le capacità autoregolative dei propri studenti attraverso l’uso di strumenti metodologici che li supportino nella pianificazione e organizzazione del lavoro come pure nell’automonitoraggio ed eventuale modifica dei comportamenti, se inadeguati rispetto allo scopo.
(2) Seguire le lezioni da casa implica di avere a disposizione spazi sufficienti per tutti i componenti della famiglia e una strumentazione informatica tale da consentire agli studenti di seguire le lezioni a distanza. Questa condizione ha escluso una quota importante della popolazione. Alcuni dati (CIDI-TORINO, 2020) mostrano che fino ad un quarto degli allievi della classe non è raggiungibile o lo è con difficoltà. La condizione attuale ha fatto emergere condizioni di povertà educativa finora trascurate. I dati che abbiamo raccolto sono in linea con questa tendenza nella misura in cui solo un terzo degli studenti non ha avuto difficoltà ad accedere all’offerta formativa online. In alcuni casi, anche gli altri membri della famiglia avevano necessità di utilizzare i dispositivi; in altri casi, le famiglie non disponevano dei mezzi economici per auto-dotarsi degli strumenti necessari al fine di consentire ai propri figli di seguire le lezioni, oppure non avevano le competenze tecniche utili per supportarli. Si conferma l’esistenza di un diffuso digital divide, da intendersi sia come mancanza di dotazioni strumentali sia come assenza di capacità tecniche per trarre vantaggi dall’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (RANIERI, 2006; SARTORI, 2006). Il problema è noto in letteratura e ai policy maker sin dalla fine degli anni Novanta, tuttavia non è stato ancora risolto e in questa situazione di emergenza le implicazioni etiche del divario digitale sono emerse con evidenza. L’accesso, per riprendere un termine caro a Rifkin (2001), alle reti elettroniche segna una linea tra chi può beneficiare delle opportunità del digitale e chi non può, tra chi è incluso e chi è escluso dalla società delle reti, dove beni immateriali come i dati, le informazioni e le conoscenze costituiscono la nuova moneta di scambio, il nuovo volano di produzione del valore. In questa prospettiva, l’ampliamento dell’accesso tecnologico e la promozione delle competenze digitali non costituiscono un’opzione possibile, ma un dovere nei riguardi dei soggetti al fine di garantire l’esercizio pieno della cittadinanza. Al tempo stesso, il tema delle povertà educative riporta al centro del dibattito l’importanza di costruire alleanze che coinvolgano non solo la scuola e le famiglie, ma anche le agenzie formative - formali e non formali - distribuite sul territorio nell’ottica del policentrismo formativo o della comunità educante o anche della città educativa. A questo riguardo, si tratta non solo di far conoscere le iniziative formative proposte dalle diverse agenzie, ma di co-progettare sinergicamente un’offerta formativa significativa. Oggi, molte scuole elaborano la propria offerta integrando proposte culturali e sociali del territorio, tuttavia la progettazione educativa non può avvenire indipendentemente dall’ascolto dei bisogni reciproci e ciò richiede definizione di una strategia condivisa, in grado di far nascere, in modo creativo e innovativo, una varietà di proposte collegate tra loro e funzionali al percorso formativo di ciascuno. Solo attraverso un’apertura al territorio la scuola può diventare un’agenzia culturale capace di dialogare con le altre agenzie del territorio, nella prospettiva di un sistema formativo integrato. Le tecnologie possono svolgere un importante ruolo di raccordo e connessione, diventando un luogo virtuale in cui l’offerta formativa delle varie agenzie si incrocia, si interseca, si connette e si scambia, e abilitando quel policentrismo formativo di cui in Italia si parla dagli anni Novanta (GUERRA e FRABBONI, 1991).
(3) Sul piano normativo, gli ultimi - probabilmente anche tardivi - pronunciamenti del ministero sulla valutazione della preparazione degli studenti indicano la strada della valutazione formativa come strumento utile alla chiusura dell’anno scolastico e ad una ri-partenza orientata al recupero e al miglioramento. La valutazione formativa è una strategia didattica che favorisce uno scambio bidirezionale tra docente e allievo in grado di migliorare il processo di insegnamento e apprendimento. Dispositivo fondamentale alla base di questo processo è il feedback, vale a dire quella informazione di ritorno attraverso cui chi viene valutato riceve indicazioni sulle attività svolte, in particolare su ciò che ha sbagliato, sul perché ha sbagliato e su cosa migliorare. Parallelamente, la valutazione formativa orienta chi valuta, fornendo informazioni su come (ri-)modulare la successiva azione didattica. Eppure, i dati che abbiamo raccolto sul fronte della valutazione mostrano un personale docente piuttosto disorientato rispetto al ripensamento del processo valutativo. Pur riscontrando ampia convergenza sulla necessità di dover ricalibrare il senso della valutazione in questo mutato contesto, le modalità attraverso cui attuare questo cambiamento non sono chiare. Si è fatto ampio ricorso all’osservazione, ma anche a prove valutative più tradizionali come l’interrogazione online. Ciò che sembra però ancora piuttosto distante dalla visione della maggioranza è l’idea di una valutazione integrata nel processo di insegnamento-apprendimento, e il rischio che la sollecitazione ministeriale ad avvalersi del giudizio descrittivo si traduca nella semplice conversione verbale di un voto (per es. 6 = sufficiente) è alto. Come osservano Batini e colleghi (2020, pag.4), “Il rischio è però che il giudizio descrittivo citato nella norma venga interpretato in modo sintetico e non analitico, portando alla costruzione di sistemi di espressione della valutazione basati su aggettivi quali Scarso, Sufficiente, Distinto, Buono, Ottimo, che nulla hanno a che vedere con un giudizio realmente descrittivo della preparazione dell’allievo e rappresentano solo una discutibile ricodifica del voto numerico. In altre parole, senza aver chiaro cos’è davvero un giudizio descrittivo, si rischia che la logica riduttiva del “voto”, uscita dalla porta, rientri dalla finestra”. Gli autori, in linea anche con alcune direttive ministeriali passate, auspicano il ricorso ad un giudizio descrittivo sintetico per livelli di competenza e un giudizio descrittivo analitico, in grado di fornire informazioni utili sulle prestazioni dell’allievo in un’ottica pienamente formativa: “Le due espressioni della valutazione dovrebbero essere presentate insieme, in modo da dare a studenti e famiglie la chiarezza del giudizio sintetico insita nei quattro livelli certificativi delle competenze e la potenza informativa del giudizio analitico per la riflessione su punti di forza e punti di debolezza della preparazione e la promozione di nuovi apprendimenti. Le due espressioni, utilizzate insieme, darebbero alla valutazione scolastica un potenziale proattivo mai sperimentato in precedenza” (BATINI et al., 2020, p. 4).
Conclusioni
La scuola italiana, e non solo, ha vissuto una delle pagine più dure della propria storia a partire dalla nascita della Repubblica alla fine degli anni ‘40. Mai prima dell’anno scolastico 2019-20 era stata chiusa improvvisamente per tre mesi concludendo l’anno scolastico senza i consueti rituali di saluto. Un’emergenza globale l’ha colpita, imponendo l’adozione di nuove modalità didattiche, fortemente improntate all’uso delle tecnologie, e una riorganizzazione complessiva dell’istituzionale scolastica. Alcuni ancora si rammaricano per il lungo periodo di “non scuola” perché la scuola vera è l’aula e la DaD è stata un fallimento! Altri spostano l’accento sul rientro, reclamando un ritorno quanto prima alla normalità: tutti nelle aule fisiche ad insegnare e apprendere secondo le pratiche di sempre. Altri ancora hanno sperato che questa tragica situazione potesse trasformarsi in una opportunità di cambiamento: la normalità era il problema, vale a dire una didattica sostanzialmente frontale, più orientata alla trasmissione dei contenuti che alla facilitazione dei processi di apprendimento. La DaD avrebbe semplicemente messo in luce i limiti della situazione corrente e aperto la strada per un ripensamento del fare scuola incentrato sugli allievi e il loro coinvolgimento. A valle di questa varietà di aspirazioni contraddittorie, lo studio che abbiamo qui riportato ci ha condotto a rilevare come la scuola fosse sostanzialmente impreparata a riprogettare la didattica in chiave digitale. Piaccia o non piaccia, viviamo nell’era dell’onlife (FLORIDI, 2015) ed è sorprendete constatare come la scuola sia distante dalle nostre vite quotidiane. Le pratiche mediali ibride di cui facciamo costantemente esperienza appaiono in larga parte estranee al setting scolastico e, per quanto nessuno voglia cedere alle sirene dell’innovazione facile e sempre “buona”, certo disfattismo digitale risulta alla fine controproducente. Oggi, gli strumenti non mancano e pur credendo nell’importanza delle relazioni educative in presenza, specie per la scuola di base, non ci si può accontentare dell’aula fisica concepita come luogo di trasmissione dei saperi solo per incapacità di ripensare pratiche e saperi, solo per mancanza di competenza. Da questo punto di vista, anche noi siamo convinti che non sia il caso di perdere questa occasione.