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Educação e Filosofia

Print version ISSN 0102-6801On-line version ISSN 1982-596X

Educação e Filosofia vol.34 no.72 Uberlândia Sept./Dec 2020  Epub Feb 03, 2022

https://doi.org/10.14393/revedfil.v34n72a2020-59281 

Dossiê A ideia de homem em Descartes

Claude Clerselier lettore del dubbio di René Descartes*

Claude Clerselier leitor da dúvida de René Descartes

Claude Clerselier, reader of the doubt of René Descartes

Claude Clerselier lecteur du doute de René Descartes

**Doutora em Filosofia pela Università del Salento/École Pratique des Hautes Études (Paris). Pesquisadora no Departamento de Humanidades da Universidade do Salento (Lecce - Itália). E-mail: siegridagostini74@gmail.com


Resumo

Claude Clerselier foi amigo, correspondente, tradutor e editor de René Descartes, de quem publicou os três volumes da correspondência (Cartas do senhor Descartes), O homem e O mundo. Sua atividade de editor e tradutor foi sempre animada por um duplo desígnio : divulgar a filosofia de Descartes, construindo e veiculando, entretanto, a imagem mais ortodoxa possível do filósofo. Essa imagem de Cleserlier « vulgarizador » da filosofia de Descartes, que sempre o fez o fiel discípulo que se esforça para não se distanciar do mestre cujos méritos celebra, merece em nossa opinião um aprofundamento. Uma análise atenta do Prefácio a’O homem mostra incontestavelmente que Clerselier não se limita a difundir e defender a filosofia cartesiana, mas também que dela é um intérprete escrupuloso. A passagem desse Prefácio no qual Clerserlier discute certos temas, centrais, da metafísica cartesiana, nos parece, com efeito, sugerir uma abordagem completamente diferente daquela de seu mestre.

Palavras-chave: Descartes; Clerserlier; Correspondência; O homem e O mundo

Abstract

Claude Clerselier was a friend, correspondent, translator, and editor of René Descartes. He published three volumes of correspondence of Descartes (The Correspondence of René Descartes), Treatise of Man, and The World. His activity as editor and translator was always inspired by a dual purpose: disseminate the philosophy of Descartes, though through building and conveying the most orthodox image possible of the philosopher. This image of Clerselier as “popularizer” of Descartes’ philosophy, that always portrayed him as the faithful disciple who strives to never distance himself from the master whose merits he honors, is, in our opinion, worthy of deeper analysis. Close attention to the Preface of the Treatise of Man undeniably shows that Clerselier did not limit himself to disseminating and defending Cartesian philosophy but that he is also its scrupulous interpreter. The passage of this Preface in which Clerselier discusses determined themes central to Cartesian metaphysics effectively appears to suggest a completely different approach to that of his master.

Keywords: Descartes; Clerselier; correspondence; Treatise of Man; The World

Résumé

Claude Clerselier fut ami, correspondant, traducteur et éditeur de René Descartes, dont il publia les trois volumes de la correspondance (Lettres de Monsieur Descartes), l’Homme et le Monde. Son activité d’éditeur et traducteur fut toujours animée d’un double dessein : divulguer la philosophie de Descartes tout en construisant et véhiculant, du philosophe, l’image la plus orthodoxe possible. Cette image de Clerselier ‘vulgarisateur’ de la philosophie de Descartes, qui a toujours fait de Clerselier le fidèle disciple qui se garde de s’éloigner de la doctrine du maître dont il célèbre les mérites, mérite à notre avis d’un approfondissement. Une analyse attentive de la Préface à l’Homme montre incontestablement que Clerselier ne se limite pas à diffuser et à défendre la philosophie cartésienne mais qu’il en est aussi un interprète scrupuleux. Le passage de cette Préface dans lequel Clerselier discute certains thèmes, centraux, de la métaphysique cartésienne, nous semble en effet suggérer une approche complètement différente de celle de son maître.

Mots-clé: Descartes; Clerserlier; Correspondance; L'homme et Le Monde

Premessa

Nel 1664 a Parigi presso l’editore Charles Angot Claude Clerselier (1614-1684), avvocato al Parlamento di Parigi, amico, corrispondente e primo editore di René Descartes, dà alle stampe L’Homme1 facendolo precedere da una lunga Préface scritta di suo pugno e facendolo seguire da una serie di altri testi: un Traité de la Formation du foetus - che, come noto - altro non è che la Description du corps humain, una lettera dedicatoria a Jean-Baptiste Colbert (1619-1683), le Remarques di Louis de La Forge (1632-1666) all’Homme e, infine, la traduzione - realizzata da suo figlio François - della Præfatio ad lectorem di Florent Schuyl (1619-1669) anteposta all’edizione latina del 16622.

Nella prima parte della Préface3, Clerselier ricostruisce la storia redazionale dell’edizione, lamentando le carenze delle edizioni che l’hanno preceduta - quella, appunto, di Schuyl del 1662 e quella, di pochissimi mesi precedente la sua, sempre del 16644 - carenze riconducibili a due errori fondamentali: 1) l’aver pubblicato il testo dell’Homme (per quanto riguarda l’edizione del 1662) a partire da una copia difettosa, imperfetta rispetto all’originale che era invece in suo possesso; 2) il non aver pubblicato i due trattati dell’Homme e de Le Monde unitamente (per quanto riguarda l’edizione del 16645), non avendo compreso che l’Homme altro non era se non il capitolo XVIII dell’incompiuto Monde, come attestato proprio dal testo dell’Homme in possesso di Clerselier che cominciava appunto con l’indicazione “Chapitre XVIII”, fatto questo che indicava in maniera incontrovertibile la dipendenza fra i due testi.

Solo nel 1677, quindi, Clerselier porta a termine il suo progetto di pubblicare i due trattati unitamente6 - progetto che, in verità, già aveva in mente per la sua edizione del 1664 e che, purtroppo, non riuscì a realizzare a motivo degli accordi, ormai stabiliti, tra gli editori e i librai - invertendone tuttavia l’ordine logico, quello da lui definito e già annunciato nella Préface all’edizione del 1664 l’ordine naturale: nell’edizione del 1677, infatti, l’Homme viene seguito dalla Description du corps humain e, poi, da Le Monde.

Se, dunque, per quanto attiene alla disposizione interna dei testi, le edizioni del 1664 e del 1677 si presentano al lettore come due edizioni differenti, lo stesso non può dirsi per quel che attiene i testi veri e propri dal momento che presentano tutti un testo sostanzialmente invariato, ivi inclusa - fatte salve pochissime sostituzioni di termini delle quali non occorre in questa sede tener conto - la Préface di Clerselier.

Questa Préface assolve a più funzioni: prima di tutto, essa presenta un testo inedito di Descartes nella misura in cui emenda quel che era stato fatto nelle edizioni precedenti, in particolare in quella di Schuyl; poi, essa presenta il pensiero di Descartes nel suo insieme; infine, essa dirige, sulla base di questa presentazione, l’interpretazione dei lettori al fine di smussare le critiche nei confronti del filosofo francese ed evitare quelle interpretazioni materialiste di un testo che, certamente, si prestava a favorirle.

Non è pertanto inutile sottolineare che siamo di fronte ad un testo di grande importanza e questo per almeno tre ragioni.

In primo luogo perché nella prima parte in cui la Préface si articola, essa ricostruisce, come accennato in precedenza, il corretto piano editoriale delle due opere (Monde-Homme) ripercorrendo la storia delle edizioni che hanno preceduto l’edizione, completa, del 1677; in secondo luogo - e questo apre uno scenario che meriterebbe un ulteriore approfondimento in un’ altra sede - perché essa esercitò, come ebbe modo già di sottolineare particolarmente Ferdinand Alquié7, un rilevante influsso nella storia del cartesianismo, ad esempio, su Nicolas Malebranche (1638-1715) o ancora - e questo è un dato che emerge dalla corrispondenza di Clerselier - sul benedettino Robert Desgabets (1610-1678) che, proprio in una lettera a Clerselier del 14 luglio 1664, confessa di essere intento nella lettura della Préface: «J’ay pris plaisir en particulier à lire dans vostre preface du livre de l’Homme de René Des Cartes vos raisonnements sur l’ame connoissante des bestes, ce qui me donne occasion de vous dire que j’ay fait autrefois un raisonnement logique pour prouver cette mêsme verité […]»8); in terzo luogo, come accennato in precedenza, perché nella seconda parte in cui essa si articola, presenta una ricostruzione complessiva della filosofia di Descartes attorno ad alcuni nuclei concettuali: il cogito, le idee chiare e distinte, la distinzione reale della mente dal corpo, l’anima delle bestie e, soprattutto, per quel che qui interessa, il dubbio, tutti argomenti che, anche solo volendone limitare l’importanza ad un mero dato quantitativo, vengono esposti in ben 31 delle 54 pagine di cui il testo si compone.

Nell’esporre questi che sono solo alcuni dei temi fondamentali della filosofia cartesiana, Clerselier non si espone mai in prima persona, annunciando delle tesi proprie, ma si limita ad esporre tesi filosofiche proprie di Descartes: Clerselier, come ha rilevato Alquié, al pari di La Forge e Schuyl, è un discepolo fedele che non si allontana dalla dottrina del maestro di cui celebra i meriti9.

Il modo in cui Clerselier procede, in questa sua ricostruzione, è quello della criptocitazone: la ricostruzione della filosofia di Descartes che egli presenta ai lettori, infatti, si costituisce come una sorta di assemblaggio di parafrasi più o meno letterali - ma non dichiarate espressamente volta per volta ad eccezione di soli due casi in cui Clerselier introducendo il tema delle tre nozioni primitive10 si richiama esplicitamente a due lettere del filosofo alla principessa Elisabetta di Boemia (1618-1680)11 - di testi di Descartes.

Per quanto, nondimeno, Clerselier si mostri fedele a Descartes in questo certosino lavoro di assemblaggio, il quadro complessivo che si delinea alla luce di quest’operazione è quello di un’esposizione della filosofia di Descartes secondo un ordine che non corrisponde a nessuna delle tre esposizioni della metafisica cartesiana: Clerselier muove dalla distinzione dell’anima dal corpo, dalla teoria delle idee, dal cogito, dalla teoria della sostanza, da quella dell’anima dei bruti e, solo alla fine, dal dubbio.

In questo modo, la pretesa - dagli studiosi - fedeltà di Clerselier a Descartes, si declina attraverso un’interpretazione della filosofia di Descartes, interpretazione che è data dalla sequenza in cui Clerselier decide di proporla ai lettori e che presenta una struttura che non è interamente sovrapponibile a quella con cui Descartes ha, invece, presentato la sua metafisica nelle sue tre esposizioni pubbliche, ossia il Discours de la méthode (1637), le Meditationes de prima philosophia (1641) e i Principia Philosophiæ (1644).

Su questa ricostruzione mancano, a tutt’oggi, studi; né, in questa sede, potrò offrire un’indagine completa in questa direzione: il mio obiettivo, più limitato, sarà quello di analizzare, all’interno della Préface di Clerselier, la trattazione riservata al tema del dubbio.

Occorre, innanzitutto, rilevare un primo dato: se, in Descartes, il tema del dubbio costituisce, in tutte e tre le esposizioni della sua metafisica, il punto di partenza, in Clerselier esso perde questa posizione. L’esposizione di Clerselier non comincia affatto col dubbio ma, al contrario, muove dalla distinzione dell’anima dal corpo, dalla teoria delle idee, dal cogito, dalla teoria della sostanza, da quella dell’anima dei bruti.

È fondamentale comprendere che non siamo, qui, di fronte ad un fatto di secondaria importanza, né a un dato meramente casuale. Da un lato, esponendo la filosofia cartesiana senza muovere dal dubbio, Clerselier si muove in una direzione profondamente diversa da quella di Descartes e che lo accomuna, semmai, ad altri sviluppi coevi nella storia del cartesianimo (basti pensare, ad esempio, alla Recherche di Malebranche). Dall’altro lato, quella di Clerselier non può essere (come d’altronde non fu quella di Malebranche), data la sua portata, una scelta casuale: è difficile con sicurezza dire, in assenza di dichiarazioni esplicite in proposito che possano offrirla, almeno in modo univoco, quale sia la logica cui essa risponda ma, a mio avviso, essa esprime senz’altro l’esigenza di attenuare la portata eversiva della filosofia di Descartes.

Questa esigenza, spesso sottolineata dagli studiosi, che hanno così tanto insistito sulla portata apologetica della filosofia di Descartes, senza tuttavia mai connetterla alla trattazione riservata da Clerselier alla problematica del dubbio, mi sembra trovare proprio in quest’ultima un elemento decisivo anche se individuabile, per così dire, in controluce, ossia, precisamente, proprio dalla rimozione che Clerselier ne ha operato, eliminandolo dall’incipit della sua esposizione della filosofia cartesiana. Difficilissimo qui, quindi, continuare a tenere ferma l’etichetta di un Clerselier discepolo fedele che non si allontana mai dalla dottrina del maestro.

Ma cosa ne è del dubbio all’interno della Préface di Clerselier?

Prima di vedere come la posizione di Clerselier sul dubbio si articola nella Préface all’interno della presentazione che egli fa del pensiero di Descartes, è necessario situare Clerselier all’interno del vasto dibattito sorto a proposito del dubbio cartesiano che, certamente, non doveva essergli ignoto e che aveva visto tutti i cartesiani sforzarsi di ridimensionarlo se non, addirittura, di sopprimerlo.

Torniamo dunque al dubbio cartesiano nell’interpretazione fornita da Clerselier.

Rimosso dalla posizione in cui lo aveva collocato Descartes, esso compare a più riprese nella Préface ma mai tematizzato, bensì assorbito, per così dire, all’interno della trattazione di altre tematiche della filosofia cartesiana, in particolare la teoria della sostanza e quella della distinzione reale di anima e corpo.

Non si ha, dunque, una ricollocazione, come se cioè esso, rimosso dalla posizione di punto di partenza della filosofia cartesiana, finisse per occupare un altro posto nell’esposizione proposta da Clerselier, ma si ha piuttosto una sorta di ridistribuzione, di diluizione, quindi, all’interno della trattazione di quelli che Clerselier ha individuato come i motivi centrali della filosofia di Descartes.

Tale ridistribuzione consente di neutralizzare la carica eversiva della dottrina cartesiana del dubbio e, con ogni probabilità, trova proprio in questa esigenza di neutralizzazione il suo motivo ispiratore.

Illustrerò quindi questa ridistribuzione attraverso un’analisi dei testi in cui Clerselier chiama in causa la tematica del dubbio.

Una prima ricognizione all’interno della Préface permette di isolare almeno 10 passi in cui il dubbio viene, appunto, chiamato in causa.

II. Il dubbio nella Préface di Clerselier

[1]

Or peut-on douter que la Substance à laquelle tous ces Actes ou Attributs intellectuels conviennent (ce que tout le monde sait par sa propre expérience appartenir à l’Ame) et à laquelle nous ne concevons point qu’aucun de ceux qui appartiennent à la Substance Corporelle puisse convenir ne soit une Substance distincte du Corps, ou de la Substance Corporelle?

[Clerselier/Préface 32; BOp II 638]

Proprio in riferimento a quanto vengo dal dire, già l’analisi del primo passo impone la necessità di una piccola digressione su quanto Clerselier ha appena affermato, qualche pagina addietro, a proposito della sostanza. In prima istanza Clerselier dichiara che non possiamo affermare nulla sulle cose se prima non abbiamo in noi le idee di queste cose e che non possiamo affermare nulla con certezza se queste idee non sono chiare e distinte. In seconda istanza, dopo aver proceduto a fornire una definizione generale della sostanza - secondo la quale per sostanza deve intendersi quella cosa in cui risiede immediatamente come in un soggetto e per la quale esiste una qualche proprietà o qualità, o attributo di cui abbiamo in noi un’idea reale - e dopo aver affermato che possiamo giudicare dell’essenza e dell’esistenza delle sostanze solamente sulla base degli attributi che le appartengono e di cui abbiamo già in noi le idee, Clerselier afferma che è impossibile dubitare del fatto che la sostanza alla quale tutti questi atti o attributi intellettuali convengono non sia una sostanza distinta dal corpo o dalla sostanza corporea.

In queste poche righe è possibile individuare i passi cartesiani cui Clerselier si appoggia, ossia Meditatio II12 e VI13 e Responsiones I14, III15 e IV16.

[2]

Or il est certain que celui qui veut philosopher par ordre, et qui est résolu de douter de tout, jusqu’à ce qu’il ait rencontré quelque chose de l’existence de laquelle il ne puisse douter, ne peut pas douter qu’il ne soit, pendant qu’il doute. Mais si nous considérons que la chose qui raisonne ainsi, et qui ne pouvant douter de soi-même, doute néanmoins encore de tout le reste, n’est pas ce que nous disons être notre Corps, mais ce que nous appelons notre Ame ou notre Pensée, nous connaîtrons manifestement la réelle distinction qui est entre l’Ame et le Corps.

[Clerselier/Préface 34; BOp II 640-642]

Ora, è possibile suddividere questo passo in due parti:

[2A]

Or il est certain que celui qui veut philosopher par ordre, et qui est résolu de douter de tout, jusqu’à ce qu’il ait rencontré quelque chose de l’existence de laquelle il ne puisse douter, ne peut pas douter qu’il ne soit, pendant qu’il doute.

[2B]

mais si nous considérons que la chose qui raisonne ainsi, et qui ne pouvant douter de soi-même, doute néanmoins encore de tout le reste, n’est pas ce que nous disons être notre Corps, mais ce que nous appelons notre Ame ou notre Pensée, nous connaîtrons manifestement la réelle distinction qui est entre l’Ame et le Corps.

Nella prima parte [2A] è possibile rinvenire almeno due riferimenti: il primo alla IV parte del Discours de la méthode17; il secondo alla I parte dei Principia Philosophiae18; quanto alla seconda parte [2B] del passo - posto che è indubitabile che io sia una sostanza pensante, cioè pensiero, su tutto il resto il dubbio non è ancora sciolto, ivi compreso quello sul mio corpo; ma nondimeno non possiamo dubitare del fatto che tra l’anima e il corpo esiste una distinzione reale - essa rinvia senz’altro a Meditatio VI19 ove, come è noto, Descartes risolve la distinzione reale tra mente e corpo.

Su questo punto mi sia, tuttavia, permesso di tornare a breve, ossia nell’analisi del passo [3B] che mi pare rinviare con più rigore a questo punto cruciale della metafisica cartesiana.

[3]

Car puisque dans le temps même que nous pouvons douter qu’il y ait aucun Corps au monde, nous ne pouvons néanmoins douter de l’existence de notre Ame ou de notre Esprit (étant certain que de cela même que nous doutons, il suit nécessairement que notre Esprit existe; tout Mode, comme est le doute que nous avons, supposant nécessairement un sujet en qui il réside, et nous menant à la connaissance de la Substance à qui il appartient;) il est manifeste que nous concevons clairement notre Ame, ou notre Esprit, comme une chose, ou comme une substance, existante, encore que nous ne concevions aucun Corps comme existant, ou même encore que nous niions qu’il y en ait aucun qui existe. D’où il suit que la notion de l’Esprit, ou de l’Ame de l’homme, ne contient rien en soi qui appartienne en aucune façon à la notion du Corps; et partant que le Corps et l’Ame sont deux Substances réellement distinctes.

[Clerselier/Préface 34-35; BOp II 642]

Anche per quanto riguarda questo terzo passo è possibile scomporre la trattazione in due momenti:

[3A]

Car puisque dans le temps même que nous pouvons douter qu’il y ait aucun Corps au monde, nous ne pouvons néanmoins douter de l’existence de notre Ame ou de notre Esprit (étant certain que de cela même que nous doutons, il suit nécessairement que notre Esprit existe; tout Mode, comme est le doute que nous avons, supposant nécessairement un sujet en qui il réside, et nous menant à la connaissance de la Substance à qui il appartient;) il est manifeste que nous concevons clairement notre Ame, ou notre Esprit, comme une chose, ou comme une substance, existante, encore que nous ne concevions aucun Corps comme existant, ou même encore que nous niions qu’il y en ait aucun qui existe.

Qui Clerselier afferma che, poiché nello stesso tempo in cui possiamo dubitare che non vi sia alcun corpo al mondo, non possiamo nondimeno dubitare dell’esistenza della nostra anima o della nostra mente (essendo certo che dal fatto stesso che dubitiamo, segue necessariamente che la nostra mente esiste. Poiché qualunque modo, come è il dubbio che abbiamo, suppone necessariamente un soggetto in cui esso risiede e ci conduce alla conoscenza della sostanza cui appartiene), è manifesto che concepiamo chiaramente la nostra anima o la nostra mente come una cosa o una sostanza esistente, anche se non concepiamo alcun corpo come esistente, o persino anche se neghiamo che ve ne sia alcuno che esiste.

Il passo in questione si appoggia su quel brano di Meditatio III20 in cui Descartes, dopo aver spazzato il dubbio di Meditatio I, guadagna la prima certezza, quella dell’esistenza dell’io.

[3B]

D’où il suit que la notion de l’Esprit, ou de l’Ame de l’homme, ne contient rien en soi qui appartienne en aucune façon à la notion du Corps; et partant que le Corps et l’Ame sont deux Substances réellement distinctes.

Qui, invece, Clerselier afferma che, fermo restando quanto appena detto, ne deriva che la nozione della mente o dell’anima dell’uomo non contiene niente in sé che appartenga in alcuna maniera alla nozione del corpo e pertanto che il corpo e l’anima sono due sostanze realmente distinte.

Questa seconda parte del terzo passo mi pare possa appoggiarsi, come del resto può farlo - come dicevo - anche la seconda parte del secondo passo [2B] esaminato in precedenza, su di un brano di Meditatio VI21 nella cui conclusione Descartes afferma che quanto alle facoltà di immaginare e di sentire, esse non sono attributi essenziali della res cogitans dal momento che siamo in grado di concepirle senza una sostanza intellettuale nella quale risiedono e senza la quale, tuttavia, non possono esistere. Ora poiché il loro concetto formale include una qualche forma di intellezione (‘intellectio enim nonnula in suo formali conceptu includunt’), noi percepiamo che esse si distinguono da noi come i modi si distinguono dalla cosa (unde percipio illas a me, ut modos a re, distingui’).

[4]

Et partant, notre Ame, qui est le sujet ou la Substance en qui résident toutes nos pensées (car on ne peut pas douter que nos pensées n’aient quelque sujet en qui elles résident) est Spirituelle, puisque la Pensée lui convient, et que nous ne concevons point en elle d’étendue; et est réellement distincte du Corps, qui a pour Attribut l’Etendue, et à qui la Pensée ne convient point.

[Clerselier/Préface 36; BOp II 644]

Questo passo si appoggia su almeno due testi di Descartes. Il primo sono le Responsiones III22 a Thomas Hobbes dove Descartes, dovendo dar conto al filosofo inglese della validità del cogito - o meglio della validità dell’argomento con cui si passa dal pensare all’essere - risponde che ammessa la verità della premessa «Io penso», è possibile concludere: «Io sono» proprio perche noi non possiamo concepire alcun atto senza il suo soggetto, come ad esempio il pensiero senza la cosa che pensa: ciò che pensa, infatti, non è un nulla». La proposizione «Penso, dunque sono» è dunque vera in quanto non si può pensare senza essere.

Il secondo passo cartesiano cui Clereslier poggia la sua argomentazione è l’articolo X della I parte dei Principia23 dove Descartes è, al riguardo, ancor più esplicito.

I passi 5 e 6 hanno entrambi come oggetto Dio.

[5]

Mais si Dieu est Spirituel, comme on n’en peut douter, à moins d’être infidèle ou déraisonnable, il est vrai de dire que toutes les Perfections et Attributs que nous concevons lui appartenir, doivent être les Perfections et Attributs d’une Nature Spirituelle, et non pas Corporelle.

[Clerselier/Préface 41; BOp II 648]

Qui Clerselier afferma che è impossibile dubitare del fatto che Dio sia una sostanza spirituale, pena l’essere o infedeli o irragionevoli. Pertanto è necessario concludere che tutte le perfezioni e tutti gli attributi che concepiamo appartenergli sono le perfezioni e gli attributi di una natura spirituale e non corporea.

È quanto Descartes afferma in una lettera a Pierre-Hector Chanut del 1 febbraio 164724 dove, per rispondere alla questione avanzata da Chanut - se sia cioè possibile che il solo lume naturale ci insegni ad amare Dio e se lo si possa amare con la forza di questo lume - parlando degli attributi di Dio che si considerano più comunemente, Descartes afferma che essi sono a tal punto al di sopra di noi, che non concepiamo in alcun modo che possano convenirci.

[6]

[…] car, par exemple, il ne doute ni ne raisonne point, quoique l’un et l’autre ne laisse pas d’appartenir à l’Esprit, mais non pas à un Esprit tout parfait comme le sien: mais pas un des Attributs que j’ai dit appartenir à l’Essence du Corps, ou en être des dépendances, ne lui peut être attribué sans blasphème ou sans ignorance.

[Clerselier/Préface 41; BOp II 650]

In questo sesto passo Clerselier approfondisce la natura di Dio, istituendo un paragone con la mente umana. Dio non dubita né ragiona. Ora tanto l’atto del dubitare quanto quello del ragionare sono atti propri della mente, tuttavia di una mente non assolutamente perfetta come quella di Dio. Pertanto, conclude, nessun attributo che appartiene all’essenza del corpo, o che da esso dipende, può essere attribuito a Dio senza incorrere in blasfemia o ignoranza.

[7]

Maintenant donc qu’il est question de bien connaître la nature de notre Ame; pour ne nous point tromper dans la recherche d’une chose si importante et si nécessaire, nous devons détourner notre pensée de la considération des choses dont la connaissance nous est venue par l’entremise des sens; et considérer attentivement celles que nous avons reconnu appartenir si certainement à l’Ame, qu’il n’y a personne qui n’en demeure d’accord, et qui ne l’expérimente en soi-même».

[Clerselier/Préface 44; BOp II 652]

Questo settimo passo non mette esplicitamente a tema il dubbio ma introduce il tema dell’inganno. Clerselier afferma infatti che per poter conoscere bene la natura della nostra anima, dobbiamo distogliere il nostro pensiero dalla considerazione di tutte quelle cose di cui abbiamo avuto conoscenza tramite i sensi e considerare, invece, con attenzione quelle che abbiamo già riconosciuto appartenere all’anima al fine di non ingannarci nella ricerca di una cosa così importante e così necessaria. Di fatto qui Clerselier si appoggia su almeno 4 testi in cui Descartes fa riferimento al dubbio dei sensi: Meditatio I25, la IV parte del Discours de la méthode26, l’art. IV della I parte dei Principia Philosophiæ27 e la Recherche de la vérité28.

[8]

Mais qui ne sait, et qui est celui qui a jamais douté, que c’est l’Ame qui vit, qui se ressouvient, qui entend, qui veut, qui pense, qui connaît, et qui juge? Car si c’est l’Ame qui doute, comme on n’en peut douter, c’est l’Ame aussi qui vit; si c’est l’Ame qui doute, c’est elle qui se ressouvient de ce qui la fait douter; si elle doute, elle connaît qu’elle doute; si elle doute, elle veut ne plus douter; si elle doute, elle pense; si elle doute, elle sait qu’elle ne sait pas; enfin si elle doute, elle juge qu’elle ne doit pas donner témérairement son consentement. Quiconque donc doute de quelque chose, ne doit point douter d’aucune de celles-ci, sans quoi il lui serait impossible de douter d’aucune chose.

[Clerselier/Préface 44; BOp II 654]

[9]

«Or est-il qu’elle sait certainement ce qu’elle est, ainsi que je l’ai fait voir, c’est à savoir une chose qui doute, qui vit, qui se ressouvient, qui entend, qui veut, qui pense, qui connaît, et qui juge; et cependant elle ne sait point du tout qu’elle soit de l’air, ni du feu, ou quelqu’autre corps, ni qu’elle soit rien de ce qui appartient au Corps; et partant il suit de là très évidemment, et l’on est obligé de conclure, qu’elle n’est aucune de ces choses; et même que tout le conseil qu’on lui donne, de se bien connaître soi-même, ne va qu’à la rendre certaine, qu’elle n’est pas une des choses dont elle est incertaine; mais qu’elle est seulement ce qu’elle sait certainement qu’elle est».

[Clerselier/Préface 46; BOp II 654-656]

L’ottavo e il nono passo sembrano poggiarsi entrambi su di un passo di Meditatio II29 in cui Descartes, subito dopo aver concluso di non poter escludere la possibilità che il pensiero sia corporeo, e ricapitolando quel che egli sa di sapere (quel solo che egli sa di sapere), e cioè una cosa pensante, esplica anche cosa voglia dire essere una cosa pensante: è una cosa che dubita, intende, afferma, nega, vuole, non vuole, immagina, inoltre, e sente.

[10]

Or il est sans doute que si l’Ame était l’une de ces choses, elle l’apercevrait d’une autre façon que les autres; et que ce ne serait pas par un fantôme de l’imagination, ainsi qu’on se représente les choses absentes que l’on a auparavant aperçues par les sens, ou d’autres semblables que l’on se forge à leur imitation, mais qu’elle la verrait et l’apercevrait d’une façon claire et vive, à la façon des choses présentes: de même qu’il n’y a rien qu’elle aperçoive plus clairement et plus vivement, ni qui lui soit plus présent, sinon qu’elle est, qu’elle vit, qu’elle se ressouvient, qu’elle entend, et qu’elle veut: car elle aperçoit toutes ces choses en elle-même et par ellemême, et ne se les imagine pas comme les ayant senties hors de soi par l’entremise des sens, ainsi que toutes les choses Corporelles se font sentir.

[Clerselier/Préface 46-47; BOp II 656]

In questo decimo ed ultimo passo Clerselier afferma che non è dubbio che se l’anima fosse una di queste cose, la percepirebbe diversamente dalle altre. E ciò non avverrebbe attraverso un fantasma dell’immaginazione così come ci rappresentiamo le cose assenti che abbiamo percepito in precedenza tramite i sensi o altre simili che ci forgiamo a loro imitazione, ma la vedrebbe e la percepirebbe in una maniera chiara e viva alla maniera delle cose presenti. Allo stesso modo in cui non vi è nulla che percepisca più chiaramente e più vivamente, né che ad essa sia più presente, del fatto che è, che vive, che si ricorda, che intende e che vuole. Infatti essa percepisce tutte queste cose in sé stessa e da se stessa e non se le immagina come se le avesse sentite fuori di sé per il tramite dei sensi come si fanno sentire tutte le cose corporee.

Se ho voluto soffermarmi così tanto, in modo forse quasi pedante, su questi testi, è perché mi prefiggevo due obiettivi, convergenti.

1) Da un lato, ho inteso mostrare, attraverso il reperimento delle criptocitazioni, la fondatezza testuale dell’operazione di Clerselier: tutti i testi che egli assembla nella sua esposizione sono desunti da Descartes; da questo punto di vista, prendendo cioè questi testi isolatamente, in quanto tali, è pienamente confermata l’immagine storiografica di un Clerselier seguace fedele di Descartes.

2) Dall’altro lato, tuttavia, un esame più ravvicinato di questi testi mostra che l’operazione compiuta da Clerselier si indirizza univocamente verso una direzione ben precisa: la volontà di sottolineare non la dimensione della dubitabilità, ma quella dell’indubitabilità.

Se, difatti, si ripercorrono sinteticamente tutti i testi di cui sopra, ci si rende conto che non è nel registro concettuale e lessicale della dubitabilità, ma di quello dell’indubitabilità che Clerselier si muove:

1. è impossibile dubitare del fatto che gli atti o attributi intellettuali non convengano a una sostanza distinta dal corpo o dalla sostanza corporea.

2. l’anima non può dubitare di non essere, mentre dubita.

3. nello stesso tempo in cui possiamo dubitare che non vi sia alcun corpo al mondo, non possiamo nondimeno dubitare dell’esistenza della nostra anima o della nostra mente.

4. non si può dubitare che i nostri pensieri non abbiano qualche soggetto in cui risiedono.

5. è impossibile dubitare del fatto che Dio sia una sostanza.

8. Chiunque, dunque, dubita di qualche cosa, non deve dubitare di nessuna di queste cose, altrimenti gli sarebbe impossibile dubitare di alcuna cosa.

10. Non è dubbio che se l’anima fosse una di queste cose, la percepirebbe diversamente dalle altre.

Particolarmente interessante, qui, è il passo 8, un vero e proprio capolavoro letterario in cui Clerselier procede per giustapposizione ed integrazione di ossimori che mirano a enfatizzare il contrasto fra dubitabilità ed indubitabilità e, poi, il sopravvento di questa. Le occorrenze di douter, nelle sue varie forme, che reiterano a più riprese la definizione della res cogitans di Meditatio II, ricadono infatti volta volta sotto il registro dell’indubitabilità:

- se è l’anima infatti che dubita, cosa di cui non si può dubitare, è anche l’anima che vive […];

- se è l’anima che dubita, è essa che si ricorda di ciò che la fa dubitare; se essa dubita, sa che dubita; se dubita, vuole non dubitare più;

- se dubita, pensa; se dubita, essa sa di non sapere;

- infine, se dubita, giudica che non deve dare temerariamente il suo consenso;

- chiunque, dunque, dubita di qualche cosa, non deve dubitare di nessuna di queste cose, altrimenti gli sarebbe impossibile dubitare di alcuna cosa.

Vengo alle conclusioni. Pur nel rispetto scrupoloso, da parte di Clerselier, dei testi di Descartes, a partire dai quali egli costruisce, per assemblaggio, la sua ricostruzione della filosofia cartesiana, quest’ultima si configura nondimeno come un’interpretazione ben precisa del pensiero di Descartes mirante a neutralizzare ogni potenziale eversivo della dottrina del dubbio, attraverso una diplica operazione: in primo luogo, l’eliminazione di una riflessione autonoma sul dubbio, per cui, se la filosofia cartesiana cominciava, sempre, in ogni caso, dal dubbio, Clerselier muove dalla distinzione dell’anima dal corpo; in secondo luogo, la scelta di una modalità di parafrasi, del testo di Descartes che, seppur basata esclusivamente, sul piano testuale, sui testi di Descartes, riformula questi ultimi attraverso un linguaggio che mira a far scomparire il lessico ed il concetto del dubitabile in quello di indubitabile.

Probabilmente privo di originalità, Clerselier non era comunque, in alcun modo, il discepolo fedele di Descartes.

* Sigle e abbreviazioni utilizzate: AT (seguito dal numero del volume e da quello della pagina) = R. Descartes, Œuvres, éd. par Ch. Adam et P. Tannery, 12 vols, Paris, Vrin-Cnrs, 1963-1974; BLet (seguito dal numero della lettera e da quello della pagina) = R. Descartes, Tutte le lettere, a cura di G. Belgioioso, con la collaborazione di I. Agostini et alii, Milano, Bompiani, 20092; BOp I (seguito dal numero della pagina) = R. Descartes, Opere. 1637-1650, a cura di G. Belgioioso, Milano, Bompiani, 2009; BOp II (seguito dal numero della pagina) = R. Descartes, Opere postume. 1650-2009, a cura di G. Belgioioso, Milano, Bompiani, 2009; Clerselier/Préface (seguito dal numero della pagina) = C. Clerselier, Préface, in R. Descartes, L’Homme de René Descartes, et la Formation du foetus, avec les remarques de Louis de La Forge. A quoy l’on a ajouté le Monde, ou Traité de la lumière du mesme auteur (2e édition reveuë et corrigée), Paris, Charles Angot, 1677; BmCh = Bibliothèque Municipale de Chartres.

1L’Homme de René Descartes et un Traité de la Formation du foetus du mesme autheur, avec les remarques de Louys de La Forge, Paris, Charles Angot, 1664.

2Renatus Des Cartes De Homine, figuris et latinitate donatus a Florentio Schuyl Inclytae Urbis Sylvae Ducis Senatore, et ibidem Philosophiae Professore, Lugduni Batuorum, Franciscus Moyardum & Petrum Lessen.

3Clerselier/Preface 1-19 (BOp II 598-622).

4Le Monde de Mr Descartes, ou le Traitté de la Lumiere, et des autres principaux objets des Sens: Avec un Discours du Mouvement Local, et un autre des Fiévres, composez selon les principes du même Auteur, Paris, chez Michel Bobin et Nicolas Le Gras.

5L’Homme de René Descartes et un traité de la formation du foetus du même auteur avec les remarques de Louis de La Forge, sur le traité de l’homme de René Descartes et sur les figures par lui inventées, Paris, N. Le Gras, 1664.

6L’Homme de René Descartes et la Formation du Foetus, avec les Remarques de Louys de la Forge. A quoi l’on a ajouté Le Monde, ou Traité de la Lumiere du mesme Autheur. Seconde Edition, reveue et corrigée, Paris, Théodor Girard, 1677.

7Ferdinand Alquié, Le cartésianisme de Malebranche, Paris, J. Vrin, 1974, p. 25.

8Extrait d’une lettre de Dom Robert Des Gabets à Monsieur Clercelier, 14 juillet 1664, in BmCh Ms. n. 366, pièce n. 34.

9Ferdinand Alquié, Le cartésianisme de Malebranche, cit., p. 25.

10Cfr. Clerselier/Preface 36-37; BOp II 644.

11Cfr. Descartes à Elisabeth, 21 mai 1643, BLet 392, pp. 1748-1750 (AT III 665-667); Descartes à Elisabeth, 28 juin 1643, BLet 404, pp. 1780-1782 (AT III 691-695).

12Meditatio, II, BOp I 714 (AT VII 26).

13Meditatio, VI, BOp I 784 (AT VII 78).

14Responsiones, I, BOp I 838 (AT VII 120).

15Responsiones, III, BOp I 914 (AT VII 176).

16Responsiones, IV, BOp I 982 (AT VII 223).

17Discours de la méthode, IV, BOp I 60 (AT VI 32-33).

18Principia Philosophiæ, I, art. 7, BOp I 1714 (AT VIII-1 7).

19Meditatio, VI, BOp I 784 (AT VII 78-79).

20Meditatio, III, BOp I 712 (AT VII 25).

21Meditatio, VI, BOp I 784 (AT VII 78-79).

22Responsiones, III, BOp I 914 (AT VII 175).

23Principia Philosophiæ, I, X, BOp I 1716-1718 (AT VIII-1 8).

24Descartes à Chanut, 1 février 1647, BLet 600, p. 2388 (AT IV 607).

25Meditatio, I, BOp I 704 (AT VII 18).

26Discours de la méthode, IV, BOp I 58 (AT VI 31-32).

27Principia Philosophiæ, I, art. IV, BOp I 1712 (AT VIII-1 5-6).

28Recherche de la vérité, BOp II 842 (AT X 510).

29Meditatio, II, BOp I 718 (AT VII 28).

III. Appendice

[1] Clerselier/Préface 32; BOp II 638

Or peut-on douter que la Substance à laquelle tous ces Actes ou Attributs intellectuels conviennent (ce que tout le monde sait par sa propre expérience appartenir à l’Ame) et à laquelle nous ne concevons point qu’aucun de ceux qui appartiennent à la Substance Corporelle puisse convenir ne soit une Substance distincte du Corps, ou de la Substance Corporelle?

a) Meditatio, II, BOp I 714 (AT VII 26)

De corpore vero ne dubitabam quidem, sed distincte me nosse arbitrabar ejus naturam, quam si forte, qualem mente concipiebam, describere tentassem, sic explicuissem: per corpus intelligo illud omne quod aptum est figura aliqua terminari, loco circumscribi, spatium sic replere, ut ex eo aliud omne corpus excludat; tactu, visu, auditu, gustu, vel odoratu percipi, necnon moveri pluribus modis, non quidem a seipso, sed ab alio quopiam a quo tangatur: namque habere vim seipsum movendi, item sentiendi, vel cogitandi, nullo pacto ad naturam corporis pertinere judicabam; quinimo mirabar potius tales facultates in quibusdam corporibus reperiri.

b) Meditatio, VI, BOp I 784 (AT VII 78)

Et quamvis fortasse (vel potius, ut postmodum dicam, pro certo) habeam corpus, quod mihi valde arcte conjunctum est, quia tamen ex una parte claram et distinctam habeo ideam mei ipsius, quatenus sum tantum res cogitans, non extensa, et ex alia parte distinctam ideam corporis, quatenus est tantum res extensa, non cogitans, certum est me a corpore meo revera esse distinctum, et absque illo posse existere.

Praeterea invenio in me facultates specialibus quibusdam modis cogitandi, puta facultates imaginandi et sentiendi, sine quibus totum me possum clare et distincte intelligere, sed non vice versa illas sine me, hoc est sine substantia intelligente cui insint: intellectionem enim nonnullam in suo formali conceptu includunt, unde percipio illas a me, ut modos a re, distingui.

c) Responsiones, I, BOp I 838 (AT VII 120)

Quantum attinet ad distinctionem formalem, quam doctissimus Theologus affert ex Scoto, breviter dico illam non differre a modali, nec se extendere nisi ad entia incompleta, quae a completis accurate distinxi; et sufficere quidem ut unum ab alio distincte et seorsim concipiatur per abstractionem intellectus rem inadaequate concipientis, non autem ita distincte et seorsim, ut unumquodque tanquam ens per se et ab omni alio diversum intelligamus, sed ad hoc omnino requiri distinctionem realem.

d) Responsiones, III, BOp I 914 (AT VII 176)

Sunt deinde alii actus, quos vocamus cogitativos, ut intelligere, velle, imaginari, sentire etc., qui omnes sub ratione communi cogitationis, sive perceptionis, sive conscientiae, conveniunt; atque substantiam cui insunt, dicimus esse rem cogitantem, sive mentem, sive alio quovis nomine, modo ne ipsam cum substantia corporea confundamus, quoniam actus cogitativi nullam cum actibus corporeis habent affinitatem, et cogitatio, quae est ipsarum ratio communis, toto genere differt ab extensione, quae est ratio communis aliorum.

e) Responsiones, IV, BOp I 982 (AT VII 223)

Mens autem distincte et complete, sive quantum sufficit ut habeatur pro re completa, percipi potest, sine ulla ex iis formis sive attributis, ex quibus agnoscimus corpus esse substantiam, ut puto me in secunda Meditatione satis ostendisse; corpusque intelligitur distincte atque ut res completa, sine iis quae pertinent ad mentem.

[2A] Clerselier/Préface 34; BOp II 640-642

Or il est certain que celui qui veut philosopher par ordre, et qui est résolu de douter de tout, jusqu’à ce qu’il ait rencontré quelque chose de l’existence de laquelle il ne puisse douter, ne peut pas douter qu’il ne soit, pendant qu’il doute.

a) Discours de la méthode, IV, BOp I 60 (AT VI 32-33)

Puis, examinant avec attention ce que j’étais, et voyant que je pouvais feindre que je n’avais aucun corps, et qu’il n’y avait aucun monde, ni aucun lieu où je fusse; mais que je ne pouvais pas feindre, pour cela, que je n’étais point; et qu’au contraire, de cela même que je pensais à douter de la vérité des autres choses, il suivait très évidemment et très certainement que j’étais; au lieu que, si j’eusse seulement cessé de penser, encore que tout le reste de ce que j’avais jamais imaginé eût été vrai, je n’avais aucune raison de croire que j’eusse été: je connus de là que j’étais une substance dont toute l’essence ou la nature n’est que de penser, et qui, pour être, n’a besoin d’aucun lieu, ni ne dépend d’aucune chose matérielle.

b) Principia Philosophiæ, I, 7, BOp I 1714 (AT VIII-1 7).

Hæc cognitio, ego cogito, ergo sum, est omnium prima et certissima, quæ cuilibet ordine philosophanti occurrat.

[2B] Clerselier/Préface 34; BOp II 640-642

[…] mais si nous considérons que la chose qui raisonne ainsi, et qui ne pouvant douter de soi-même, doute néanmoins encore de tout le reste, n’est pas ce que nous disons être notre Corps, mais ce que nous appelons notre Ame ou notre Pensée, nous connaîtrons manifestement la réelle distinction qui est entre l’Ame et le Corps.

a) Meditatio, VI, BOp I 784 (AT VII 78-79)

[…] ac proinde, ex hoc ipso quod sciam me existere, quodque interim nihil plane aliud ad naturam sive essentiam meam pertinere animadvertam, praeter hoc solum quod sim res cogitans, recte concludo meam essentiam in hoc uno consistere, quod sim res cogitans. Et quamvis fortasse (vel potius, ut postmodum dicam, pro certo) habeam corpus, quod mihi valde arcte conjunctum est, quia tamen ex una parte claram et distinctam habeo ideam mei ipsius, quatenus sum tantum res cogitans, non extensa, et ex alia parte distinctam ideam corporis, quatenus est tantum res extensa, non cogitans, certum est me a corpore meo revera esse distinctum, et absque illo posse existere. Praeterea invenio in me facultates specialibus quibusdam modis cogitandi, puta facultates imaginandi et sentiendi, sine quibus totum me possum clare et distincte intelligere, sed non vice versa illas sine me, hoc est sine substantia intelligente cui insint: intellectionem enim nonnullam in suo formali conceptu includunt, unde percipio illas a me, ut modos a re, distingui.

[3A] Clerselier/Préface 34-35; BOp II 642

Car puisque dans le temps même que nous pouvons douter qu’il y ait aucun Corps au monde, nous ne pouvons néanmoins douter de l’existence de notre Ame ou de notre Esprit (étant certain que de cela même que nous doutons, il suit nécessairement que notre Esprit existe; tout Mode, comme est le doute que nous avons, supposant nécessairement un sujet en qui il réside, et nous menant à la connaissance de la Substance à qui il appartient;) il est manifeste que nous concevons clairement notre Ame, ou notre Esprit, comme une chose, ou comme une substance, existante, encore que nous ne concevions aucun Corps comme existant, ou même encore que nous niions qu’il y en ait aucun qui existe.

a) Meditatio, III, BOp I 712 (AT VII 25)

Imo certe ego eram si quid mihi persuasi. Sed est deceptor nescio quis, summe potens, summe callidus, qui de industria me semper fallit. Haud dubie igitur ego etiam sum, si me fallit; et fallat quantum potest, nunquam tamen efficiet ut nihil sim quamdiu me aliquid esse cogitabo. Adeo ut, omnibus satis superque pensitatis, denique statuendum sit hoc pronuntiatum, Ego sum, ego existo, quoties a me profertur, vel mente concipitur, necessario esse verum.

[3B] Clerselier/Préface 34-35; BOp II 642

D’où il suit que la notion de l’Esprit, ou de l’Ame de l’homme, ne contient rien en soi qui appartienne en aucune façon à la notion du Corps; et partant que le Corps et l’Ame sont deux Substances réellement distinctes.

a) Meditatio, VI, BOp I 784 (AT VII 78-79)

ac proinde, ex hoc ipso quod sciam me existere, quodque interim nihil plane aliud ad naturam sive essentiam meam pertinere animadvertam, praeter hoc solum quod sim res cogitans, recte concludo meam essentiam in hoc uno consistere, quod sim res cogitans. Et quamvis fortasse (vel potius, ut postmodum dicam, pro certo) habeam corpus, quod mihi valde arcte conjunctum est, quia tamen ex una parte claram et distinctam habeo ideam mei ipsius, quatenus sum tantum res cogitans, non extensa, et ex alia parte distinctam ideam corporis, quatenus est tantum res extensa, non cogitans, certum est me a corpore meo revera esse distinctum, et absque illo posse existere. Praeterea invenio in me facultates specialibus quibusdam modis cogitandi, puta facultates imaginandi et sentiendi, sine quibus totum me possum clare et distincte intelligere, sed non vice versa illas sine me, hoc est sine substantia intelligente cui insint: intellectionem enim nonnullam in suo formali conceptu includunt, unde percipio illas a me, ut modos a re, distingui.

[4] Clerselier/Préface 36; BOp II 644

Et partant, notre Ame, qui est le sujet ou la Substance en qui résident toutes nos pensées (car on ne peut pas douter que nos pensées n’aient quelque sujet en qui elles résident) est Spirituelle, puisque la Pensée lui convient, et que nous ne concevons point en elle d’étendue; et est réellement distincte du Corps, qui a pour Attribut l’Etendue, et à qui la Pensée ne convient point.

a) Responsiones, III, BOp I 914 (AT VII 175)

Deinde recte dicit nos non posse concipere actum ullum sine subjecto suo, ut cogitationem sine re cogitante, quia id quod cogitat non est nihil.

b) Principia Philosophiæ, I, X, BOp I 1716-1718 (AT VIII-1 8)

Ubi dixi hanc propositionem, ego cogito, ergo sum, esse omnium primam et certissimam, quæ cuilibet ordine philosophanti occurrat, non ideo negavi quin ante ipsam scire oporteat, quid sit cogitatio, quid existentia, quid certitudo; item, quod fieri non possit, ut id quod cogitet non existat, et talia; sed quia hæ sunt simplicissimæ notiones, et quæ solæ nullius rei existentis notitiam præbent, idcirco non censui esse numerandas.

[5] Clerselier/Préface 41; BOp II 648

«Mais si Dieu est Spirituel, comme on n’en peut douter, à moins d’être infidèle ou déraisonnable, il est vrai de dire que toutes les Perfections et Attributs que nous concevons lui appartenir, doivent être les Perfections et Attributs d’une Nature Spirituelle, et non pas Corporelle».

a) Descartes à Chanut, 1 février 1647, BLet 600, p. 2388 (AT IV 607)

Je vois qu’il y a deux fortes raisons pour en douter; la première est que les attributs de Dieu qu’on considère le plus ordinairement, sont si relevés audessus de nous, que nous ne concevons en aucune façon qu’ils nous puissent être convenables, ce qui est cause que nous ne nous joignons point à eux de volonté.

[6] Clerselier/Préface 41; BOp II 650

[…] car, par exemple, il ne doute ni ne raisonne point, quoique l’un et l’autre ne laisse pas d’appartenir à l’Esprit, mais non pas à un Esprit tout parfait comme le sien: mais pas un des Attributs que j’ai dit appartenir à l’Essence du Corps, ou en être des dépendances, ne lui peut être attribué sans blasphème ou sans ignorance.

[7] Clerselier/Préface 44; BOp II 652

«Maintenant donc qu’il est question de bien connaître la nature de notre Ame; pour ne nous point tromper dans la recherche d’une chose si importante et si nécessaire, nous devons détourner notre pensée de la considération des choses dont la connaissance nous est venue par l’entremise des sens; et considérer attentivement celles que nous avons reconnu appartenir si certainement à l’Ame, qu’il n’y a personne qui n’en demeure d’accord, et qui ne l’expérimente en soi-même».

a) Discours de la méthode, IV, BOp I 58 (AT VI 31-32)

Ainsi, à cause que nos sens nous trompent quelquefois, je voulus supposer qu’il n’y avait aucune chose qui fût telle qu’ils nous la font imaginer.

b) Meditatio, I, BOp I 704 (AT VII 18)

Nempe quidquid hactenus ut maxime verum admisi, vel a sensibus, vel per sensus accepi; hos autem interdum fallere deprehendi, ac prudentiae est nunquam illis plane confidere qui nos vel semel deceperunt.

c) Principi della filosofia, I, art. IV, B Op I 1712 (AT VIII-1 5-6)

Nunc itaque, cum tantum veritati quaerendae incumbamus, dubitabimus inprimis, an ullae res sensibiles aut imaginabiles existant: primo, quia deprehendimus interdum sensus errare, ac prudentiae est, nunquam nimis fidere iis, qui nos vel semel deceperunt […]

d) Recherche de la vérité, BOp II 842 (AT X 510)

Poliandre. Je sais bien que les sens trompent quelquefois, s’ils sont mal disposés, comme lorsque toutes les viandes semblent amères à un malade, ou bien trop éloignés, comme quand nous regardons les étoiles, qui ne nous paraissent jamais si grandes qu’elles sont, ou, généralement, lorsqu’ils n’agissent pas en liberté selon la constitution de leur nature

[8] Clerselier/Préface 44; BOp II 654

Mais qui ne sait, et qui est celui qui a jamais douté, que c’est l’Ame qui vit, qui se ressouvient, qui entend, qui veut, qui pense, qui connaît, et qui juge? Car si c’est l’Ame qui doute, comme on n’en peut douter, c’est l’Ame aussi qui vit; si c’est l’Ame qui doute, c’est elle qui se ressouvient de ce qui la fait douter; si elle doute, elle connaît qu’elle doute; si elle doute, elle veut ne plus douter; si elle doute, elle pense; si elle doute, elle sait qu’elle ne sait pas; enfin si elle doute, elle juge qu’elle ne doit pas donner témérairement son consentement. Quiconque donc doute de quelque chose, ne doit point douter d’aucune de celles-ci, sans quoi il lui serait impossible de douter d’aucune chose.

a) Meditatio, II, BOp I 718 (AT VII 28)

Sed quid igitur sum? Res cogitans. Quid est hoc? Nempe dubitans, intelligens, affirmans, negans, volens, nolens, imaginans quoque, et sentiens.

[9] Clerselier/Préface 46; BOp II 654-656

Or est-il qu’elle sait certainement ce qu’elle est, ainsi que je l’ai fait voir, c’est à savoir une chose qui doute, qui vit, qui se ressouvient, qui entend, qui veut, qui pense, qui connaît, et qui juge; et cependant elle ne sait point du tout qu’elle soit de l’air, ni du feu, ou quelqu’autre corps, ni qu’elle soit rien de ce qui appartient au Corps; et partant il suit de là très évidemment, et l’on est obligé de conclure, qu’elle n’est aucune de ces choses; et même que tout le conseil qu’on lui donne, de se bien connaître soi-même, ne va qu’à la rendre certaine, qu’elle n’est pas une des choses dont elle est incertaine; mais qu’elle est seulement ce qu’elle sait certainement qu’elle est.

a) Meditatio, II, BOp I 718 (AT VII 28)

Sed quid igitur sum? Res cogitans. Quid est hoc? Nempe dubitans, intelligens, affirmans, negans, volens, nolens, imaginans quoque, et sentiens.

[10] Clerselier/Préface 46-47; BOp II 656

Or il est sans doute que si l’Ame était l’une de ces choses, elle l’apercevrait d’une autre façon que les autres; et que ce ne serait pas par un fantôme de l’imagination, ainsi qu’on se représente les choses absentes que l’on a auparavant aperçues par les sens, ou d’autres semblables que l’on se forge à leur imitation, mais qu’elle la verrait et l’apercevrait d’une façon claire et vive, à la façon des choses présentes: de même qu’il n’y a rien qu’elle aperçoive plus clairement et plus vivement, ni qui lui soit plus présent, sinon qu’elle est, qu’elle vit, qu’elle se ressouvient, qu’elle entend, et qu’elle veut: car elle aperçoit toutes ces choses en elle-même et par ellemême, et ne se les imagine pas comme les ayant senties hors de soi par l’entremise des sens, ainsi que toutes les choses Corporelles se font sentir.

Received: November 17, 2020; Accepted: December 30, 2020

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