SciELO - Scientific Electronic Library Online

 
vol.20 número58NATALIDADE E EDUCAÇÃOARENDT Y LA CRISIS DE LA EDUCACIÓN CÓMO CRISIS DEL TIEMPO HISTÓRICO índice de autoresíndice de materiabúsqueda de artículos
Home Pagelista alfabética de revistas  

Servicios Personalizados

Revista

Articulo

Compartir


Revista Teias

versión impresa ISSN 1518-5370versión On-line ISSN 1982-0305

Revista Teias vol.20 no.58 Rio de Janeiro jul./sep 2019  Epub 26-Dic-2019

https://doi.org/10.12957/teias.2018.44389 

Hannah Arendt: pensar sem corrimãos

CON O SENZA “CORRIMANO?

1Augusto Ponzio, ordinario di Filosofia e Teoria dei Linguaggi e Professore emerito, ha insegnato Filosofia del Linguaggio e Linguistica generale all’Università di Bari "Aldo Moro". Studia e pubblica, tra l'altro, Filosofia del linguaggio, Semiotica e Traduzione, dedicandosi alla filosofia di Emmanuel Levinas, Mikhail Bakhtin, Roland Barthes, tra altri.

2 Marisol Barenco è professoressa associata presso alla Faculdade de Educação della Universidade Federal Fluminense. Coordina il gruppo AFF UFF, dove ricerca e studia collettivamente la filosofia del linguaggio del Circolo di Bachtin.


RIASSUNTO:

Dialogo che si è svolto nel marzo 2019, presso l'Università di Bari "Aldo Moro", in occasione di un incontro tra i professori.

Parole chiavi: Responsabilità; Emmanuel Lévinas; Educazione; Corrimano

RESUMO

Diálogo acontecido em março de 2019, na Universidade de Bari "Aldo Moro", na ocasião de um encontro entre os professores.

Palavras-chave: Responsabilidade; Emmanuel Lévinas; Educação; Corrimão

RESUMEN

Diálogo celebrado en marzo de 2019, en la Universidad de Bari "Aldo Moro", con motivo de un encuentro entre los profesores.

Palabras clave: Responsabilidad; Emmanuel Lévinas; Educacion Barandilla

ABSTRACT

Dialogue that happened in March 2019, at the University of Bari "Aldo Moro", on the occasion of a meeting between the teachers.

Key-words: Answerbility; Emmanuel Lévinas; Education; Handrail

Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e 'l salir per l'altrui scale (Dante, Paradiso, canto XVII, vv. 58-60.

Marisol Barenco: La prima domanda che faccio, è sulla possibilità di esistenza di un approccio educazionale - nella scuola e nella vita - libero di catene chiuse e conduttori, cioè, una sorta de "Educazione senza corrimano". A tuo avviso, e tenendo conto dei tuoi studi e della tua ricerca, la libertà di qualsiasi guida è possibile e anche desiderabile? Ancora di più, quali conseguenze questa libertà di linee guida porterebbe allo sviluppo del pensiero contemporaneo?

Augusto Ponzio: Circa la tua domanda la prima risposta è che, come dimostra il caso del "Ragazzo servaggio dell'Aveyron", nessun individuo umano parla e neppure cammina a due zampe, postura eretta, e non a quattro zampe, senza che ci sia accanto a lui qualcuno che gli insegni ciò. Parlare e camminare usando soltanto le gambe è un fatto sociale. L'uomo è un animale sociale. Non si tratta di "guida", come nel caso di una gita turistica, si tratta di contesto, di ambiente, di entourage, di Umwelt sociale.

Marisol Barenco: Ancora provando de capire: pensare senza un corrimano è la risposta di Hannah Arendt alla barbarie del genocidio e un clamore al pensiero libero e disobbediente, che assume la responsabilità del mondo in una prospettiva più ampia, anche se, nel momento attuale, le richieste sono anti-umanizzanti. È per lei un principio di "pensare per se stessi". Scrive Arendt: "La mia convinzione è che il pensiero nasce da eventi dell'esperienza vissuta e che deve continuare ad essere collegato ad essi come guide che ci guidano". Come consideri questa affermazione in rapporto alla tua riflessione filosofica?

Augusto Ponzio: Ho scritto un libro, recentemente pubblicato, che si in intitola ConEmmanuel Levinas (Milano, Mimesis, 2019), e non "su Emmanuel Levinas", perché Levinas è statoed è un mio "corrimano", anche nell'incontro con altri testi e altri autori, come Michail Bachtin, Charles Sanders Peirce , ecc.

Quando scrive quello che scrive, Hannah Arendt non vorrebbe che assumessimo il suo testo come nostro "corrimano"? Si può fare a meno di qualche "corrimano" altrui, visto che qualcuno c'è che vuol esserci d'aiuto, mentre ci inoltriamo per scale ripide, incomplete, che si ergono nel vuoto?

La "disobbedienza": Pier Paolo Pasolini dice che, se si chiede ai ragazzi di oggi se si considerano obbedienti o disobbedienti, la risposta di ognuno è "io sono disobbediente". La disobbedienza è diventata una moda, un luogo comune, una posa. Ci vuole l'obbedienza ad un progetto, a un percorso, con qualcuno, insieme. A "disobbedienza" preferisco "dissidenza".

Hannah Arendt dice che questa forma sociale, che perdura ancora (io lo chiamo il "capitalismo cieco" perché procede come un cieco in un vicolo cieco, prepara i giovani ad essere "lavoristi senza lavoro". Che fare? Abbiamo bisogno di indicazioni, di jalons, quali la stessa Hanna Arendt, Levinas, Bachtin, Marx, Peirce, Vailati, Rossi-Landi, Morris, Sebeok, Barthes....

Uno slogan del Sessantotto era "Né padri, né padri né maestri. Bellissimo il 68! Come una luccicante bolla di sapone.

Marisol Barenco: Io, invece, ammiro miei maestri più che mai. Leggendo Hannah Arendt per capire l'estensione della sua proposta, sembra che, attraverso l'orrore del nazismo e la perplessità davanti Eichmann e la sua posizione obbediente, lei abbia voluto creare questa categoria di "senza corrimano", in un appello alla libertà di pensiero. Se c'è un corrimano da seguire, per lei, questo è quello della responsabilità per il mondo. Vorrei che esponessi la tua visione della relazione tra libertà e responsabilità.

Augusto Ponzio: Di fronte a quanto è accaduto nel periodo del nazismo, le reazioni sono state e continuano ad essere diverse. Quella di Hannah Arentdt ha le sue motivazioni. C'è il suo libro La normalità del male e ci sono le letture di questo libro: "la responsabilità per il mondo": non so se è questo che Hanna Arendt propone. È comunque una possibile interpretazione. Una responsabilità così generica può di nuovo diventare de-responsabilizzazione: la responsabilità per il mondo, per l’essere. Come in Heidegger?

La responsabilità è per l'altro, non per un altro generico, ma per questo altro qui, e per questo altro qui ancora, e ancora. È questa la "reazione" di Levinas agli orrori nel nazismo, maturata nei cinque anni di prigionia nello Stalag 1492, nella regione di Hannover, Stalag che ricorda nel numero l'anno della persecuzioni degli ebrei in Spagna.

La responsabilità non è una mia personale scelta, una mia presa di posizione, una mia filosofia, una mia concessione. È l'altro, ogni volta questo altro qui, a rendermi responsabile; e la legge nasce nel rapporto di originario coinvolgimento, di non-indifferenza per lui, non dalla situazione di Homo homini lupus, che non è originaria, ma è il risultato del divenire storico in cui i diritti umani sono i diritti dell'identità contrapposti ai diritti altrui e difesi con porte blindate e con muri, e, quando necessario, con "guerre umanitarie". Bisogna rileggere Levinas, immer wieder, sempre di nuovo, oggi soprattutto, e con Levinas (è il titolo del mio libro citato), Michail Bachtin: i miei due principali "corrimano".

La responsabilità non è una scelta personale, non è una presa di posizione e la "responsabilità per il mondo" è talmente generica che non significa niente. Ci vuole l'altro che mi pone da io al nominativo a io all'accusativo, che mi chiede, che mi interroga, che mi accusa, che mi contesta, che vuole sapere se gli voglio bene, se posso aiutarlo, se voglio stare con lui, se posso condividere con lui la mia vita, se lo amo. Ed è in queste interrogazioni che si decide la libertà.

L'io non nasce libero: è l'altro che interrogandolo, chiedendogli, lo mette nella condizione di rispondere "liberamente" in un modo o nell'altro. La mia libertà viene dall'altro, come pure la mia responsabilità: sta a me poi trovare tutte le scuse, tutte le motivazioni, tutte le giustificazioni, per rispondergli trovando degli alibi, alibi che la legge, generalmente legge a vantaggio dell'identità e a scapito dell'alterità, gli offre, fino a poter dire "io ho fatto il mio dovere", "ho ubbidito alla legge", "ho fatto rispettare la legge", come Hannah Arendt ebbe occasione di sentire nel famoso processo ad Adolf Eichmann.

Ieri al cinema ho visto il film Transatlantico Rex di Maurizio Sciarra, il primo transatlantico costruito in Italia, nell'epoca del fascismo, nel 1932, accolto, festeggiato e premiato negli stati Uniti, e affondato nel porto di Genova, durante la seconda guerra mondiale, dagli inglesi nel 1944. È interessante che durante quando nel 1938 furono promulgatele leggi razziali in Italia contro gli ebrei, si fece eccezioni per gli ebrei che potevano permettersi il lusso di viaggiare Transatlantico Rex. Anche la legge dunque non si assume una responsabilità generica, non è legge eguale per tutti, ma risponde caso per caso nei confronti di altri sulla base della convenienza, dell'interesse del momento riguardo a una determinata identità da difendere, da tutelare, da proteggere dalla paura dell'altro, paura che le leggi stesse creano.

Oggi vige la legge che permette di uccidere per legittima difesa, promulgata per il bene del popolo, dei cittadini, dopo aver fomentato la paura dell'altro, ladro, assassino, extracomunitario, drogato, anche per avere consensi, per esser votati al governo.

La generica "responsabilità per il mondo" può fare ben poco di fronte a tutto questa. Ci vuole la responsabilità per l'altro senza alibi da parte di ciascuno, ci vuole la sostituzione della paura dell'altro con la paura per l'altro.

Marisol Barenco: Nel tuo libro recentemente pubblicato, che ora è una mia lettura "corrimano", intitolato Con Emmanuel Levinas, si può leggere alla pagina 17:

L'identità è una astrazione reale, una delle principali astrazioni costitutive della realtà. Essa, come ogni altra astrazione dello stesso genere, ha un valore ontologico. L'identità è un essenziale aspetto dell'essere. E la violenza, in tutte le sue possibili forme - guerra inclusa - è una delle sue conseguenze.

Nelle riflessioni sulle istituzioni e sul loro telos, vediamo come l'"Impero dei sensi dell'io" prevale come etica, come logica e come episteme. Riflettendo sull'identità considerata da Lévinas, percepiamo il pericolo della deriva che l'umanità segue. In Brasile, come in Italia, la prospettiva politica egemonizzata ripete elementi fascisti che sembrano essere risorti, come l'ignoranza con cui si ripetono nelle piazze pubbliche, da un popolo che sembra senza pensiero critico. Sembra che siamo in una società di opinione rapida e superficiale. Quali corrimano hanno questi pensieri piccoli, fascisti ed egoici, senza storicità e senso senza senso? L'io e l'identità possono diventare un corrimano?

Augusto Ponzio: L'identità è un riparo, una sicurezza, una giustificazione, nei confronti dell'altro.

Non userei la metafora del corrimano per l'identità.

L'identita è un insieme, e come tale un’astrazione, ma una astrazione reale, che fa parte della "realtà", del mondo così com'è, dell'essere, un'astrazione ontologica, e di conseguenza della ideologica dominante.

L'identità è un luogo comune con cui si costruiscono sillogismi che dimostrano le ragioni dell'io nei confronti dell'altro. Appellandosi all'identità è possibile "avere ragione dell'altro" e, se protesta o dà fastidio "dargliele di santa ragione", anche, all'occasione, intervenendo militarmente con guerre "giuste e necessarie" e anche con "guerre preventive".

Dove c'è un'identità ce ne deve essere necessariamente un'altra che il suo opposto: bianchi/neri, ariani/ebrei, comunitari/extracomunitari, amici ,"i nostri"/nemici, noi / loro, ecc.

Il rapporto io-altro fuori identità, pone ciascun io in un rapporto irreversibile di responsabilità senza alibi. Bisogna allora trovare degli alibi, delle giustificazioni, delle argomentazioni per stabilire ripari, per erigere muri, per difendersi e per attaccare.

È possibile un modo senza identità? L'identità, ho detto, è un'astrazione, un insieme, un concetto. È possibile un mondo senza astrazioni, senza insiemi, senza concetti? Assolutamente no. E allora?

Ci vogliono astrazioni che non contrappongano le identità, che non favoriscano gli uni rispetto agli altri, che non separino ma che uniscano, che accolgano l’“estraneo” il “diverso”, lo “straniero”, l’“extracomunitario”. Ci vogliono leggi giuste, che nell'eguagliare l'ineguagliabile, e cioè la singolarità di ciascuno, l'unicità di ciascuno, non favoriscano gli uni rispetto agli “altri”, non stabiliscano ineguaglianze e contrapposizioni.

Siamo tutti “umani”. Questa grande astrazione, questo grande concetto, unisce tutti. E tuttavia è sempre possibile, come nella Fattoria degli animali di Orwell, che qualcuno dica che sì, è vero, siamo tutti uguali, ma io sono più uguale degli altri, o noi siamo più uguali degli altri. Anche l' “umano”, malgrado la vastità di questa identità, di questo insieme, di questo concetto, permette di qualificare qualcuno come “inumano”. Noi siamo “più umani” di altri, e quindi possiamo intervenire, quando e necessario, contro di loro con "guerre umanitarie".

Ce la faremo a vivere insieme? E' possibile una giustizia giusta, equa? Sono possibili leggi che garantiscano, difendano, favoriscano, l'altro e non solo l'identico? Sono possibili leggi che rendano l'io responsabile per l'altro senza alibi? Sono possibili diritti umani che siano anche diritti altrui?

Humanitas non deriva dall'astrazione Homo (altrimenti sarebbe Hominitas!) ma da humus, laterra fertile coltivata insieme. Humanitas e humilitas (umiltà) hanno la stessa radice, derivano da humus.

Nessuno può dichiararsi "umile" ("io sono umile") senza che ciò sia al tempo stesso negazione di ciò che sta affermando. Con "Io sono umano" è la stessa cosa. Io sono democratico, io sono giusto, io sono per il bene altrui! Bella pretesa! È l'altro che lo deve dire. E la prova non è che lo dice la "maggioranza". La prova sarebbe che anche le "minoranze" lo riconoscano.

Received: March 30, 2019; Accepted: August 2019

Creative Commons License Este é um artigo publicado em acesso aberto (Open Access) sob a licença Creative Commons Attribution NonCommercial, que permite uso, distribuição e reprodução em qualquer meio, sem restrições desde que sem fins comerciais e que o trabalho original seja corretamente citado.