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Childhood & Philosophy

versão impressa ISSN 2525-5061versão On-line ISSN 1984-5987

child.philo vol.15  Rio de Janeiro jan. 2019  Epub 29-Abr-2019

https://doi.org/10.12957/childphilo.2019.39310 

Resenhas

matthew lipman, l’impegno di una vita: insegnare a pensare, mimesis, milano-udine 2018.

Cristina RebuffoI 

IMinistero Dell'istruzione, Dell'università e Della Ricerca, Italia - E-mail: rebuffocristina@gmail.com

Lipman, Matthew. l’impegno di una vita: insegnare a pensare. Undine, Milano: Mimesis, 2018.


«L’obiettivo che mi sono proposto con questo libro non era di scrivere la consueta autobiografia nella quale venisse rivelata per intero l’esistenza - professionale e privata - dell’autore. Mi premeva, piuttosto, realizzare un’opera in cui il lettore potesse trovare argomenti di interesse comune e, nello specifico, i passaggi cruciali nella storia della Philosophy for Children»1. Così un ormai anziano e malato Matthew Lipman conclude il racconto della propria vita; una vita in gran parte spesa per l’ideazione e l’insegnamento di quella che può essere, a pieno titolo, definita una delle esperienze pedagogiche più rivoluzionarie del Novecento.

Questa attesa edizione italiana, realizzata grazie al prezioso lavoro di traduzione curato da Roberto Franzini Tibaldeo e Marta Cai, offre un contributo enorme per quanti vogliano addentrarsi nello studio della proposta lipmaniana, che, come riportato dalle parole dello stesso autore più sopra citate, è la vera protagonista del testo. Non un’autobiografia in senso classico, dunque, quanto una narrazione fenomenologica, un racconto di formazione in cui un giovane nato a Vineland (New Jersey), «in un ospedale che prevedeva ancora per le puerpere un periodo di degenza a letto dopo il parto», e cresciuto nel villaggio di Woodbine, che «sulla carta distava meno di 300 km da New York» ma «di fatto le era lontana anni luce», si allontana a poco a poco dalla provincia americana per scontrarsi con il mondo drammaticamente reale, quello della «Strana guerra» che la Germania si apprestava a intraprendere nel 1939, e nella quale il giovane Matthew avrebbe militato sotto il comando del generale Patch, per poi tornare in madrepatria e intraprendere il suo percorso filosofico che lo avrebbe infine condotto all’ideazione del curricolo della Philosophy for Children, sintesi dialettica della sua intera vita.

Una vita curiosa e avventurosa, quella del giovane Lipman, che fin da ragazzo si dichiara affascinato dalla filosofia - «il mio elemento naturale» - a proposito dei cui obiettivi e strumenti non ha certo le idee molto chiare ma che gli consente di comprendere che «ciò che mi interessava era riflettere sul pensiero»; una disciplina che tuttavia l’autore approccia prediligendo la pratica alla teoria, mosso probabilmente pure dall’influenza della vita di provincia e dalla figura paterna: «il mondo di strumenti, macchinari e motori in cui mio padre amava passare il tempo ebbe su di me un effetto duraturo senza che me ne accorgessi: favorì cioè la mia preferenza per un mondo di sani principi pratici, anziché per la teoria, da me considerata vuota e sterile». Partendo da tale presupposto è forse più semplice comprendere il grande fascino suscitato su di lui da Dewey, un pensatore che, come ricorda lo stesso Lipman, tendeva a enfatizzare questo connubio tra teoria e prassi fino a definire la propria posizione teorica “sperimentalista”.

Il viaggio, dunque, che sembra condurre Matthew Lipman sulla via dello sviluppo della Philosophy for Children, parte da lontano: da bambino egli comprende la necessità del fare filosofia a dispetto dell’assenza totale di formazione filosofica in famiglia e a scuola; in adolescenza segue, poi, il desiderio di approfondire lo studio dei classici della tradizione occidentale, individui «così abili nell’arte del pensiero da poter essere considerati “grandi pensatori”»; di ritorno dalla guerra finalmente come studente della Columbia University a New York, contesto nel quale vive l’opportunità di individuare gli aspetti della disciplina che maggiormente lo colpivano, dalla possibilità di sfruttare le potenzialità del ragionamento e della logica per implementare il livello linguistico di una conversazione, all’acquisizione di criteri di giudizio, alla possibilità di ottenere strumenti di comprensione del mondo e del reale. Certo, sarà tuttavia l’esperienza dell’insegnamento universitario a costituire la chiave di volta nella carriera filosofica di Lipman, dal difficoltoso ma stimolante incarico newyorchese, durante il quale inizia a sperimentare l’efficacia della lezione strutturata in termini di esperienza di ricerca, al trasferimento presso il Montclaire State College accompagnato dalla moglie Wynona, insegnante di sostegno prima e senatrice poi. Fu effettivamente una conversazione intrattenuta con Wynona, probabilmente, a generare il nucleo di quella che sarebbe diventata la futura Philosophy for Children: «le era stato affidato uno studente di scuola secondaria che non riusciva a studiare, anche se dava l’impressione di impegnarsi parecchio. Era incapace di svolgere i compiti di lettura che gli venivano assegnati. Wynona mi chiese se avessi qualche suggerimento da darle, e così battei a macchina alcuni esercizi tratti dal volume di Beardsley intitolato Practical Logic, e le dissi di leggerglieli e poi di discuterli insieme a lui. Mi disse che la cosa aveva funzionato benissimo, anche se nessuno di noi due sapeva perché». Quel che tuttavia intuisce Lipman fin dalla formulazione di quel suggerimento è l’importanza della discussione nella pratica dell’insegnamento, e dunque la necessità di considerare una classe di studenti alla stregua di una comunità di ricerca libera, una comunità in cui i ragazzi e i bambini avessero la possibilità di pensare con la propria testa. Di qui la consapevolezza che l’obiettivo della sua esperienza filosofica sarebbe dovuto diventare la creazione di un metodo di insegnamento/apprendimento radicalmente differente rispetto a quello tradizionale; un metodo, insomma, che sapesse «produrre cambiamenti educativi più profondi e complessi, in grado di incidere tanto sugli studenti universitari di domani, quanto sugli insegnanti di domani […] Un’educazione che rendesse i bambini più ragionevoli e maggiormente in grado di esercitare una buona capacità di giudizio». Questo nuovo sistema didattico che andava abbozzandosi nella mente di Matthew Lipman era dunque tutto incentrato sull’atto del pensare insieme, piuttosto che sull’implementazione dell’abilità di memorizzazione di concetti, laddove questo processo di pensiero comunitario avrebbe condotto i ragazzi a formarsi opinioni e giudizi che avrebbero contribuito alla crescita di cittadini ragionevoli e partecipi attivamente del mondo e del reale; la nascente Philosophy for Children assomigliava dunque sempre più a una disciplina filosofica sulla quale far reggere l’arduo compito di (ri)pensare i valori della civiltà postmoderna americana, sottoponendoli a un’attenta indagine critica di comunità.

Furono due avvenimenti, in particolare, a rendere possibile l’avvio della proposta lipmaniana: innanzitutto, l’apertura dello IAPC (Institute for the Advancement of Philosophy for Children) da parte del Montclair State College; in secondo luogo, il fondamentale incontro con la giovane professoressa di Pedagogia Ann Margaret Sharp: «il suo apporto fu di vitale importanza, poiché c’era assoluto bisogno di unire il punto di vista dell’educazione con quello della filosofia». Sarebbe estremamente riduttivo considerare Sharp come assistente o collaboratrice-ombra o come allieva; il suo apporto, ricorda Lipman, è stato indispensabile per la nascita del curricolo della Philosophy for Children, frutto del lavoro combinato e integrato dei due: «io ero solito dettare e Ann batteva a macchina, ma se non era d’accordo su come formulavo i pensieri o se aveva un’idea migliore, era solita interrompermi cosicché potessimo discutere e chiarire la faccenda, ed eventualmente correggerla». Ma soprattutto, la presenza della pedagogista fu fondamentale per la diffusione della disciplina e per la formazione degli insegnanti, a partire dal 1975: «Ann si rivelò una formidabile formatrice di insegnanti, così come un’insegnante incredibilmente incisiva. Devo dire che imparai molto da lei, specie riguardo alla capacità di parlare con semplicità e in modo chiaro ai propri allievi, non importa a quale livello educativo questi si trovassero».

Ed ecco che a partire dagli anni Ottanta la creatura di Lipman e Sharp sarebbe stata matura abbastanza per abbandonare la dimensione locale dello IAPC e per diffondersi nel mondo, a cominciare dalle «nazioni più giovani e di recente formazione, che sono più impegnate nella ricerca della propria identità», come quelle dell’America latina, dell’Africa e del Medio Oriente, dove - report alla mano - questa pratica si rivelava efficace nella discussione critica e analitica del passato più o meno recente delle comunità spesso abbraccianti il modello politico democratico per la prima volta. Parallelamente a questa diffusione geografica, la Philosophy for Children iniziava così pure ad andare incontro alle sue evoluzioni e alle sue applicazioni più disparate, tuttora oggetto di ricerca in tutto il mondo.

A quattro decenni di distanza dalla prima elaborazione embrionale di questo grande progetto pedagogico, il vecchio e malato Matthew Lipman scrive dunque questo libro, denso dal punto di vista biografico e filosofico, colmo di soddisfazione per la scelta radicale, compiuta molti anni prima, di portare avanti un progetto filosofico ed educativo capace di adattarsi ai cambiamenti politici, sociali e culturali in maniera quasi inaspettata. Quasi, scriviamo, perché dalle pagine di questa autobiografia, trasudano costantemente l’amore, la passione e una fiducia smisurata nei confronti delle potenzialità della filosofia nel contribuire alla costruzione di un mondo migliore e più ragionevole, un mondo in cui bambini e adulti possano incontrarsi per costituire una grande comunità di ricerca attiva e libera, dove il pensiero possa conservare la propria onestà e integrità.

referências

M. Lipman, L’impegno di una vita: insegnare a pensare, Mimesis, Milano-Udine 2018, p. 244 [ Links ]

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