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Educação e Filosofia

Print version ISSN 0102-6801On-line version ISSN 1982-596X

Educação e Filosofia vol.34 no.72 Uberlândia Sept./Dec 2020  Epub Feb 03, 2022

https://doi.org/10.14393/revedfil.v34n72a2020-59280 

Dossiê A ideia de homem em Descartes

La domanda sul l’uomo e la II Meditazione

The question about man and II Meditation

A questão sobre o homem e a II Meditação

*Doutor em Filosofia pela Università del Salento. Professor Associado de Filosofia no Departamento de Humanidades da Universidade do Salento (Lecce - Itália). E-mail: igor.agostini@unisalento.it


Riassunto

In questo articolo analizzo la nozione pre-filosofica di ‘uomo discussa da Descartes nella Seconda Meditazione. A dispetto dell’attenzione rivolta su questo punto dai contemporanei di Descartes, in particolare Bourdin, gli studiosi non si sono particolarmente soffermati su tale questione. Argomenterò nelle pagine seguenti che l’analisi, da parte di Descartes, della nozione pre-filosofica di uomo costituisce un caso paradigmaico della procedura seguita nella seconda Meditazione per giungere alla distinzione. Questa procedura consiste, infatti, in un movimento che, regredendo da una nozione pre-filosofica, giunge, attraverso l’attenzione e, quindi, la chiarezza, alla distinzione: dentro la nozione pre-filosofica di uomo in cui il meditante ‘scopre’ la cogitatio, egli sofferma l’attenzione rendendo tale nozione chiara, poi la separa dalle determinazioni cui è unita nella medesima nozione rendendola distinta.

Parole-chiave: Descartes; Meditações; homem; clareza e distinção

Abstract

In this paper I will focus on the pre-philosophical notion of ‘man’ discussed by Descartes in the Second Meditation. In spite of the attention addressed on this very point by Descartes’s contemporaries, especially by Bourdin, scholars have not much dealt with this topic. In what follows, I will argue that Descartes’s analysis of the pre-philosophical notion of ‘man’ constitutes a paradigmatic case of the procedure followed in the Second Meditation in order to attain distinction. This procedure consists in a movement by which the meditator, by regressing from a pre-philosophical notion, obtains clearness through attention, and therefore distinctness through clearness: by focusing his attention on the pre-philosophical notion of ‘man’, in which he discovers the ‘cogitatio’, the meditator makes such a notion clear; then, by internal means of separation, he makes this notion distinct as well.

Keywords: Descartes; Meditações; homem; clareza e distinção

Resumo

Neste artigo, analiso a noção pré-filosófica de “homem” discutida por Descartes na Segunda Meditação. Apesar da atenção dirigida a esse tópico pelos contemporâneos de Descartes, em particular Bourdin, os pesquisadores não se demoram sobre tal questão. Argumentarei nas páginas seguintes que a análise da noção pré-filosófica de homem, por parte de Descartes, constitui um caso paradigmático do procedimento seguido na Segunda Meditação para encontrar a distinção. Esse procedimento consiste, de fato, em um movimento que, retomando uma noção pré-filosófica, encontra, através da atenção e, por conseguinte, da clareza, a distinção: concentrando a atenção na noção pré-filosófica de homem em que “descobre” a cogitatio, o meditador torna tal noção clara; depois, a separa das determinações às quais está unida, tornando-a distinta.

Palavras-chave: Descartes; Meditações; homem; clareza e distinção

§ 1. Nella II Meditazione, subito dopo avere scoperto la propria esistenza, il meditante fa una constatazione che scandisce una tappa fondamentale del suo percorso verso la verità: non intendo a sufficienza chi mai io sia, quell’io che già sono necessariamente. Scrive Descartes:

Nondum vero satis intelligo, quisnam sim ego ille, qui jam necessario sum1.

L’io, dunque, sa di esistere, ma non sa chi è. È qui introdotta la questione della natura dell’io, e la seconda delle tre parti di cui si compone la II Meditazione è dedicata precisamente al tentativo di rispondere a tale questione.

In questa seconda parte, che costituisce il cuore della II Meditazione, la determinazione della natura dell’io si articola in tre momenti principali, che corrispondono a tre verità o - forse meglio - a tre livelli di una verità, la natura della mente come res cogitans, guadagnate nell’ordine delle ragioni secondo la seguente scansione: 1) La mente è res cogitans2; 2) La mente non può e, quindi, non deve essere conosciuta mediante l’immaginazione3; 3) La mente, in quanto res cogitans è: dubitans, intelligens, affirmans, negans, volens, nolens, imaginans quoque, et sentiens4.

L’analisi si conclude dunque con la definizione di res cogitans che, per Descartes, sarà poi definitiva, nel seguito delle Meditationes, ed infatti aprirà la terza in termini pressoché identici:

Ego sum res cogitans, id est dubitans, affirmans, negans, pauca intelligens, multa ignorans, volens, nolens, imaginans etiam et sentiens5.

È importante precisare, tuttavia, che con questa definizione l’indagine iniziata nella II Meditazione non è conclusa: infatti, anche se si sa ormai cosa significhi cogitatio e di essa sono divenuti noti i modi, ancora non è cosa nota se il pensiero - con i suoi modi - non sia corporeo6. Descartes ritiene di poter stabilire questa conclusione solo nella VI Meditazione, quando sarà in possesso di tutte le premesse necessarie per ottenerla: l’idea chiara e distinta della mente e del corpo e la veracità di Dio; e così sarà, insieme, stabilita la distinzione reale7.

In questa lunga indagine, che inizia, come dicevo, subito dopo il cosiddetto cogito e si conclude nella VI Meditazione, Descartes si attiene ad un procedimento ben preciso, che è stato a ragione qualificato come una sottrazione8. Descartes programma di: a) meditare ‘ciò che credeva di essere un tempo’; b) sottrarre (subducere) da esso tutto ciò che cade sotto gli argomenti del dubbio proposti nella I Meditazione: c) far restare solo ciò che è certo ed indubitabile:

Quare jam denuo meditabor quidnam me olim esse crediderim, priusquam in has cogitationes incidissem; ex quo deinde subducam quidquid allatis rationibus vel minimum potuit infirmari, ut ita tandem praecise remaneat illud tantum quod certum est et inconcussum9.

Un tale procedimento di sottrazione, che si concluderà con la scoperta del pensiero quale carattere inseparabile dell’io, si configura, mi pare, come una sintesi fra dubbio e negazione10: posta una nozione data (‘ciò che credevo un tempo di essere’), si passa tale nozione al vaglio dei dubbi della I Meditazione e, per ogni elemento di tale nozione che non supera i dubbi, lo si nega, in conformità alla determinazione presa al momento dell’introduzione del genio maligno.

Questa sezione resta ancora oggi una delle meno studiate della II Meditazione, ma aveva richiamato l’attenzione dei lettori contemporanei di Descartes. In particolare, aveva suscitato le critiche del settimo obiettore, Pierre Bourdin, che aveva rimproverato Descartes di aver ricavato, dopo il dubbio iniziale della I Meditazione, l’essenza della mente da nozioni pre-filosofiche, in contraddizione precisamente con la pretesa di aver eseguito un dubbio universale11. Il filosofo aveva risposto con l’argomento che, quand’anche avessimo, prima di aver iniziato seriamente a filosofare, delle opinioni vere, esse sono commiste a così tante altre false - o, almeno, dubbie - che, per secernerle da queste, la cosa migliore è gettarle all’inizio via tutte, ossia rifiutarle assolutamente, così da poter più facilmente, in seguito, riconoscere quali siano vere o trovarne di nuove ed ammettere solo quelle vere; che è fare esattamente la stessa cosa che, per evitare che in un canestro, o in una cesta, piena di frutti, non se ne trovino alcuni andati a male, si debba da principio cominciare col levarli tutti, per poi riprendere solo quelli che si sia accertato non esser guasti12.

L’esempio addotto da Descartes con Bourdin esprime in modo perspiscuo, come dirò oltre, alcuni aspetti essenziali della strategia messa in atto fra la prima e la seconda meditazione; ma, per apprezzarla appieno, è opportuno tenere presente che Bourdin aveva visto senz’altro giusto nel ritenere che, nella seconda meditazione, era proprio da una nozione prefilosofica, quella di ciò che il meditante un tempo credeva di essere, che si prendevano le mosse per individuare la certezza della cogitatio.

A tal fine, Descartes si era infatti impegnato in una descrizione estremamente accurata della nozione pre-filosofica dell’io in possesso del meditante; una nozione che si risolve in ultima istanza, come subito vedremo, in quella di ‘uomo’ e che configura pertanto, all’altezza della II meditazione, quella che potremmo definire una sorta di “antropologia prefilosofica”.

§ 2. Ciò che il meditante credeva un tempo di essere (quidnam me olim esse crediderim), infatti, prima dell’applicazione delle ragioni del dubbio, era di essere un uomo:

Quidnam igitur antehac me esse putavi? Hominem scilicet13.

La domanda che il meditante si pone per rispondere alla domanda ‘chi sono io’ è, dunque, tradotta nella domanda ‘che cos’è un uomo’? Il testo latino, con l’avverbio scilicet, indica un’ovvietà: è ovvio che io sia un uomo. Questo significa che l’affermazione di essere un uomo non costituisce una scoperta del meditante, ma esprime la consapevolezza di un’acquisizione già avvenuta, in un qualche momento. Esprime, sicuramente, un ricordo della memoria. Ma di cosa?

Nel commentare questo luogo, Clauberg rileverà che tale ovvietà esprime il fatto che io ritenga d’essere uomo perché così ricordo e null’altro mai ho pensato di essere:

Hominem utique, sic enim recordor, nec videor aliter de me unquam sensisse, quam quod homo sim humanique nihil a me alienum esse velim14.

Ma, probabilmente, c’è qualcosa di più: il meditante non ricorda, solo, in generale, di essersi sempre ritenuto un uomo. Lo scilicet mi pare suggerire qui un rinvio più puntuale, ad una constatazione già avvenuta; ed infatti vi è un momento preciso in cui, nelle Meditationes, il meditante aveva constatato di essere un uomo. Questo momento coincide precisamente con la formulazione del dubbio del sogno:

Praeclare sane, tanquam non sim homo qui soleam noctu dormire, et eadem omnia in somnis pati, vel etiam interdum minus verisimilia, quam quae isti vigilantes15.

Tanquam non sim homo. Il meditante constata, dunque, di essere ‘uomo’ allorché si accorge di sognare, dischiudendo un’ipotesi alternativa a quella della follia che consenta, almeno altrettanto bene di questa, di paralizzare la certezza nei confronti di ciò che percepisco come grande e vicino, apparentemente sottrattosi al dubbio dei sensi16.

Ma si tratta, anche in questo caso, di un ricordo: Descartes richiama difatti esperienze frequenti di sogni passati (quam frequenter). Questo aspetto consente di comprendere come l’esperienza del meditante si dipani lungo un flusso coscienziale in cui la memoria, seppure mai messa a tema, svolge un ruolo centrale, poiché è ad essa che si deve la messa in campo delle nozioni pre-filosofiche di cui il meditante dispone sin dall’inizio.

Sennonché, nella loro sequenza, i ricordi non sono allo stesso livello. Nel caso della nozione di ‘uomo’, nella I Meditazione, a proposito del dubbio del sogno, abbiamo a che fare con un ricordo che potremmo quasi dire inaugurale (nell’esperienza delle sei Meditazioni): è la prima volta, cioè, che il meditante si ricorda, qui, d’essere uomo. Quando, dunque, nella II Meditazione, il meditante asserisce di essere un uomo, egli non fa altro che ricordare un ricordo.

Ma vi è un’altra differenza capitale fra i due ricordi, che è essenziale alla démarche verso la chiarezza e la distinzione: sul secondo ricordo il meditante sofferma, ora, l’attenzione, isolandolo, e ponendolo come punto di partenza dell’applicazione del dubbio, in quanto “un’uomo” sembra poter essere la risposta giusta alla domanda che apriva la seconda parte della Meditazione: “chi sono io”?

È, questo, un aspetto caratteristico del testo delle Meditationes: buona parte delle nozioni su cui si sofferma l’attenzione del meditante nelle Meditazioni successive alla Meditazione I sono state già avanzate in quest’ultima, ma senza che su di esse venisse rivolta l’attenzione, in quanto generalmente suscitate dal ricordo. Non si tratta, quindi, mai di una scoperta, ma sempre di un atto rammemorativo, il quale, ad un certo punto, si trasforma in una messa a fuoco, sotto il filtro dell’attenzione, di nozioni che, nel momento in cui erano state introdotte per la prima volta, non erano state sottoposte ad alcuna interrogazione semantica. Un esempio tipo di questo procedimento delle Meditazioni è legato al tema della libertà: questo concetto, tematizzato nella IV Meditazione, era stato già introdotto, senza tuttavia essere stato esplicitato, nella I Meditazione, con lo stesso esercizio del dubbio, come dirà in termini espliciti la Sinossi17. Le Meditationes si configurano pertanto come un movimento di messa fuoco, da parte dell’attenzione, di un nucleo di nozioni che preesistevano sin dall’inizio, ma in maniera oscura e confusa in quanto non sottoposte al vaglio dell’attenzione.

Ritengo sia questo il senso più profondo dell’esempio utilizzato da Descartes in risposta alla critica di Bourdin che sopra menzionavo: l’operazione di selezione, all’interno del cesto di mele, è anzitutto una metafora dell’attività della mente il cui gesto fondativo non consiste nel rigettare tutto il sapere pregresso, ma nel soffermare l’attenzione proprio su un aspetto di questo insieme.

In termini cartesiani, questa presa dell’attenzione corrisponde, a mio avviso, alla chiarezza, secondo la definizione retrospettiva dei Principia, che identifica la chiarezza alla caratteristica di quella percezione resa presente alla mente attenta18, cui segue la distinzione, allorché, sempre secondo la medesima definizione, questa medesima percezione viene separata da quant’altro ad essa non compete, di modo che non resti se non ciò che in essa è chiaro19.

Ora, la nozione di ‘uomo’ costituisce un caso paradigmatico - anzi: il caso paradigmatico, in quanto al suo interno si estrapola la prima certezza - di questo movimento che, regredendo da una nozione pre-filosofica, giunge, attraverso l’attenzione e, quindi, la chiarezza, alla distinzione: dentro la nozione pre-filosofica di uomo in cui il meditante ‘scopre’ (eureka) la cogitatio, egli sofferma l’attenzione rendendo tale nozione chiara, poi la separa dalle determinazioni cui è unita nella medesima nozione rendendola distinta.

In questo movimento, la nozione di cogitatio, ricavata da quell’insieme pre-filosofico, viene ad acquisire un nuovo significato, perché prima, quando la consideravo all’interno di tale insieme, la caratterizzavo con ‘parole di cui mi era ignoto il significato’20.

Sarà Descartes stesso, con Elisabetta, introducendo il concetto di nozione primitiva, a rilevare che

[…] toute la science des hommes ne consiste qu’à bien distinguer ces notions, et à n’attribuer chacune d’elles qu’aux choses auxquelles elles appartiennent21.

Questa spiegazione semplifica alquanto, ma rende l’essenziale del procedimento attuato nella II Meditazione, che culmina esattamente in un processo di separazione di nozioni avviluppate inizialmente in uno stato di oscurità e confusione; anzi, consente di identificare proprio nel concetto di uomo la nozione entro cui è data, inizialmente, questa oscurità e confusione e da cui quindi si origina, mediante il procedimento sopra descritto, la progressiva chiarezza e distinzione di quelle che, con Elisabetta, Descartes chiamerà le tre ‘nozioni primitive’ e di cui, quindi, il concetto di uomo costituisce una sorta di un insieme indistinto.

§ 3. Al rilievo per cui il fatto che io sia uomo costituisce un’ovvietà, segue la questione concernente che cosa sia, però, l’uomo:

Sed quid est homo?22

Cosa significa, dunque, essere uomo? Descartes dà qui due caratterizzazioni di uomo.

La prima è quella di ‘animale razionale’, che Descartes introduce, retoricamente, sotto forma di domanda:

Dicamne animal rationale?23

Questa caratterizzazione dell’uomo come animale razionale non è altro che la definizione scolastica, di origine aristotelica, come Descartes rilevava, d’altronde, in modo esplicito nella Recherche: «si mihi, ut vulgo in Scholis fieri solet, responderet, hominem esse animal rationale […]»24.

Tale definizione è scartata nelle Meditationes immediatamente, sulla base dell’argomento che essa pone il problema della definizione dei suoi elementi componenti:

Non, quia postea quaerendum foret quidnam animal sit, et quid rationale, atque ita ex una quaestione in plures difficilioresque delaberer; nec jam mihi tantum otii est, ut illo velim inter istiusmodi subtilitates abuti25.

Il medesimo argomento ricorre, molto più ampiamente, nella Recherche26, che connette la difficoltà qui avanzata ad un elemento tipico della critica di Descartes al procedimento definitorio aristotelico, colpevole di fondarsi su un definiendum più oscuro dello stesso definiens. Il vero motivo, tuttavia, per cui tale definizione non soddisfa Descartes si capirà solo nel momento in cui la II Meditazione terminerà la sua analisi della seconda definizione: il termine ratio, infatti, possiede un significato ancora oscuro, che non potrà essere chiarito sino a quando non si capirà che il pensiero costituisce l’essenza della mente e, quindi (coi i suoi nomi equivalenti - mens, o animus, o intellectus, o appunto ratio), non è, semplicemente, una funzione - la più alta - della mente, ma coincide con essa27.

La seconda caratterizzazione è presentata da Descartes, in contrapposizione alla prima, come risultante spontaneamente e naturalmente, e tale da prodursi prima di considerare cosa io fossi:

Sed hic potius attendam, quid sponte et natura duce cogitationi meae antehac occurrebat, quoties quid essem considerabam28.

Qui l’uomo è descritto come l’insieme di un corpo ed un’anima. Il corpo è caratterizzato come ciò che rimane di me, uomo, dopo la morte e che è suscettibile di essere delimitato da una figura, di essere circoscritto in un luogo, di riempire lo spazio in modo tale da escludere da quest’ultimo ogni altro corpo; di essere percepito col tatto, con la vista, con l’udito, col gusto o con l’odorato, e che, inoltre, è mosso in più modi, non da se stesso, ma da un qualsiasi altro corpo da cui venga toccato, in quanto alla sua natura non appartiene la forza di muovere se stesso, e così pure di sentire, o di pensare. L’anima, in maniera complementare, è considerata, nel suo rapporto al corpo, come il principio delle funzioni motrici e sensoriali e del pensiero.

Scrive Descartes:

Nempe occurrebat primo, me habere vultum, manus, brachia, totamque hanc membrorum machinam, qualis etiam in cadavere cernitur, et quam corporis nomine designabam. Occurrebat praeterea me nutriri, incedere, sentire, et cogitare: quas quidem actiones ad animam referebam29.

Entrambe le caratterizzazioni offerte da Descartes appartengono all’esperienza pre-filosofica dell’uomo: è riferendosi ad entrambe, infatti, che Descartes parla di quidnam me olim esse crediderim, priusquam in has cogitationes incidissem. Sono dunque entrambe pre-filosofiche nel senso in cui precedono l’attività filosofica esercitata dal meditante cartesiano - per dirla così. Sennonché, la seconda è pre-filosofica anche nel senso in cui essa precede la riflessione filosofica in quanto tale, in quanto puramente spontanea e naturale, ciò che non è vero della prima, che è comunque il frutto di un’elaborazione dottrinale, e difatti proviene, come si rilevava, dalla logica aristotelica. Si tratta dunque di una nozione appresa. Rileverà Wittich: «Cum philosophis vulgaribus secundum philosophicam cognitionem, quam ab illis didici»30. Nello scartarla, Descartes osserva, come s’è visto, che essa richiede la definizione previa di altre nozioni.

Abbiamo dunque due nozioni pre-filosofiche dell’anima: a) una non spontanea e non naturale, ma appresa; b) una spontanea e naturale, in quanto costituita in maniera irriflessa. Sarebbe, tuttavia, un grave errore pensare che questa seconda nozione sia priva di ogni connotazione filosofica. Il suo contenuto si sovrappone, in maniera significativa, con la concezione aristotelica dell’uomo come essere composto di anima e corpo ed in cui l’anima è il principio vivificante, animante e pensante. E lo rileveranno, ancora una volta, i commentatori dell’epoca:

Et profecto hæc fere vel huius farinæ est universa cognitio, quam plerique e Philosophis, tam antiquis quam recentioribus Peripateticis et Scolasticis, de animæ essentia se habere profitentur31.

Il fatto è che, per Descartes, la stessa concezione aristotelica è il frutto di questa riflessione spontanea e naturale, di cui la prima costituisce solo un’elaborazione filosofica. Ne risulta che Descartes sostiene qui, seppure implicitamente, una distinzione ben precisa fra la definizione logica di uomo e quella ontologica aristotelica, che pur ritiene derivare entrambe, in ultima istanza, dalla sfera pre-filosofica: solo la seconda prolunga immediatamente una concezione spontanea, mentre la prima è astratta ed appresa.

Senonché, se si ritorna un momento sulla critica cartesiana alla definizione aristotelica di uomo, cercandola di analizzare un po’ più a fondo, ci si accorge che le cose sono un po’ più complesse. Alla lettera, sia nelle Meditationes sia nella Recherche, Descartes dice che la definizione di uomo come animale razionale è inservibile perché ripropone il problema della definizione delle parti componenti. Ma, se si collega questa critica a quella, più generale, portata da Descartes contro le definizioni scolastiche, ovverosia che il definiendum è più noto del definiens32, l’argomento indirizzato contro la definizione aristotelica di uomo quale animale razionale può essere letto anche così: questa definizione non può spiegare cosa è l’ ‘uomo’ perché, in realtà, la nozione di ‘uomo’ è più nota, dunque presupposta; e questa sarà anche l’interpretazione di Schotanus33.

Se le cose stanno così, risulta che è certamente vero che la definizione logica di uomo quale animale razionale è una definizione appresa e, quindi, non immediatamente legata ad una concezione spontanea; ma, indirettamente, deve essere anch’essa, per Descartes, fondata in un’esperienza spontanea, in quanto, in ultima istanza, parassitaria della nozione di uomo che intende spiegare.

§ 4. C’è un altro punto da sottolineare, ancora, che mi sembra decisivo: Descartes è esplicito nel dire, per quel che riguarda la seconda concezione, che essa si presentava spontaneamente e naturalmente (sponte et natura) tutte le volte (quoties) che mi chiedevo che cosa fossi (quid essem).

Questo significa tre cose. In primo luogo, che la domanda ‘che cosa è l’uomo’ è essa stessa una questione spontanea e naturale: una nozione spontanea e naturale risponde, quindi, ad una domanda spontanea e naturale. In secondo luogo, che questo domandare, che è pur sempre interno all’esperienza pre-filosofica, in quanto naturale e spontaneo, si colloca in un secondo stadio, in questo senso avanzato, dell’esperienza filosofica, in quanto effettuato ogni qual volta che (quoties) - dunque non sempre - mi chiedevo cosa fossi. In terzo luogo, che la domanda sul quid sit homo ha la sua origine all’interno della stessa esperienza pre-filosofica, quale suo stadio avanzato.

Questi tre aspetti sono individuabili anche a proposito dell’interrogazione del meditante su quella parte della nozione pre-filosofica di uomo che è l’anima:

Sed quid esset haec anima, vel non advertebam, vel exiguum nescio quid imaginabar, instar venti, vel ignis, vel aetheris, quod crassioribus mei partibus esset infusum34.

In primo luogo, dunque, vi è una comprensione spontanea e naturale non solo dell’uomo, ma anche dell’anima stessa. In secondo luogo, tale comprensione risponde ad una domanda che esprime, all’interno dell’esperienza spontanea e prefilosofica, uno stadio avanzato rispetto al non domandare (vel non advertebam), in cui la domanda sull’essenza dell’anima non è ancora posta35. In terzo luogo, la domanda filosofica sul quid sit anima si origina origine all’interno della stessa esperienza pre-filosofica, ad un livello però avanzato.

Questo livello, in cui sorge la domanda quid sit homo e quid sit anima, è il liminare dell’esperienza filosofica: non ancora domanda filosofica, in quanto spontanea e naturale, non è tuttavia il livello minimale dell’esperienza pre-filosofica, in quanto caratterizzata appunto da un domandare.

Questo domandare è originario, non nel senso che esprima il livello più originario dell’esperienza umana, perché appunto nell’esperienza pre-filosofica non si dà immediatamente, ma nel senso che precede il domandarsi filosofico, il quale, anzi, proprio in esso si radica: la domanda prefilosofica quid sit anima e, prima di essa, quid sit homo, è, si potrebbe dire, il modello stesso del domandarsi, o più precisamente, del domandarsi sull’essenza di qualche cosa; e, in questo senso, è un requisito necessario per lo sviluppo stesso dell’impresa delle Meditationes. Dove ha appreso il meditante a interrogarsi su cosa qualcosa sia, a cominciare dalla domanda ‘chi sono io?’? Qual è l’origine della domanda: ‘chi sono io?’, io che ho scoperto la mia esistenza? Tale origine va rintracciata nella domanda originaria con cui l’uomo della strada, come sappiamo, si chiede: ‘cos’è l’uomo?’, e, poi, ‘cos’è l’anima’?

Per il meditante che ha trovato la prima certezza, mediante la scoperta dell’esistenza dell’io, non è affatto cosa nuova chiedersi che cosa egli sia, perché la domanda sulla propria natura è una domanda molto più antica, che si era posto almeno una volta, allorché si era chiesto: quid sit anima e, prima di essa, quid sit homo.

Ma, allora, la domanda cos’è l’uomo, che precede la stessa domanda cos’è l’anima, costituisce il modello stesso del domandarsi filosofico sul quid sit.

1Meditationes, II, AT VII 25, B Op I 714.

2Meditationes, II, AT VII 25-27, B Op I 714-716.

3Meditationes, II, AT VII 27-28, B Op I 716-718.

4Meditationes, II, AT VII 28-29, B Op I 718-720.

5Meditationes, III, AT VII 35, B Op I 724.

6Cfr., in particolare, Meditationes, II, AT VII 27, B Op I 716: «Fortassis vero contingit, ut haec ipsa, quae suppono nihil esse, quia mihi sunt ignota, tamen in rei veritate non differant ab eo me quem novi? Nescio, de hac re jam non disputo; de iis tantum quae mihi nota sunt, judicium ferre possum».

7Meditationes, VI, AT VII 78, B Op I 760. Cfr. la precisazione delle Secundae responsiones, AT VII 131, B Op I 854-856; che poi diverrà canonica, nel ciclo delle Responsiones (ma, sulla sua problematicità, cfr. S. Landucci, La mente in Cartesio, Milano, Angeli, 2002, p. 92 ss.).

8Cf. J. Clauberg, Paraphrasis in Renati Des Cartes Meditationes de prima philosophia […], A. Wyngaerden, Duisburgi ad Rhenum, 1660, poi in Opera omnia philosophica, P. et I. Blaev, Amstelodami, 1691 (rist. anast.: 2 voll., Olms, Hildesheim, 1968), pp. 341-490: 369: «Non equidem, ut eadem omnia veluti per additionem in unam summam collecta, de me adhuc credam, quae olim [...] verum ut nova instituta recensione novoque et accurato examine singulis denuo lustratis, quasi per subductionem a dubiis certa sejungam».

9Meditationes, VI, AT VII 25, B Op I 714.

10Sulla distinzione fra dubbio e negazione, rinvio a H. Gouhier, La pensée métaphysique de Descartes, Paris, Vrin, 1962, p. 23-31, senza assumere tutti i dettagli dell’indagine di Gouhier, ma accogliendone tuttavia questa distinzione fondamentale.

11Objectiones VII, AT VII 479, B Op I 1284: «Vis consulam quem me olim esse crediderim? Vis resumam centonem illum veterem et detritum, et jam diu abdicatum, “Sum homo”? Quid, si Pythagoras, aut ex discipulis illius unus aliquis, hic adsit? Quid, si dicat tibi, fuisse se olim gallum gallinaceum?».

12Responsiones VII, AT VII 512, B Op I 1330.

13Meditationes, II, AT VII 25, B Op I 714.

14Clauberg, Op. cit., p. 369.

15Meditationes, I, AT VII 19, B Op I 704.

16Meditationes, I, AT VII 19, B Op I 704.

17Meditationes, Synopsis, AT VII 12, B Op I 694: «In secunda, mens quae, propria libertate utens, supponit».

18Principia, I, art. 45 (c. vo mio), AT VIII-1 22, B Op I 1740: «Claram voco illam, quae menti attendenti praesens et aperta est: sicut ea clare a nobis videri dicimus, quae, oculo intuenti praesentia, satis fortiter et aperte illum movent».

19Principia, I, art. 45 (c. vo mio), AT VIII-1 22, B Op I 1740: «Distinctam autem illam, quae, cum clara sit, ab omnibus aliis ita sejuncta est et praecisa, ut nihil plane aliud, quam quod clarum est, in se contineat».

20Meditationes, II, AT VII 27, B Op I 716.

21Descartes à Elisabeth, 21 maggio 1643, AT III 666, B 392, p. 1748.

22Meditationes, II, AT VII 25, B Op I 714.

23Meditationes, II, AT VII 25, B Op I 714.

24Recherche de la vérité, AT X 515, B Op II 850. Così leggeranno anche i suoi commentatori, d’altronde. Cfr., ad esempio, Schotanus, Analysis exegeticam in primam et secundam meditationem R. Cartesii […], Franequeræ, J. Gyselaar, 1687, p. 176: « […] definitione in scholis recepta […] recepta illa Logicorum definitione».

25Meditationes, II, AT VII 25, B Op I 714.

26Recherche de la vérité, AT X 515-516, B Op I 850.

27Meditationes, II, AT VII 27, B Op I 716.

28Meditationes, II, AT VII 25-26, B Op I 714.

29Meditationes, II, AT VII 25-26, B Op I 714.

30Wittich, Annotationes ad Renati-Descartes Meditationes […], C. et T. Gori, Dordrecht, 1688, p. 35.

31Schotanus, Op. cit., p. 188.

32Cfr. la critica, più volte ripetuta, contro la definizione aristotelica del movimento, ad esempio in à Mersenne, 16 octobre 1639, AT II 597, B 222, p. 1060: «[…] lorsqu’on veut définir ces choses, on les obscurcit et on s’embarrasse. Car, par exemple, celui qui se promène dans une salle, fait bien mieux entendre ce que c’est que le mouvement, que ne fait celui qui dit: est actus entis in potentia prout in potentia, et ainsi des autres».

33Schotanus, Op. cit., p. 176: «Ipsa enim vox homo longe notiot est, quam definitio, animal rationale. Saepe enim observamus Philosophos in hos errare, quod dum ea quae simplicissima sunt et per se nota, Logicis definitionibus explicare allaborent, atque ita obscuriora reddant; quod sane in Hominis definitione evenit».

34Meditationes, II, AT VII 26, B Op I 714.

35Senz’altro perché legata ad una riflessione sulla natura dell’io più complessa, che si innalza dal senso all’immaginazione, la quale, secondo il portatore del sapere pregresso ancora immerso nei pregiudizi, costituisce la facoltà propria della conoscenza dell’anima, in quanto parte più intima di me inaccessibile ai sensi. Si comprende così l’essenzialità dell’operazione, compiuta da Descartes, di neutralizzazione dell’immaginazione all’altezza della II Meditazione, dove la battaglia da combattere non è contro i sensi, ma contro l’immaginare (AT VII 27, 18-28, 19, B Op I 716): mi permetto di rinviare, su questo aspetto, al mio saggio su Le rêve entre Meditatio I et Meditatio III, di prossima pubblicazione, in Mirabilis scientiae fundamenta. Neuburg 1619 : les commencements de la philosophie cartésienne, éd. par Dan Arbib, Vincent Carraud, Edouard Mehl, Walter Schweidler, Eichstätter Philosophische Beiträge (Karl Alber Verlag), 2021.

Received: November 17, 2020; Accepted: December 30, 2020

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