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Conjectura: Filosofia e Educação

versão impressa ISSN 0103-1457versão On-line ISSN 2178-4612

Conjectura: filos. e Educ. vol.23 no.spe2 Caxias do Sul  2018  Epub 29-Ago-2019

https://doi.org/10.18226/21784612.v23.especial.2 

Dossiê Educação, Ética e Religião

La caccia alle streghe

A caça às bruxas

Silvio Silvi* 

*Mestre em Filosofia pela Università degli Studi di Milano – Itália. : silvio.silvi@tiscali.it


ABSTRACT

Riassunto

Tra il 1450 ed il 1750, in Europa e nelle sue colonie, migliaia di donne, ma non solo, vennero processate per il reato di stregoneria. L’accusa si basava su dicerie diffuse e spesso accreditate dalla cattiva fama degli accusati. Sarebbe riduttivo attribuirne la responsabilità ad un complesso di credenze frutto di un disordine mentale generalizzato. La caccia alle streghe è stata un combinato di interventi precisi e razionalizzati tesi a costruire lo spettro del mostro demoniaco. Il tribunale inquisitorio, formalmente ineccepibile, per la ricerca crimine exceptum si trasformò in un meccanismo infernale: un ingranaggio che produceva colpevoli. In pochi accorsero di quanto stava accadendo. I più dotti misero a disposizione la loro dottrina per sostenere culturalmente carnefici, ma ci fu un piccolo gregge che non si fece coinvolgere in questa ubriacatura. Di questa schiera, non folta ma intellettualmente agguerrita, emotivamente partecipe e coinvolta, faceva parte un confessore di streghe: il gesuita tedesco Friedrich von Spee (1591-1635). Riscoprire il suo pensiero, la sua dottrina, il suo impegno e la sua vita significa compiere un’opera di doverosa riparazione ad un ingiustificato oblio, ma anche contribuire, con nuovi elementi, al dibattito sul ruolo della Chiesa Cattolica nella “caccia alle streghe”.

Parole-chiavi:  Streghe; von Spee; Esoterismo

RESUMO

Resumo

Entre 1450 e 1750, na Europa e nas suas colônias, milhares de mulheres, mas não só, foram processadas pelo crime de bruxaria. A acusação se baseava em fofocas difundidas e muitas vezes acreditadas pela má-fama dos acusados. Seria redutivo atribuir toda a responsabilidade a um complexo de crenças fruto de uma desordem mental generalizada. A caça às bruxas foi uma combinação de intervenções precisas e racionalizadas a qual objetivava construir o espectro de monstro demoníaco. O tribunal inquisitório, formalmente obstinado, na busca do crimine exceptum se transformou em um mecanismo infernal: uma engrenagem que produzia culpados. Poucos se deram conta do que estava acontecendo. Os mais doutos puseram à disposição a sua doutrina para sustentar culturalmente carnífices, mas houve um pequeno rebanho que não se deixou envolver nesta embriaguez. Entre estes se encontrava um confessor de bruxas: o jesuíta alemão Friedrich von Spee (1591-1635). R edescobrir o seu pensamento, a sua doutrina, o seu empenho e a sua vida significa realizar uma obra obrigatória de reparação a um injustificado esquecimento, mas também contribuir, com novos elementos, ao debate sobre o papel da Igreja Católica na “caça às bruxas”.

Palavras-chave:  Bruxas; von Spee; Exoterismo

La “caccia alle streghe” è, forse, uno degli argomenti storici più indagato dagli studiosi e, per la sua complessità e per la particolare interazione che ha avuto con il vivere sociale, culturale, economico, presenta molti aspetti che meritano un ulteriore approfondimento.

Numerosi sono gli autori che hanno indagato sulle origini della caccia in Europa.

Solo nell’area di lingua tedesca, lo storico tedesco W. Behringer, nella introduzione al suo volume Le streghe1 afferma che sono circa trecento le dissertazioni sulle streghe e sulle argomentazioni connesse alla loro credenza pubblicate negli ultimi cento anni. Questi studi hanno coinvolto diverse discipline: la storia, il diritto, la teologia, l’antropologia, l’etnologia e diverse altre. Per la complessità e vastità del tema, in modo sommario, verranno citati solo alcuni autori per indagare sulle origini della caccia alle streghe, rimandando l’approfondimento ad altre letture.

Per oltre tre secoli, dalla metà dal 1500 agli inizi del 1700, vagabondi, poveri e diseredati di vaste zone del vecchio continente vissero sotto l’incubo di essere brutalmente svegliati nel cuore della notte, tradotti in carceri maleodoranti, torturati più volte e, alla fine di un percorso di dolore, arsi sul rogo dopo un sommario giudizio di condanna.

Maschi e femmine, l’accusa era per tutti una e terribile: l’aver “tenuto commercio con il diavolo”, l’aver siglato con lui un patto scellerato, giurandogli fedeltà assoluta in cambio di poteri soprannaturali usati per perseguire il male, creando nuovi accoliti per il gran circo di Satana, accrescendo le sue già numerose schiere.

Nessuno degli accusatori, e questo appare chiaro dalle loro testimonianze processuali verbalizzate, seppe mai spiegare come mai quei diseredati non si fossero mai serviti dei presunti poteri soprannaturali loro trasmessi ed attribuiti per un millantato “commercio col maligno”, anche solo per sfuggire alla propria mala sorte! Ma tant’è!

Le prove erano, per lo più, inesistenti e risibili: – il marchio diabolico in una parte nascosta del corpo, – una zona insensibile alla puntura dell’ago dell’inquisitore per ore di tortura che avevano fiaccato il corpo del perseguitato rendendolo non più reattivo a qualsivoglia sollecitazione, – la delazione di parenti, vicini o presunte “vittime” del maleficio, pronti a prendere per manifestazione diabolica ogni sventura quotidiana; – la fama di far commercio col diavolo perché si era un po’ più fortunate e un po’ più belle o, al contrario, troppo brutte.

Pochi elementi erano sufficienti a creare la perfida strega, a denunciarla alle autorità, che sostanziavano l’accusa con ulteriori prove estorte sotto ripetute torture.

Il tribunale inquisitorio, formalmente ineccepibile nella ricerca del crimen exceptum (crimine eccezionale, così era considerato il reato di stregoneria), si trasformò in un meccanismo infernale, un ingranaggio che produceva i colpevoli, molto spesso, per l’autoriproduzione degli stessi in seguito a torture inimmaginabili e, con questi, riproduceva sé stesso.

In realtà, gli studi su quella che, più opportunamente, viene definita “caccia alle streghe” hanno messo in evidenza come la repressione sia stata il prodotto di un insieme di fattori, la combinazione di interventi precisi e del tutto razionali, tesi a costruire l’ossessione demoniaca per farne l’oggetto di un attacco in grande stile, che andava a colpire soprattutto i ceti più deboli e marginali. Sarebbe difficile spiegare altrimenti la profondità e le dimensioni di questa offensiva, la sua diffusione spaziale e, soprattutto, il fatto che si sia sviluppata tanto repentinamente e altrettanto repentinamente si sia affievolita fino a scomparire.

Quel che stupisce, in effetti, è il rapido mutare del sentimento collettivo nei confronti di un insieme di pratiche e di credenze variamente definibili come magia, stregoneria, “esoterismo”. Si passò da un atteggiamento di “partecipata tolleranza”, alla persecuzione cieca e ossessiva.

Uno sguardo alla letteratura dell’età rinascimentale con la sua visione sostanzialmente grottesca della magia e dell’incantesimo, rende conto della precedente asserzione, palesando il distacco dal successivo periodo controriformistico.

Jacob Burckhardt,2 attento studioso del Rinascimento italiano, soffermandosi su Il Negromante dell’Ariosto, suggeriva come la categoria dei negromanti venisse messa in ridicolo dai novellieri italiani che certamente testimoniavano in questo modo di un sentimento diffuso fra il pubblico dei lettori, di un atteggiamento disincantato che coinvolgeva tutti i ceti cittadini, non solo i più colti.

Del resto, già in precedenza uno dei massimi esponenti della letteratura italiana del Trecento, Giovanni Boccaccio, aveva costruito l’intreccio di diverse novelle del Decamerone sul rovesciamento dell’incantesimo in farsa,3 e con lui molti altri autori, non certo minori. Basti pensare a Pulci, Firenzuola, Bracciolini, per non citare che i più noti.

Pur nella varietà e nella ricchezza inventiva, un filo rosso unisce gli intrecci di questi autori: la necessità di individuare sotto il demoniaco e il soprannaturale le manifestazioni di una concretezza che ha tutte le caratteristiche della carnalità, dell’erotismo crasso.

Voce particolare e di rilievo fu quella di Annibal Caro4 che intuì come la nascente stampa avrebbe contribuito ad amplificare la tendenza popolare a credere nel maleficio, nell’incantesimo, alimentando l’ossessione del demoniaco, là dove c’era solo l’azione della natura. L’attualità della preoccupazione di Annibal Caro à sottolineata in un articolo di Maurizio Cecchetti pubblicato sul quotidiano Avvenire il 29 luglio 2017 “E’ il caso tipico ‘virale’, che contagia i frequentatori dei social su internet creando epidemie con le fake news. Il problema, diceva Chesterton, non è che oggi la gente non crede più a niente, ma che crede a tutto.”5

Giordano Bruno,6 che si richiamava al valore antico dell’ermetismo esoterico, rifiutava di svilire le pratiche magiche in quella caricatura del soprannaturale che ne andavano facendo i demonologi, attribuendo l’abbandono di quell’antica sapienza all’ascesa del culto dell’oro, una nuova divinità che “può tutto e governa il mondo”. Bruno annunciava così la nuova epoca, nella quale il freddo oro dei mercanti, il denaro, avrebbe sostituito l’oro magico della pietra filosofale. Scrive in proposito Luciano Parinetto:

Che cos’è la magia dei vecchi maghi del medioevo e dell’ermetismo umanistico-rinascimentale? Che cosa le arti casalinghe delle vecchie e miserabili streghe in confronto allo splendore della sua magia? “Incanti e contanti” riecheggerà con potente sintesi, il Giordano Bruno de Il candelaio, formulando, lui, mago, la dissacrazione finale della vecchia magia.7

Si stabiliva così un parallelo fra la crescita della società mercantile e la caduta nel baratro della magia silvanica di streghe e maghi.

Molteplici sono state le interpretazioni delle cause che hanno portato a quella che è stata definita come una sorta di follia collettiva che imperversò l’Europa e le Colonie fra il XVI e il XVIII secolo.

Scrive Giorgio Galli, nella prefazione al libro Streghe e politica di Luciano Parinetto:

La ‘stregoneria’ irrisa o tollerata come fatto marginale fino al 1200, viene in seguito perseguitata e distrutta con una durezza che è diventata emblematica per lo stesso linguaggio politico successivo: tanto che si parla di ‘caccia alle streghe’ allorché si progetta o si sviluppa una iniziativa politica di segno autoritario.

Studi abbastanza recenti vedono la magia come antichissima tradizione culturale minoritaria delle streghe che riforma protestante e controriforma cattolica vorranno debellare. Scrive sempre Giorgio Galli nell’opera citata:

La spinta iniziale del processo di rinnovamento della cristianità occidentale – la Riforma attuata dopo mezzo millennio di riforme mancate – fu possibile sul doppio versante (protestante e cattolico) per rispondere ad una nuova sfida: quella di una cultura alternativa nella quale era forte l’elemento magico che accumunava (in senso lato) “povere streghe” e “maghi rinascimentali” in quello che in termini odierni possiamo definire “movimento” e che costituiva un pericolo per la cultura consolidata nelle “istituzioni”.

Un’altra tesi sostiene che le guerre di religione, legittimando posizioni diverse e tolleranti, pongono alcune premesse culturali della moderna democrazia rappresentativa, una cultura che sta per diventare egemone e che deve soppiantare quella vecchia dei maghi e delle streghe. Una tesi suggestiva è quella di Luciano Parinetto che, ancora, nell’opera citata, sostiene che la

rottura tra tolleranza e persecuzione si spiega con la necessità di eliminare i ‘poveri’ (e le streghe erano anche espressione, come viene documentato nel suo testo, del mondo della povertà), per costruire una cultura omogenea all’etica capitalistica del lavoro, della produzione, del mercato, del consumo che stava nascendo in quel periodo.

Brian P. Levack, nell’introduzione al suo libro La caccia alle streghe in Europa (Ed. Laterza, 2008), sottolinea che

nel secolo scorso la responsabilità della caccia alle streghe è stata attribuita totalmente o in gran parte alla Riforma, alla Controriforma, all’Inquisizione, all’uso della tortura nel processo, alle guerre di religione, allo zelo religioso del clero, ad una serie di crisi nell’agricoltura e carestie, alla nascita dello Stato moderno, allo sviluppo del capitalismo, alla diffusione dell’uso di droghe, a mutamenti nel pensiero medico, a conflitti sociali e culturali, ad un tentativo di spezzare via gli ultimi residui di paganesimo, alla necessità della classe dominante di distrarre le masse, all’opposizione al controllo delle nascite, alla diffusione della sifilide, all’odio per le donne.

L’autore non appoggia nessuna delle suddette spiegazioni onnicomprensive, ma sottolinea come condizioni per la nascita della caccia alle streghe siano stati una serie di cambiamenti nel diritto penale accanto a cause più immediate, quali il mutare del contesto religioso e situazioni di tensione sociale.

La grande caccia alle streghe in Europa fu, essenzialmente, una operazione giudiziaria. Tutto il processo di scoperta ed eliminazione delle streghe – dalla denuncia alla punizione – si svolgeva di solito nell’ambito giudiziario. Anche quando le streghe si toglievano la vita, lo facevano allo scopo di sottrarsi a un processo spesso raccapricciante e apparentemente inevitabile. [...] L’elevato numero di processi alle streghe in Europa all’inizio dell’Età moderna fu favorito da una serie di innovazioni giuridiche introdotte fra il XIII e il XVI secolo.8

Fra queste innovazioni la principale fu l’inaugurazione del sistema inquisitorio9 sia nei tribunali ecclesiastici, che in quelli secolari che, se spinse alla continua ricerca di criteri procedurali non esenti da preoccupazione di ordine garantistico, di fatto si tradusse nell’impiego di strumenti come la tortura che non offrivano alcuna tutela all’imputato, innocente o colpevole che fosse. Così la laboriosa e maniacale ricerca delle prove finiva per essere, per il sospettato, una garanzia sul dettaglio, sul rispetto della pura formalità che non incideva, se non in negativo, sulla sostanza di una procedura straordinaria che vanificava qualsiasi aspirazione di natura garantistica.

Di questa procedura perno fondamentale era la tortura giudiziaria che interveniva non già per punire il colpevole condannato, bensì per estorcergli la confessione con mezzi tanto atroci da spingere gli inquisiti a inventarsi fantasiose colpe pur di sospendere, anche per un attimo, lo strazio del corpo. Così il limite fra innocenza e colpevolezza veniva varcato a suon di tormenti anche se proprio il rischio che un innocente potesse essere ingiustamente condannato aveva spinto la Chiesa, prima del XIII secolo, a proibire l’applicazione della tortura nei propri tribunali.10

La tortura venne reintrodotta nel XV secolo e molti innocenti ne rimasero vittime, suscitando l’orrore di autori cattolici e protestanti, fra i quali il teologo gesuita Adam Tanner (1572-1632) che, nel suo Universalis theologia scholastica,11 avvertiva dei rischi insiti in una pratica procedurale che poteva coinvolgere intollerabilmente degli innocenti, magari solo sulla base della chiamata in correo d’un reo confesso sottoposto a tortura.12

Le basi giuridiche su cui si costruirono i processi di stregoneria necessitavano di un supporto ideologico e questo fu offerto dalle “teorie demonologiche” che presero le mosse dalla pubblicazione di due atti fondamentali: la Bolla di Innocenzo VIII Summis Desiderantes Affectibus del 1484, e il Malleus maleficarum, pubblicato nel 1486 dai domenicani Jakob Sprenger e Heinrich Institoris (von Kramer). Fra i due documenti vi è una contiguità e non solo ideale poiché la Bolla papale, deplorando la diffusione della stregoneria in Germania, autorizzava i due inquisitori ad agire direttamente per sradicarla. Così il “Martello delle streghe” (Malleus maleficarum) ebbe la funzione di tradurre in pratica quanto la Bolla papale suggeriva, istituendo una sorta di compendio universale di demonologia che ebbe la funzione di dare una veste istituzionale e “razionale” alla persecuzione delle streghe, codificandola in forma scritta. Non va nemmeno sottaciuto che furono gli stessi, Sprenger e Institoris, a sollecitare al Papa l’emanazione della Bolla poiché

volevano avere un avallo alla loro decisione di scatenare la persecuzione contro la stregoneria in Renania: avendo ottenuta la bolla, la stamparono nel loro libro, come se questo fosse stato scritto proprio per ottemperare alla volontà del documento pontificio. L’opera, quindi, annunciò a tutta Europa tanto l’esistenza della nuova epidemia di stregoneria, quanto l’autorità concessa ai due autori di distruggerla.13

Quelle che erano state soltanto fantasie del popolino vennero riconosciute, da questo momento in poi, come verità ufficiali ed impegnarono autorità ecclesiastiche e secolari in una laboriosa, e spesso sofferta, opera volta a stanare gli adepti del maligno. Del resto la caccia alle streghe era già iniziata, soprattutto nelle regioni montane, prima della pubblicazione del Malleus, che non fece altro che renderla universale, offrendole un supporto ideologico formidabile.

Pochi di coloro che ebbero a che fare con tale crimen, dalla parte degli inquisitori, si accorsero di quanto stava accadendo. I più misero a disposizione la loro dotta formazione per realizzare tomi onerosi atti a dissezionare pazientemente la materia diabolica e a fornire segni, indizi, prove e controprove della possessione demoniaca a principi e giudici che si fecero braccio secolare della persecuzione.

Di che cosa venivano precisamente accusati le donne, e, in minor misura, gli uomini imputati di stregoneria?

I numerosi trattati di demonologia, che comparvero in corrispondenza con la caccia alle streghe, offrono un repertorio vastissimo, una casistica minuziosa ricavata dalle confessioni processuali; ma ci sono anche testimonianze dei primi Padri della Chiesa, soprattutto i Padri del deserto e i loro agiografi, testimoni dell’incessante lotta contro i demoni. È a loro che si deve una prima analisi dei poteri demoniaci, alla quale altre faranno seguito – fino a costruire un repertorio tanto articolato da richiedere una suddivisione in “filoni” argomentativi – a partire da Agostino di Ippona che con il suo De divinatione daemonum,14 che riprende, a sua volta, e integrandolo, il Contra Celsum di Origene,15 finiva per attribuire, per primo, al diavolo una identità cristiana.

È attraverso la divinazione, – scrive Franco Cardini nell’introduzione al De divinatione daemonum – come attraverso il sogno – che del resto può costituire una tecnica divinatoria – che i demoni s’insinuano nell’animo dell’uomo per disorientarlo e tentarlo. Pur non avendo nè il potere di creare – che solo al Creatore appartiene – nè la capacità di signoreggiare totalmente la natura, essi possono giovarsi della loro intelligenza angelica, della loro grande sapienza e del loro corpo “etereo” che conferisce loro velocità, mobilità e sottigliezza per ingannare l’uomo con i prodigi, visioni e naturalmente anche “predizioni” basate sempre sulla frode indipendentemente dalla sostanza letterale di ciascuna di esse (che incidentalmente può anche apparire esatta, sempre però per un fine malvagio).

Una volta stabilito il legame fra divinazione, e dunque magia, e demonio, era agevole costruire un universo pervaso ossessivamente dall’azione diabolica nelle sue innumerevoli manifestazioni, delle quali i demonologi si sforzarono di dare un resoconto il più completo.

Le costanti che è possibile rinvenire nei diversi compendi demonomachiachi, si muovono attorno a tre filoni principali:

    a. in primo luogo, l’apostasia dalla vera fede, con conseguente passaggio nel numero degli adepti del diavolo che può avvenire attraverso varie modalità sacrileghe, generalmente sulla spinta di seduzioni di diverso ordine e grado, da quelle sessuali a quelle goderecce del banchetto che si contrappone alla precarietà di un’esistenza grama, fino alla soddisfazione di desideri di vendetta, di benessere, di divertimento. È questa abiura della vera fede che consente e legittima l’intervento dei tribunali ecclesiastici;

    b. in secondo luogo, i sortilegi che la strega ha il potere diabolico di realizzare, spesso al servizio degli altri; e

    c. infine, i malefizi che fanno da contraltare ai sortilegi e nascono dallo stesso potere diabolico e che presentano una gamma ancor più variegata e vasta.

Dalla distrazione d’amore alla grandine, dall’impotenza sessuale al seccare il latte nelle mammelle del bestiame, fino all’orrendo sacrificio rituale di bambini, uomini, animali, è tutto uno scatenarsi di perfidia alla quale concorre talvolta lo stesso diavolo impossessandosi del corpo delle vittime programmate, sostituendosi infingardamente al partner nell’atto amoroso e così via. Tutti pericoli ai quali nessuno può sottrarsi se non con la scrupolosa osservanza dei riti e degli esorcismi raccomandati dalla religione.16

Queste tre categorie emergono mischiate l’una all’altra nelle testimonianze che ne fanno le streghe sotto l’incalzare della tortura e costituiscono il substrato, la materia prima di quelle ossessive elencazioni che sono i trattati di demonologia, finendo per alimentare il “mostruoso serbatoio del quale si nutrirono le persecuzioni successive”,17 quel Malleus maleficarum che, come causticamente rilevò Michelet,

è l’opera capitale, il prototipo seguito generalmente dagli altri manuali, Martelli, Fruste, Fustigazioni, prodotti in seguito dagli Spina, dai Castro, dai Grillandi, ecc. [...]. Di frate in frate, la palla di neve va sempre più ingrossando. Verso il 1600, i compilatori essendo a loro volta compilati, accresciuti dagli ultimi venuti, si arriva a un libro enorme, le Disquisitiones magicae dello spagnolo del Rio.18

Le Disquisitiones magicae (pubblicata per la prima volta a Magonza nel 1593) opera monumentale del Gesuita Martin Del Rio, merita un’attenzione particolare, perché non solo riassume e raccoglie tutto quanto scritto in precedenza in materia demonologica, ma sistematizza questo strano sapere in modo da renderlo immediatamente fruibile dagli inquisitori che, infatti, ad esso si richiameranno per trovare conferma di indizi e sospetti.

La suddivisione della materia per voci specifiche, che ne rendeva agevole la consultazione, fece scuola per i successivi trattati, fra i quali il Compendium maleficarum del frate Francesco Maria Guaccio19 che, non a caso, riporta numerosi esempi e citazioni tratti dalle Disquisitiones magicae di Del Rio.

Del Rio, in quest’opera, vuole delegittimare i cabalisti cristiani e porre un freno all’influenza dei sostenitori della tradizione neoplatonica, sopratutto ad autori come Raimondo Lullo (1232-1316),20 Cornelio Agrippa (1486-1535),21 Gerolamo Cardano (1501-1576) che parlavano della loro magia come magia buona, giustificata, ed anzi santificata dall’essere stata posta al servizio dell’affermazione del nome di Cristo e che in qualche modo si legittimava all’interno della tradizione culturale della scolastica medioevale. Nasce così l’ambizioso progetto di questo gesuita erudito che non teme di confrontarsi con le argomentazioni dei cabalisti cristiani e dei filosofi ermetici, ma che vuole anche offrire un manuale di pronto intervento a giudici e a confessori. Da qui il carattere composito e corposo di un’opera che spesso è oscura e frammentaria, strutturata su sei libri dei quali i primi quattro concernono la magia demoniaca e gli ultimi due i rimedi pratici per giudici e confessori dove il reato di stregoneria viene definito “crimine eccezionale” (dunque con ampia discrezionalità al giudice nelle procedure e nelle pene) in quanto paragonato all’eresia o alla lesa maestà e le diverse casistiche a cui dovevano attenersi i giudici a riguardo dei testimoni, e all’uso della tortura. Questa parte del trattato è stat definita da Alphonse Leroy “la non meno sinistra”.22 Le Disquisitiones magicae lasciano ben poco spazio a un processo giusto e pietoso, eludendo le pur minime garanzie che il diritto positivo già contemplava, grazie a un formalismo giuridico che si nutriva di argomentazioni tratte da un’erudizione spicciola.

Ma quel che più stupisce è l’assenza, in Del Rio, della dimensione della pietà, della preoccupazione per le sofferenze delle vittime, dei peccatori, che pure avrebbero dovuto essere redenti al di là del loro peccato, confortati dalla certezza del perdono finale.

Ad un altro gesuita spetterà il compito di porre rimedio a tanta iniquità e lo farà con una forza argomentativa tale da far vibrare, ancora oggi, le corde più profonde dell’animo umano. Vi fu chi non si fece coinvolgere in quella “ubriacatura” collettiva, riuscendo a mantenere il “ben dell’intelletto” e la carità del cuore. Medici come Johann Wier che, pur credendo nell’esistenza del demonio, seppero vedere negli occhi delle streghe il barlume di una follia, del tutto umana e inoffensiva, di povere vecchie che la mancanza di cibo e le frustrazioni del corpo rendevano disponibili a qualsiasi fantasticheria, soprattutto se “suggerita” ed estorta da abili e perversi inquisitori. Giuristi come Georg Godelmann che rivendicavano il diritto a processi più giusti nei quali si facesse attenzione all’onere della prova, si rinunciasse alla tortura come strumento di autoaccusa. Teologi come Adam Tanner che invocavano il richiamo del Vangelo circa il rischio di strappare il grano con la gramigna, di colpire anche un solo innocente per punire presunti colpevoli, in spregio del dettato biblico. Di questa schiera non folta, in verità, ma intellettualmente agguerrita ed emotivamente partecipe e coinvolta, faceva parte anche un confessore di streghe: il gesuita Friedrich von Spee.

Nato il 25 febbraio del 1591 a Kaiserswerth presso Dusseldorf, da una famiglia cattolica di nobile casato, già nel 1610 entrò nel noviziato dei gesuiti a Treviri, malgrado fosse primogenito e dunque potenzialmente disponibile per altre scelte; il che consente di supporre che in lui vi fosse una vocazione religiosa assai radicata.

Consacrato prete nel 1622, passò a insegnare logica, fisica e metafisica nel collegio dei gesuiti di Paderborn. Però, l’insegnamento non fu né l’unico né il principale interesse di von Spee in questi anni.

Fra il 1628 e il 1630 si moltiplicarono i suoi interventi a proposito della caccia alle streghe che imperversava nelle terre tedesche, accendendole di centinaia di roghi. I suoi imbarazzanti interventi pubblici gli valsero presto la fama di difensore delle streghe, tanto più che già nel 1628 Spee aveva iniziato a stendere il nucleo centrale di quell’opera, la Cautio Criminalis, che lo consacrerà come uno degli autori più sensibili e profondi nei confronti dell’ossessione demoniaca. Per questa ragione non si ebbero dubbi sulla attribuzione del libro allo stesso von Spee, sebbene pubblicato anonimo nel maggio del 1631; espediente, questo, che egli aveva usato per evitare la richiesta di autorizzazione ai superiori dell’ordine, e, dunque, per eludere formalmente la disobbedienza perpetrata nei loro confronti. Von Spee, comunque, proseguì nella pubblicizzazione delle sue opinioni intorno alla persecuzione delle streghe, e questo gli valse l’inimicizia di parte dei Gesuiti della provincia tedesca e gli ottenne l’allontanamento dall’università di Paderbon. Mentre, invece, fu la protezione del generale dei gesuiti Muzio Vitelleschi, che gli consentì di proseguire nell’insegnamento, nello stesso anno 1631, a Colonia presso la cattedra di teologia morale. L’uscita di una seconda edizione della Cautio criminalis ancor più polemica, nell’anno successivo, diede nuovo vigore agli attacchi in seno all’ordine dei gesuiti. I suoi nemici riuscirono a costringerlo alle dimissioni e ad allontanarlo da Colonia. Il passo successivo fu l’insegnamento a Treviri, città nella quale poi morì il 7 agosto del 1635 in seguito alla peste che lo colpì mentre prestava la sua missione di soccorso durante l’epidemia che investì la regione in quello stesso anno.

Nel 1627, a Colonia, von Spee era confessore delle vittime della persecuzione condotta contro le streghe da parte di Ferdinand von Bayern, principe elettore.

Spee visse quel periodo – fra la fine degli anni venti e l’inizio dei 30 del XVII secolo – spostandosi nelle città che erano teatro della caccia spietata: Colonia, Paderbon, Magonza, Treviri, Spira, Würzburg e infine Bemberg, luoghi in cui, ovunque si volgesse, non vedeva altro che tormenti, morte, dannazione. “Su tutto sembra predominare la paura e il sospetto, e l’acre odore dei roghi appesta ogni villaggio.” sottolinea nel suo testo.

A Spee spettava il compito di accompagnarle al rogo, di raccoglierne le ultime parole, di cercare di salvarle dalla dannazione eterna. Fu a contatto con questa realtà di dolore, di paura, di ingiustizia, che il gesuita meditò sull’assurdità di un meccanismo, che coinvolgeva egualmente i sistemi giudiziari ecclesiale e secolare, che creava colpevoli, che non ammetteva innocenti, allargando a dismisura il numero delle streghe.

In questi anni, cominciavano a farsi strada, anche se in maniera embrionale, posizioni che costituiranno l’asse portante della Cautio criminalis. Fra queste, la convinzione che la tortura fosse, in qualche modo, in contraddizione con il diritto naturale e cristiano e, soprattutto, non fosse orientata allo scopo, rischiando di corrompere la verità sotto il pretesto di servirla. Anche la validità della confessione del reo veniva messa in dubbio, non solo perché era, il più delle volte, estorta con la tortura, ma soprattutto perché, da un punto di vista eminentemente giuridico erano le prove oggettive – il cosiddetto corpus delicti – che dovevano portare alla probatio plena, cioè alla massima certezza della colpevolezza, mentre i demonologi arrivavano addirittura a ritenerlo irrilevante.

In questo contesto di serrato confronto sulla legittimità giuridica di procedimenti che annullavano, di fatto, le garanzie individuali previste dal diritto naturale in nome di un supposto crimen exceptum (crimine eccezionale), Friedrich von Spee individuò gli argomenti che gli consentirono di delegittimare i processi di stregoneria anche dal punto di vista giuridico, dopo averne già osservato i lati umanamente e religiosamente inaccettabili nella sua pratica di confessore.

Il libro con cui Spee partecipò direttamente alla polemica apparve per la prima volta nel 1631 a Rinteln, con il seguente titolo: Cautio Criminalis, seu De Processibus Contra Sagas Liber ad Magistratus Germaniae hoc tempore necessarius. Tum autem Consiliariis, et Confessoriis Principum, Inquisitoribus, Judicibus, Advocatis, Confessariis reorum, Concionatoribus, caeterisque lectu utilissimus, Auctore Incerto Theologo Romano. [Cautela criminale, cioè, Un Libro sui Processi contro la Saghe necessario in questo tempo ai Giudici della Germania. Necessario inoltre ai Consiglieri e i confessori dei Principi, agli inquisitori, ai Giudici, agli Avvocati, ai Confessori dei rei, a Coloro che arringano le folle, utilissimo da leggere per tutti gli altri. Autore un anonimo Teologo romano].23

L’opera apparve anonima, ma, come riferiscono i biografi di Spee, non si tardò a riconoscere in quel Teologo Romano lo stesso von Spee, gesuita, di origini nobiliari e insigne professore. Per cui fu diffidato dai Superiori dal pubblicare di nuovo intorno a questo argomento; ma l’anno successivo non si oppose alla pubblicazione della seconda edizione a Francoforte, pubblicazione verosimilmente sollecitata dal grande interesse suscitato dall’opera.

La sua opera è la testimonianza di un tormento reale, molto umano.

La forza delle argomentazioni che condensa in quel fondamentale, ancorché misconosciuto, testo di denuncia che è laCautio criminalis, nasce dall’angoscia causata in lui da ciò che ascoltava e vedeva con i suoi occhi, e solo in un secondo momento si sostanzia nel ragionamento. Von Spee seppe redigere il suo scritto polemico in una forma tale da riuscire a non incappare direttamente nelle maglie della censura, utilizzando un linguaggio e degli artifici retorici che gli consentirono di addurre argomentazioni molto decise e teoricamente importanti a favore della polemica contro la demologizzazione, senza essere facilmente attacabili. L’autore, nella stesura del testo, segue la logica dell’enunciato in forma interrogativa indiretta (dubia) a cui fa seguire argomentazioni e risposte e questo ne ha fatto uno strumento di agevole lettura per un pubblico di diversa estrazione.

I toni della polemica contro i demonologi, attraverso la denuncia delle pratiche dei loro aguzzini, sono densi di una sconsolata desolazione alla quale si uniscono la rabbia e la profonda compassione per quella povera umanità dannata due volte: dalla povertà e, poi, dalla condanna dei giudici e dalla presunta dannazione eterna.

La razionalità e la criticità delle argomentazioni che Spee sviluppa nella Cautio Criminalis ne hanno fatto, suo malgrado, un innovatore.

Alcuni storiografi contemporanei in particolare Trevor-Roper24 e Febre25 ritengono che, con von Spee, ci si trovi di fronte ad un precursore dell’Illuminismo,

ma questo giudizio appare per molti versi eccessivo poiché non tiene conto di elementi presenti nel pensiero e nella vita di Spee che lo rendono uomo del suo tempo, senza nessun afflato pre- illuminista” [...]. Il suo argomentare e presentare i contenuti erano in connessione sostanziale con il metodo e la dottrina e l’ascesi di S. Tommaso d’Aquino, sarebbe quindi fuorviante e anacronistico attribuirgli velleità e posizioni inconcepibili per il tempo e lo stile di vita di von Spee classificandolo come pre-illuminista.”26

anche perché il suo testo mette a nudo la profondità della sua anima: quel tratto di intensa spiritualità che parlava di un amore per un Cristo di carità e di compassione, antitetico all’immagine di crudeltà e di punizione che gli altri, i fautori della caccia alle streghe, bestemmiavano nei fatti.

C’è da domandarsi se l’opera di Spee abbia influito sui processi.

Per i territori tedeschi, bisogna tenere presente che i punti culminanti delle persecuzioni si ebbero proprio nei decenni successivi all’apparizione della Cautio criminalis.

Per tutte queste ragioni, di fatto non è possibile determinare fino a che punto la posteriore progressiva riduzione della caccia alle streghe possa essere messa in relazione con il fiorire di una letteratura anti-demonologica di cui l’opera di von Spee è uno degli esempi più significativi. Quel che è certo è il fatto che la Cautio criminalis suscitò notevole interesse, come testimonia il consistente numero di edizioni di cui l’opera godette. È legittimo, dunque, pensare che sarebbe stato sufficiente lasciar passare alcuni anni perché le posizioni di von Spee potessero trovare un’eco maggiore.

Quante furono le vittime della persecuzione alle streghe in Europa? Wolfgang Behringer, nel suo libro citato Le Streghe, ridimensionando, di fatto, il numero delle vittime riportate nei testi dello scorso secolo, afferma nel capitolo terzo:

Di fronte al fatto che, dal XV secolo in avanti, la persecuzione contro le streghe ha luogo in tutta Europa e nelle colonie, ci si può chiedere come mai, in tre secoli e mezzo, siano state messe a morte solo 50.000 persone (di cui 25.000 in Germania). La risposta risiede senza dubbio nel fatto che all’interno della società europea vi è sempre stato un forte scetticismo nei confronti della credenza delle streghe e del fanatismo dei persecutori. I dubbi nutriti fin dai primordi del cristianesimo sull’efficacia degli incantesimi posero un limite alle persecuzioni e, fra tutte le forme di opposizione alla caccia alle streghe, risultò essere senz’altro quella più efficace.

L’enorme numero dei processi in Germania è avvertito anche dallo stesso Spee che nella Questione XV della Cautio Criminalis afferma “fan bene dunque quei popoli che preferiscono sospendere il giudizio, come gli italiani e gli spagnoli che [...] vedono con chiarezza che, imitando i tedeschi, dovrebbero coinvolgere un gran numero di innocenti [...] questo è lo sbocco della zelo tedesco”.27

Ma chi erano le streghe?

Parinetto, nel suo libro “La traversata delle streghe” sottolinea come il termine strega o stregone non sia un termine univoco ma “indeterminatissimo, e che dunque non può essere usufruito in proprio da nessuna categoria, perché il diverso è incircoscrivibile (e dunque non sfruttabile)”.28

La strega è dunque, a seconda delle circostanze, il vagabondo, lo zingaro, la fattucchiera, l’avversario, la prostituta, chi vive nei boschi, i sodomiti (così venivano chiamati gli omosessuali), l’ozioso, gli Indios dell’America appena scoperta (dove è avvenuto il più grande genocidio della storia del mondo), lo straniero. Il “diverso” dunque che di solito vive in una situazione di povertà o in una situazione di debolezza o fragilità.

E questo ci porta all’attualità.

Marco Aime, nel suo saggio scritto in collaborazione con Emanuele Severino “Il diverso come icona del male” sottolinea come ogni società produca l’altro come entità cattiva o pericolosa per incanalare pulsioni o tensioni. “Addossare le colpe a qualcuno che è esterno rende i ‘noi’ automaticamente buoni e i ‘loro’, per usare una dicotomia oggi in voga, automaticamente cattivi, maligni e minacciosi”.29

Il saggio di Aime prosegue nel definire meglio chi è il diverso oggi, (in modo particolare nella società europea): lo straniero, il migrante.

Nel saggio “Friedrich von Spee e La caccia alle streghe, nella parte conclusiva si afferma:

Nelle pagine precedenti si è affermato al numero delle vittime causato dalla ‘caccia alle streghe’ in Europa, [...] gli avvenimenti di questi ultimi anni (sono testimoni di altre migliaia di vittime): migliaia di persone stanno morendo sotto bombardamenti, in naufragi, in esodi disperati, schiavizzate in lavori sottopagati, torturate selvaggiamente, discriminate per il loro credo religioso, per la loro vita sessuale. Gli esempi potrebbero essere innumerevoli e sarà compito degli storici, in un futuro, capirne le cause ed i modi. Rimane lo sgomento dell’uomo di fronte a tutto questo. Lo stesso sgomento che ha fatto porre la domanda a molti ‘dove era Dio?’ quando si sono scoperte le atrocità di Auschwitz. È lo stesso sgomento che coinvolge von Spee di fronte al male ed alle ingiustizie che vede come confessore di povere donne destinate al rogo. La sua fede in Cristo lo porterà a reagire a questo sgomento e a lottare intellettualmente e con le azioni della sua vita per affermare un amore verso queste povere vittime e verso i loro carnefici. Un amore che è stato capace di dare una risposta di speranza e di misericordia”.30

La stessa Santa Sede, in tempi abbastanza recenti è intervenuta, a più riprese e con accenti incontrovertibili sul tema, ed ha affermato la necessità, per la Chiesa, di rivedere, anche alla luce delle acquisizioni del Concilio Vaticano II, gli aspetti più controversi della sua storia, fra i quali l’Inquisizione, cogliendo in questo modo l’occasione per una serie di auto- analisi e conseguente riflessione offerta dal Giubileo del 2000, considerato un momento di pace e di riconciliazione. L’istituzione di una Commissione Pontificia incaricata di verificare l’operato dell’Inquisizione, ha indicato chiaramente la volontà del Papa Giovanni Paolo II di proseguire senza indugi in una revisione storico-critica; una volontà che affonda le radici nell’apostolato del suo predecessore Papa Giovanni XXIII, senza timore di essere per questo anche costretti ad ammettere colpe eventuali e farne pubblica ammenda. Lo stesso Papa Giovanni Paolo II, in alcuni suoi interventi, ha parlato di errori, come quello relativo al mancato rispetto dell’autonomia delle scienze, ed è il caso di Galileo.

Ma è con il pontificato di Papa Bergoglio che viene riproposto dalla Santa Sede un ulteriore richiamo. E’ il richiamo che il papa fa hai potenti della terra affinché cessino le guerre, la vendita di armi, lo sfruttamento economico che causano le molteplici ingiustizie. Lo stesso richiamo che von Spee fa ai potenti dell’epoca, a cui era indirizzato il suo testo.

Scrive Valentina Cuccia nella recensione del testo di F. von Spee e La caccia alle streghe nella rivista La Civiltà Cattolica n. 4.013 del settembre 2017:

La Cautio criminalis stupisce ancora oggi per la modernità degli argomenti e per il valore della sua struttura. L’opera era rivolta principalmente ai principi tedeschi. Il suo appello ai potenti di allora riecheggia oggi in quello rivolto da papa Francesco ai potenti del nostro mondo, perché si facciano carico delle sofferenze degli ultimi e le facciano cessare. vi è come un fil rouge che lega passato e presente.31

L’appello pressante e continuo di Papa Francesco è anche a tutti gli uomini, religiosi e laici, di farsi carico delle sofferenze dei poveri, degli ultimi, dei migranti, delle persone in difficoltà, dell’altro dunque, con un atteggiamento di misericordia.

E’ forse questo un modo per evitare nuova caccia alle streghe.

Notes

W. Behringer. Le streghe, il Mulino, Bologna 2008.

J. Burckhardt (1818-1897), storico svizzero. Si veda il suo testo La civiltà del Rinascimento in Italia, Sansoni, Firenze 1961, p. 395.

N. Borsellino, Il comico in Letteratura italiana, Einaudi, Torino 1986.

A. Caro (1507-1566). Poeta e drammaturgo italiano. Si veda Lettere scelte, Venezia 1824, p. 70.

M. Cecchetti, Il Gesuita che scagionò le Streghe in il quotidiano “Avvenire”, 29 luglio 2017.

G. Bruno (1548-1600), frate domenicano, scrittore, filosofo. Condannato al rogo dall’Inquisizione per i suoi scritti considerati eretici.

L. Parinetto, Streghe e politica, I. P. L., Milano 1983.

B. P. Levack, La caccia alle streghe, Laterza, Bari 1988.

Il sistema inquisitorio, nato all’inizio dell’anno 1000 per combattere gli eretici, subì numerose trasformazioni nel corso dei secoli ed a seconda delle diverse aree geografiche. Per un approfondimento, per altro abbastanza complesso, si rimanda alla numerosa bibliografia esistente sul tema.

M. Ruthven, Torture: the grand conspiracy, Londra 1980.

A. Tanner, Universalis theologia scholastica, Ingolstadt 1627.

Per una rassegna approfondita del meccanismo giudiziario si veda F. Cordero,Criminalia, Laterza, Bari 1985.

H. R. Trevor-Roper, La caccia alle streghe in Europa nel Cinquecento e nel Seicento, in AA.VV, “Protestantesimo e trasformazione sociale”

Agostino d’Ippona, Demoni e Profezie, Montedit, Cernusco sul Naviglio 1993.

Origene (185-254), filosofo, teologo e scrittore della Chiesa Cattolica d’Oriente.

J. Michelet, La Strega, Einaudi, Torino 1971, p. 23.

H. R. Trevor-Ropper, opera cit.

J. Michelet, opera cit., p.23.

F. M. Guaccio (1570-1640) teologo, forse membro dell’Inquisizione. Noto per il suo Compendium maleficarum, Einaudi, Torino 1992.

Su Lullo e la sua influenza nella diffusione delle tesi cabalistiche si rimanda a F. A. Yates, Cabala e occultismo nell’età elisabettiana, Einaudi, Torino 1982.

Filosofo e alchimista. Nel suo De occulta philosophia (1533) aveva condensato una concezione magico-alchimistica dell’universo, basata sulla tripartizione tra mondo elementare, mondo intellettuale e monda celeste.

A. Leroy in Biographie Nationale, Bruylant e C. Editeurs, Bruxelles 1876.

F. von Spee, Cautio criminalis, Salerno Editrice, Palermo 1986.

H. R. Trevor-Ropper, La caccia alle streghe in Europa nel Cinquecento e Seicento, in AA.VV Protestantesimo e trasformazioni sociali, Laterza, Bari 1969, p. 213 e 218.

L. Febvre, ibidem, p. 166 e 213.

S. Silvi, Friedrich von Spee e la Caccia alle Streghe, Delta 3 Edizioni, Grottaminarda 2017.

F. von Spee, Cautio criminalis (tr. italiana) cit. p. 323.

L. Parinetto, La trasvolata delle streghe, Pellicani Editore, Roma 1993.

M. Aime e E. Severino, Il diverso come icona del male, Bollati Boringhieri, Torino 2009.

S. Silvi, F. von Spee e la caccia alle streghe, cit. p. 182.

Valentina Cuccia, nella rivista La Civiltà Cattolica n. 4013 (Settembre 2017), Roma, p. 445-446.

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