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História da Educação

versão impressa ISSN 1414-3518versão On-line ISSN 2236-3459

Hist. Educ. vol.23  Santa Maria  2019  Epub 07-Mar-2019

https://doi.org/10.1590/2236-3459/84270 

Artigos

LA STAMPA PEDAGOGICA E SCOLASTICA IN ITALIA TRA OTTO E NOVECENTO

LA PRENSA PEDAGÓGICA Y ESCOLAR IN ITALIA ENTRE LOS SIGLOS XIX Y XX

THE PEDAGOGICAL AND SCHOLASTIC PRESS IN ITALY BETWEEN EIGHT AND NINE HUNDRED

LA PRESSE PÉDAGOGIQUE ET SCOLASTIQUE EN ITALIE ENTRE 800 ET 900

1Università di Torino (Unito), Torino, Itália.


SOMMARIO

Il saggio si svolge su due livelli. Nella prima parte illustra i cambiamenti storiografici che hanno interessato l’Italia negli ultimi decenni. Come è accaduto in altre parti d’Europa si sono aperti nuovi campi di ricerca interessati a esplorare non solo la “scuola ideale”, ma anche e soprattutto la “scuola quotidiana”. Nella seconda parte riferisce i risultati di una ricerca condotta tra il 1987 e il 1997 volta a portare alla luce 1273 giornali scolastici usciti in Italia tra il 1820 (data di pubblicazione della prima pubblicazione reperita) e il 1943, anno della caduta del fascismo. La ricerca dimostra come sia possibile, attraverso l’esame dei giornali di scuola, procedere alla ricostruzione della storia italiana mediante diversi punti di vista: quello delle strategie messe in campo dalle classi dirigenti e dallo Stato (la cultura scolastica “alta”) e quello della riflessione del ceto magistrale (la cultura scolastica della quotidianità) svolta su più piani, politico scolastico e pedagogico, pratico-didattico, professionale, letterario (in relazione specialmente alle letture infantili), editoriale, economico.

Parole chiavi: stampa pedagogica e scolastica; Itália; secolo XIX; secolo XX

RESUMEN

El ensayo tiene lugar en dos niveles. La primera parte ilustra los cambios historiográficos que han afectado a Italia en las últimas décadas. Como ha ocurrido en otras partes de Europa, se han abierto nuevos campos de investigación, interesados en explorar no solo la "escuela ideal", sino también la "escuela diaria". En la segunda parte informan los resultados de una investigación realizada entre 1987 y 1997 con el objetivo de sacar a la luz los 1273 periódicos escolares publicados en Italia entre 1820 (fecha de publicación del primer periódico) y 1943, el año de la caída del fascismo. La investigación muestra cómo es posible, a través del examen de los periódicos escolares, proceder a la reconstrucción de la historia italiana a través de diferentes puntos de vista: el de las clases dominantes y del estado y el reflejo de la clase magisterial (la cultura escolar de la vida cotidiana) investigada a cabo en varios niveles, escolástico y pedagógico, práctico-didáctico, profesional, literario (especialmente en relación con lecturas infantiles), editorial, económico.

Palabras clave: prensa pedagógica y escolar; Italia; siglo XIX; siglo XX

ABSTRACT

The essay takes place on two levels. The first part illustrates the historiographical changes that have affected Italy in the last decades. As has happened in other parts of Europe, new fields of research have opened up, interested in exploring not only the "ideal school", but also and above all the "daily school". In the second part he reports the results of a research conducted between 1987 and 1997 aimed at bringing to light 1273 school newspapers published in Italy between 1820 (date of publication of the first publication found) and 1943, the year of the fall of fascism. The research shows how it is possible, through the examination of school newspapers, to proceed with the reconstruction of Italian history through different points of view: that of the strategies put in place by the ruling classes and the State (the "high school" culture) and the reflection of the magisterial class (the school culture of everyday life) carried out on several levels, scholastic and pedagogical, practical-didactic, professional, literary (in relation especially to childhood readings), editorial, economic.

Keywords: pedagogical press; scholastic press; XIX century; XX century

RÉSUMÉ

L'essai se déroule à deux niveaux. La première partie illustre les changements historiographiques qui ont affecté l'Italie au cours des dernières décennies. Comme dans d'autres régions d'Europe, de nouveaux champs de recherche ont été ouverts, intéressés à explorer non seulement “l'école idéale”, mais aussi et surtout “l'école quotidienne”. Dans la deuxième partie, il rapporte les résultats d'une recherche menée entre 1987 et 1997 visant à mettre au jour 1273 journaux scolaires publiés en Italie entre 1820 (date de publication de la première publication trouvée) et 1943, année de la chute du fascisme. La recherche montre comment il est possible, à travers l'examen des journaux scolaires, de procéder à la reconstruction de l'histoire italienne à travers différents points de vue: celle des stratégies mises en place par les classes dirigeantes et l'État (la culture "lycée") et le reflet de la classe magistrale (la culture scolaire de la vie quotidienne) menée à plusieurs niveaux, scolaire et pédagogique, pratique-didactique, professionnelle, littéraire (en relation notamment avec les lectures d'enfance), éditorial, économique.

Mots-clés: presse pédagogique et scolastica; Italie; siècle XIX; siècle XX

RESUMO

O ensaio se desenvolve em dois níveis. Na primeira parte, ilustra-se as mudanças historiográficas que interessaram à Itália nas últimas décadas. Como aconteceu em outras partes da Europa, abriram-se novos campos de pesquisa interessados em explorar não somente a “escola ideal”, mas também, e sobretudo, a “escola quotidiana”. Na segunda parte, descreve-se os resultados de uma pesquisa realizada entre 1987 e 1997 destinada a revelar 1273 jornais escolares publicados na Itália entre 1820 (data de publicação da primeira publicação encontrada) e 1943, ano da queda do fascismo. A pesquisa demonstra que é possível, por meio da análise dos jornais escolares, proceder à reconstrução da história italiana sob diversos pontos de vista: aquele das estratégias adotadas pelas classes dirigentes e pelo Estado (a cultura escolar “alta”) e aquele da reflexão de origem docente (a cultura escolar da quotidianidade) realizada em diversos âmbitos, político-escolar e pedagógico, prático-didático, profissional, literário (em relação especialmente às leituras infantis), editorial, econômico.

Palavras-chave: imprensa pedagógica e escolar; Itália; século XIX; século XX

LA STAMPA SCOLASTICA E LA STORIOGRAFIA EDUCATIVA E PEDAGOGICA

La storia dell’educazione e della scuola può essere indagata sotto diversi punti di vista. Per molto tempo sono prevalse letture proiettate a considerare i cambiamenti soprattutto attraverso le proposte e le decisioni di quanti (istituzioni, politici, uomini di scuola) hanno operato per orientare e guidare i comportamenti educativi. Gli scopi, le finalità e l’organizzazione degli studi sono stati così studiati attraverso l’azione degli Stati nazionali per tenere sotto controllo i sudditi, mediante la individuazione della triade famiglia-scuola-chiesa quali soggetti principali per ordinare la vita associata e incrementare il sapere, con l’approfondimento dei piani educativi messi a punto dagli studiosi di pedagogia allo scopo di sconfiggere l’ignoranza e la bassa scolarizzazione.

Negli ultimi decenni queste modalità di ricostruire il passato educativo sono apparse parziali e non più sufficienti. Hanno acquisito credibilità e autorevolezza altri punti di osservazione. Si è così cominciato a esaminare il fenomeno scolastico nel suo quotidiano svolgersi nei suoi aspetti quantitativi e qualitativi, si è prestata attenzione allo scarto tra le ambizioni della progettualità pedagogica e i risultati effettivamente conseguiti, in una parola si è passati dall’indagine basata sulle teorie pedagogiche e le politiche scolastiche alla ricognizione della vita scolastica quotidiana condotta su più piani.

Questo passaggio si può tradurre nel seguente interrogativo: attraverso quali micro e macro processi si è compiuto il disciplinamento delle giovani generazioni e si è svolto il loro accesso alla alfabetizzazione? La risposta ha sollecitato, come è noto, la ricerca di nuove fonti e aperto inedite frontiere storiografiche, qualche volta anche un po’ manichee per una certa diffusa diffidenza, quasi pregiudiziale, verso la storia delle idee pedagogiche.

Anche in Italia alla centralità a lungo assegnata agli studi di filosofia dell’educazione e all’analisi pedagogico-politica dei modelli educativi e dello sviluppo scolastico è gradualmente subentrata una impostazione più interdisciplinare capace di far tesoro degli scambi tra ricercatori di formazione diversa come storici, psicologi, sociologi, economisti e statistici egualmente interessati alle ricerche sul mondo educativo e portatori di nuovi modelli di ricerca.

Le ricerche condotte sulla stampa pedagogica e scolastica coincidono con questa importante trasformazione/evoluzione degli studi storico-educativi non solo italiani.

Studi come quelli di Philippe Ariès - per fare qualche esempio -, ricerche come quelle di Furet e Ozouf sugli sviluppi dell’alfabetizzazione e di Lawrence Stone sulla formazione della nobiltà britannica del XVII secolo, analisi pedagogiche come quelle di Neil Postman sulla “scomparsa dell’infanzia”, le indicazioni della psychohistory e dei Women’s studies non passarono invano specialmente tra gli studiosi più giovani. Ugualmente significative furono le influenze storiografiche provenienti, quasi contemporaneamente, dalla ricognizione anche quantitativa connessa alla espansione della alfabetizzazione e dalle analisi storico-economiche messe a punto in rapporto ai processi di scolarizzazione.

Forte fu la spinta a valorizzare anche analisi di altro genere oltre quelle tradizionalmente provenienti dalla storia pedagogica. Nuove piste di ricerca si orientarono verso lo studio della mentalità e delle consuetudini educative, del sentire comune che le alimenta e delle azioni pedagogiche che le accompagnano (quella che secondo alcuni studiosi, andrebbe raccolta sotto la definizione di “cultura scolastica”1; altri studiosi hanno preferito ricorrere alla metafora del superamento del “silenzio” imposto dal conformismo pedagogico2).

Sulla scena storiografica educativa italiana irruppero, di conseguenza, tematiche di ricerca fino ad allora inedite o scarsamente considerate e l’invito a una sempre più accurata contestualizzazione. Si moltiplicarono, in particolare, gli studi su protagonisti marginali (ad esempio, il mondo delle bambine e delle donne, la realtà dei soggetti poveri, handicappati, devianti) e su protagonisti già ben noti (i bambini), ma considerati secondo nuove prospettive come il sentimento che ne aveva accompagnato la presenza sociale o le dinamiche relazionali adulto/minore indagate attraverso le dinamiche psicoanalitiche.

Molte attenzioni attrasse anche il ruolo sociale delle istituzioni educative (non solo la scuola, ma anche la famiglia, le comunità religiose, ecc.), posto al centro di numerose e convergenti sollecitazioni di provenienza disciplinare diversa, sociologica, statistica, politica. Comune a svariati studiosi fu l’interesse a indagare con nuove letture uno dei più ricorrenti principi pedagogici e cioè il rapporto tra autorità e libertà, avvalendosi anche di documenti fino a quel momento poco considerati come, per esempio, le narrazioni infantili e/o le letture destinate all’infanzia.

A queste piste di ricerca - qui appena accennate a titolo di esempio - si accompagnò, specialmente sul versante della storia scolastica, la ricerca di nuove fonti oltre a quelle ordinariamente considerate (leggi e norme regolamentari, programmi scolastici, modelli organizzativi e didattici). Lo scopo era quello di passare dalla “scuola descritta” come ideale alla “scuola realizzata” nella quotidianità dell’insegnamento. Fu in questo nuovo contesto - qui tratteggiato a grandi linee - che prese avvio la ricerca sui giornali scolastici in Italia il cui svolgimento fu quasi contemporaneo ad indagini analoghe condotte in altre parti d’Europa come, ad esempio, in Olanda, Francia, Portogallo, Gran Bretagna.

È interessante sottolineare questa convergenza temporale nella quale si incontrarono studiosi diversi che agivano in contesti differenti. Perché i giornali scolastici sembrarono a un numero così significativo di ricercatori particolarmente adatti a rispondere ad alcune istanze della nuova storiografia?

La risposta deve tenere conto di svariati elementi accomunati dal fatto che i giornali scolastici possono essere rappresentati come la porta di un’aula che introduce nelle trame interne della vita scolastica, fornendo dati per svelarne i meccanismi meno evidenti. Per l’immediatezza delle loro informazioni e lo stretto rapporto con la quotidianità della scuola essi offrono una affidabile fotografia della scuola di ieri. Chi ha la pazienza di leggerli in modo continuativo può ripercorrere quasi come in un racconto a puntate la storia di bambini, di maestri, di culture popolari, di piccole e grandi comunità.

Attraverso gli apparati didattici le pagine dei giornali descrivono infatti le modalità di svolgimento dell’insegnamento, come sono impiegati i testi scolastici, il consumo dei primi e spesso rudimentali sussidi scolastici e le trasformazioni che nel tempo modificano le discipline scolastiche. Essi aiutano a comprendere la trasmissione dell’ethos popolare e di quello ufficiale e ad approfondire le strategie di disciplinamento. I giornali sono infine fonti preziose per conoscere le condizioni di vita degli insegnanti e seguire la graduale evoluzione della professione docente nel suo reale (e non solo ideale) svolgersi. Soprattutto documentano come i maestri elementari entrano a fatica e forse neppure a pieno titolo nel ceto dirigente della nazione. Non basta la loro fatica quotidiana nel “dirozzare le plebi” per legittimarli come parte della borghesia che conta.

Nei giornali scolastici - come anche nei libri di testo (diremo qualcosa più avanti sul rapporto pubblicistica/editoria scolastica) - si può insomma cogliere la convivenza di più punti di vista proprio così come dovrebbe accadere per la ricostruzione storica. I fogli scolastici sono infatti uno straordinario scenario mediativo nel quale lampeggia a tratti la cultura pedagogica di formazione accademica e si svolgono le pratiche educative e scolastiche quotidiane.

Il patrimonio della stampa pedagogica e scolastica emergente dalle ricerche europee si è rivelata una vera e propria miniera inesplorata. Prima delle ricerche citate era difficile pensare che, dopo oltre un secolo di studi e scavi sulla storia scolastica, potessero sussistere ancora fonti dalle dimensioni così cospicue pressoché intonse, tanto più se fonti a stampa e non carte manoscritte conservate in qualche anfratto archivistico.

Il censimento dei giornali scolastici dimostrò che, con l’accesso a questa fonte, anche la storia scolastica italiana poteva essere ricostruita in forme più esaurienti e aderenti alla realtà rispetto alle grandi teorie e dalle decisioni politiche che sempre, beninteso, conservano il loro peso, ma non esauriscono le ragioni messe in campo per sconfiggere l’ignoranza.

Le annotazioni che seguono hanno un duplice scopo: a) restituire i risultati di una ricerca condotta tra il 1987 e il 1997 volta a portare alla luce 1273 giornali scolastici usciti in Italia tra il 1820 (data di pubblicazione della prima pubblicazione reperita) e il 1943, anno della caduta del fascismo3; b) dimostrare come sia possibile, attraverso l’esame dei giornali di scuola, procedere alla ricostruzione della storia italiana attraverso due diversi punti di vista: quello delle strategie messe in campo dalle classi dirigenti e dallo Stato (la cultura scolastica “alta”) e la riflessione del ceto magistrale (la cultura scolastica della quotidianità) svolta su più piani, politico scolastico e pedagogico, pratico-didattico, professionale, letterario (in relazione specialmente alle letture infantili), editoriale, economico.

I PRIMI GIORNALI PEDAGOGICI E SCOLASTICI

Non diversamente da quanto accadeva in altri stati europei (Francia, Inghilterra, Germania) nei primi decenni del XIX secolo cominciò a diffondersi anche in Italia un nuovo genere di pubblicistica: i giornali pedagogici e scolastici. Il fenomeno era da porre in relazione alla diffusione della scolarizzazione e al conseguente aumento dei maestri verso cui erano destinate queste pubblicazioni. L’attività magistrale andava gradualmente configurandosi come una vera e propria professione - e non solo un mestiere spesso svolto a fianco di un altro - e il popolo dei maestri una realtà in espansione da sorvegliare attentamente perché l’istruzione unita all’educazione producesse frutti benefici.

Le prime pubblicazioni periodiche italiane di questo tipo apparvero a Firenze e a Torino. Questo duplice evento non era casuale: in entrambe le città erano particolarmente vive importanti tradizioni pedagogiche che risalivano indietro nel tempo. Rapporti stretti gli studiosi italiani intrattennero in specie con la pedagogia franco-elvetica di espressione illuminista (Rousseau, Pestalozzi, Necker de Saussure, Girard, Naville) e, in misura minore, con quella austriaca (Milde, Peitl) e con quella inglese (mutuo insegnamento).

Tra il 1820 e il 1822 uscì a Firenze il “Giornale d’educazione”, animato da un gruppo di filantropi e aristocratici (tra cui spiccano i nomi di Gino Capponi, Cosimo Ridolfi e Francesco Maria Riccardi del Vernaccia) allora impegnati a sostenere e diffondere il metodo del mutuo insegnamento, giudicato un’eccellente opportunità per incrementare l’alfabetizzazione popolare. Poco dopo, nel 1823, a Torino vide la luce “L’Educatore in famiglia”, un periodico dalla fisionomia didattica e pratica, quasi interamente compilato da un insegnante, Giuseppe Anselmi. Scopo del periodico, anch’esso di breve durata (chiuse le pubblicazioni già nel 1825) era quello di fornire a maestri, precettori privati, padri e madri di famiglia “nozioni ordinate in modo graduato per le tre età dell’infanzia, della puerizia e dell’adolescenza” tratte da alcuni suoi libri scolastici apparsi qualche anno prima.

È possibile che, nel dar vita a “L’Educatore in famiglia”, l’Anselmi avesse presente una precedente pubblicazione apparsa sempre a Torino per circa un anno tra il 1803 e il 1804, la “Feuille Hebdomadaire de Turin” ideata dall’ex gesuita francese Jean Joseph Rossignol per istruire insegnanti e precettori sulle modalità con cui utilizzare i suoi numerosi manuali messi a punto su svariate discipline. Per la prima volta il Rossignol aveva pensato al binomio giornale scolastico/libri di testo, soluzione editoriale ripresa dall’Anselmi e che, come si vedrà più avanti era destinata a diventare una pratica consueta.4

Tra la fine degli anni Trenta e il decennio successivo la stampa pedagogica e scolastica cominciò ad assumere dimensioni più ampie e a rappresentare diverse tradizioni educative. Va infatti sottolineato a beneficio dei lettori non italiani che anche in campo scolastico la storia italiana è il frutto dell’intersecarsi di storie e culture sviluppatesi in differenti contesti regionali. Soltanto all’inizio del XX secolo - e cioè circa 50 anni dopo l’unità nazionale - è possibile individuare un sistema d’istruzione dalle caratteristiche realmente nazionali con il passaggio delle scuole elementari dai Comuni allo Stato. Su questo punto riprenderemo il discorso più avanti.

Non è perciò sorprendente che giornali scolastici siano apparsi negli stessi anni in varie città italiane - e sia invece mancato il tentativo di creare un foglio di respiro nazionale - come Venezia (l’”Istitutore elementare”, 1836-1837, poi 1851-1866), Roma (“L’Artigianello”, 1845-1848 e “L’Educatore”, 1847), Milano (“L’Educatore”, 1850-1860) e, ancora, Firenze e Torino (“Guida dell’Educatore”, 1836-1845 e “L’Educatore primario”, 1845-1848).

Queste due ultime testate furono anche in questo caso le più significative. La fiorentina “Guida dell’Educatore” si segnalò per la notevole qualità pedagogica. Il suo direttore, Raffaello Lambruschini e i collaboratori più importanti come Enrico Mayer, Nicolò Tommaseo, Pietro Thouar erano a stretto contatto con le esperienze scolastiche d’avanguardia in Europa e si sforzavano di carpire le novità più interessanti per trasferirle in Toscana.

Intorno al periodico torinese “L’Educatore primario” si raccolsero intellettuali e insegnanti di primo piano nella storia scolastica italiana come Domenico Berti, Carlo Bon Compagni, Domenico Capellina, Vincenzo Garelli, Giovanni Antonio Rayneri.5 Torino era allora all’avanguardia nella modernizzazione dell’Italia. In tale prospettiva queste personalità animarono il laboratorio politico-pedagogico ove furono discusse e messe a punto le riforme che spostarono dalla Chiesa allo Stato il governo della scuola. Questa decisione prese corpo perr la prima volta nelle leggi piemontesi del 1848. Fu questo l’antefatto del modello scolastico che, dopo il 1861, migrò da Torino e il Piemonte a tutta l’Italia.

SCUOLA E UNITÀ D’ITALIA

Una volta raggiunta l’unità politica della penisola con la creazione del Regno d’Italia nel 1861 - nel quale confluirono gli stati regionali preesistenti - e intensificata la lotta contro l’analfabetismo, in pochi anni si moltiplicarono le testate per lo più destinate ai maestri elementari. Tra il 1860 ed il 1866 uscirono infatti ben 35 giornali sco lastici in varie parti dell’Italia. Questa tumultuosa crescita editoriale era il risultato di un doppio processo, uno più diretto ed immediato di carattere più strettamente pedagogico-professionale e un altro invece, di tipo indiretto, di natura politica più ampia.

Per quanto riguarda il primo l’aumento della scolarizzazione infantile e adulta richiese in poco tempo un gran numero di maestri. Ben presto ci si accorse che la loro preparazione era alquanto deficitaria ed era perciò necessario intraprendere iniziative che ne colmassero le lacune. I promotori della lotta contro l’ignoranza pensarono che la formula del “giornale pratico d’istruzione” potesse rap presentare uno strumento efficace a tale scopo. Bisognava accompagnare i maestri nel loro lavoro quotidiano perché i pochi anni trascorsi a scuola dagli allievi assicurassero quelle conoscenze minime necessarie a vivere in una società che stava diventando sempre più alfabeta.

Come indicava l’impiego dell’aggettivo “pratico” questo genere di pubblicistica non si occupava di “alta pedagogia”, ma rispondeva ad aspettative concrete e ad esigenze immediate della professione. Nella sezione didattica, la più cospicua e la più letta, erano infatti presentati, distribuiti giorno per giorno, compiti e lezioni da proporre agli alunni: di lingua e di aritmetica (i problemi erano spesso presentati con annessa la soluzione) oltre a nozioni di storia, geografia e scienze, letture morali, dettati, modelli di corrispondenza. L’analisi degli esercizi e delle letture è straordinariamente interessante perché consente di cogliere i microprocessi didattici attraverso le quali erano veicolate le principali nozioni linguistiche e matematiche e, attraverso queste, i sentimenti di probità, laboriosità, fedeltà all’Italia. Questa espressione che oggi ci sembra così semplice ed immediata in molte parti della nazione, specie nel Sud, era quasi sconosciuta. I giornali preferivano perciò parlare di fedeltà al Re, una realtà più facilmente accessibile.

Veniamo così all’altra ragione dell’impegno a migliorare la qualità professionale dei maestri. Qui intercettiamo il secondo processo che, per quanto in forma indiretta, rappresentò una potente spinta verso lo sviluppo della pubblicistica magistrale. A questo riguardo è necessario aprire un’ampia parentesi e richiamare qualche passaggio sulla formazione dello Stato italiano.

La classe dirigente liberale che andò al potere con l’Unità d’Italia individuò nella scuola, accanto all’esercito e alle cerimonie pubbliche, uno degli strumenti per legittimare il nuovo Stato nelle coscienze dei ceti popolari. Il problema dell’unificazione degli italiani rappresentò subito uno dei più urgenti e assillanti. Questo compito fu assegnato con grande enfasi ai maestri, celebrati come gli educatori della nazione italiana. Per fare gli italiani bisognava prima “fare i maestri”. Solo in tal modo si poteva sperare di creare una comune coscienza patriottica.

La creazione del Regno d’Italia era stata infatti più il fulmineo esito della volontà a lungo covata di Inghilterra e Francia di ridimensionare il potere degli Asburgo d’Austria che conseguenza di un effettivo movimento popolare. La storia dell’Italia era stata fino a quel momento una storia regionale e soltanto le élites culturali si riconoscevano in una patria “italiana”, La lingua italiana, nonostante che avesse alle spalle una straordinaria storia era la lingua del ceto colto. Per la stragrande parte delle classi subalterne essa era una lingua sconosciuta ed estranea alla vita quotidiana. Prevalevano i dialetti e le tradizioni popolari locali e l’unica forma di unità culturale era rappresentata dall’influenza della Chiesa e dalla fede religiosa.

Differenze notevoli si registravano anche a livello di ceti colti. L’Italia del nord ovest, per esempio, guardava alla cultura francese ed era abitudine delle famiglie non solo borghesi in molte zone del Piemonte parlare abitualmente francese. Qui prese fisionomia la prima tipologia di scuola laica controllata dallo Stato, destinata a diventare il modello della successiva scuola nazionale. Le regioni della Lombardia (Milano) e il Veneto (Venezia) erano state per decenni sotto l’influenza della cultura austro-tedesca e i frutti dell’efficiente organizzazione scolastica dell’Imperial Governo di Vienna si potevano tangibilmente constatare con la capillare diffusione delle scuole elementari.

Molto più arretrata era, invece, la situazione nell’Italia Meridionale dove una più diffusa povertà e la scelta del governo del Regno delle Due Sicilie di lasciare l’istruzione nelle mani dei privati erano alla base di uno sviluppo scolastico assai più lento che altrove. Un caso a se stante, infine, rappresentava la Toscana, la patria delle lingua italiana, una delle regioni più colte dell’Italia ove tra gli anni Trenta e Quaranta del XIX secolo si era sviluppata una pedagogia scolastica progressista in linea con quanto accadeva nelle realtà europee più scolarizzate come la Svizzera e paesi di lingua tedesca. La “Guida dell’Educatore” che abbiamo sopra ricordata era, per l’appunto, espressione di questa cultura.

Nel complesso la realtà scolastica all’indomani dell’Unità era molto più povera che nei maggiori stati europei e, per di più assai frammentata al suo interno. Mentre in Piemonte e in Lombardia gli alunni in età 6-12 anni iscritti alle scuole elementari erano rispettivamente 93 e 83 per cento, nelle regioni meridionali (Campania, Puglia, Calabria, Sicilia) non si arrivava al 25. Analogo andamento si verificava per l’analfabetismo adulto: il 78 per cento registrato nel 1861 era l’esito di una media che oscillava tra il 57 per cento del Piemonte e quasi il 90 per cento dell’Italia del sud.

I giornali documentano che dietro al riconoscimento dell’importanza dei maestri nella costruzione della nazione stava una realtà assai meno nobile: gli insegnanti erano in balia delle autorità locali che spesso non rispettavano le leggi dello Stato, erano mal pagati, costretti a fare scuola non di rado in locali inadatti o addirittura malsani. Non solo: solo una minima parte dei maestri e delle maestre aveva seguito regolari corsi di studio, in maggioranza essi erano arrivati all’insegnamento occasionalmente attraverso percorsi di fortuna, senza specifica preparazione pedagogica.

In questo contesto i giornali scolastici svolsero un’azione che oltrepassò le caratteristiche specifiche di organi professionali, diventando i protagonisti dei dibattiti che accompagnarono lo sviluppo scolastico nella seconda metà dell’Ottocento. Proprio per queste caratteristiche di sostegno dei processi di scolarizzazione e di promozione dell’idea di italianità tra i ceti popolari i periodici per i maestri, come si è già accennato, furono di gran lunga i più diffusi.6

Secondo i dati raccolti nel 1873 dal bibliotecario Giuseppe Ottino sulla stampa periodica italiana i giornali scolastici stampavano settimanalmente quasi 21 mila copie (per alcune testate non era tuttavia indicata la tiratura) (OTTINO, 1875). I maestri in servizio erano allora poco più di 45 mila e dunque usciva in media una copia ogni due insegnanti: una diffusione pressoché capillare. I dati forniti dall’Ottino consentono anche di delineare la geografia della stampa scolastica italiana agli inizi degli anni ’70. Il polo principale, in termini assoluti (e cioè numero di testate e copie dichiarate), era Torino. Nell’ex capitale uscivano nel 1873 sei giornali scolastici (contro i cinque di Milano e di Palermo, i quattro di Firenze, i tre di Genova ed un solo periodico romano) per un totale di 7.800 copie, pari al 37,3% del totale: un giornale su tre, in sostanza, era torinese.

Gli animatori della prima stagione dei giornali per maestri erano personalità dai profili diversi: studiosi e politici come Domenico Berti (Imagem 1), poi ministro dell’Istruzione; letterati e giornalisti come Vincenzo De Castro (Imagem 2), Augusto Conti, Lodovico Corio; professori di pedagogia come Raffaello Lambruschini (Imagem 3), Giuseppe Sacchi, Ignazio Cantù, Pietro Dazzi e Luisa Amalia Paladini, ma anche semplici insegnanti che mettevano a disposizione dei colleghi meno esperti la loro competenza didattica. Alcuni di questi diventarono molto noti proprio per la loro militanza giornalistica, la compilazione di libri di testo e la mediazione tra cultura pedagogica e vita scolastica: Giuseppe Borgogno, Giovanni Codemo, Cipriano Mottura, Pasquale Fornari, Giovanni Parato, Giovanni Scavia, Giuseppe Vago e molti altri.

Fonte: Dizionario illustrato di Pedagogia, Milano, 1897-1903.

Imagem 1 Domenico Berti. 

Fonte: Biblioteca Nazionale Braidense, Milano.

Imagem 2 Vincenzo de Castro. 

Fonte: Dizionario illustrato di Pedagogia, Milano 1897-1903.

Imagem 3 Raffaello Lambruschini. 

In questa fase ancora aurorale il già ricordato periodico torinese “L’Istitutore” rappresentò l’unico caso di giornale pubblicato da un vero e proprio editore (Paravia), evento non casuale perché proprio a Torino fin dagli anni Cinquanta si era sviluppata una rigogliosa editoria scolastica (CHIOSSO, 2013). In tutti gli altri casi si trattava in genere di iniziative animate da “società di insegnanti” ovvero da gruppi di maestri che mettevano insieme le loro esperienze didattiche spesso trasferite anche nella produzione di libri di testo. Lo scopo non solo pedagogico, ma anche economico e commerciale, era quello di creare una virtuosa sinergia tra pubblicistica e manualistica, non di rado ampliato anche sul versante delle letture ricreative.

Una intuizione che, come si è visto arrivava da lontano, e che inizialmente fu gestita in forme artigianali. Ben presto gli editori scolastici, fiutato l’affare, l’avrebbero sfruttata in una logica imprenditoriale.

DALL’ARTIGIANATO ALL’IMPRENDITORIA EDITORIALE

Verso la metà degli anni Settanta la realtà dei periodici scolastici fu percorsa da alcuni cambiamenti destinati a modificarne e ad arricchirne la tradizionale fisionomia didattica. Pur senza venir meno alla caratteristica dimensione “pratica” nel senso che si è sopra indicato, i fogli scolastici cominciarono a superare gli stretti confini didattici.7 Questo cambiamento di prospettiva si svolgeva all’intersezione di vari e complessi eventi di costume, culturali e pedagogici che anche in Italia stavano segnando una cauta e lenta modernizzazione della società: l’emergere della cultura positivista, la laicizzazione della vita sociale, una più diffusa capacità di lettura tra il popolo e la sempre più incisiva presenza del socialismo tra le masse subalterne.

Per quanto riguarda il mondo scolastico notevoli conseguenze portò con sé la legge elettorale del 1882 che incluse i maestri nel corpo elettorale. La categoria magistrale avvertì presto l’esigenza di far sentire la propria voce in Parlamento, approfittando del fatto che le forze politiche, di destra e di sinistra, ambivano ad ottenerne l’appoggio. Le società e le associazioni magistrali che si erano costituite con scopi soprattutto di tutela nei confronti delle frequenti inadempienze delle autorità locali (i Comuni), cominciarono a diventare centri di pressione politico-scolastica. I maestri (meno le maestre) cominciarono a rappresentarsi non solo come gli educatori-custodi del popolo, ma come attori di un cambiamento che aveva a suo perno la lotta contro l’ignoranza.

L’attivismo dei sodalizi professionali produsse un significativo aumento dei fogli e dei bollettini associativi. A partire dagli anni Ottanta queste pubblicazioni si diffusero rapidamente intrecciandosi con i diversi e infruttuosi tentativi di dar vita ad un’associazione magistrale nazionale fino a raggiungere la quota percentuale di circa un quinto (20,4%) di tutti i giornali scolastici usciti in Italia nel secondo Ottocento. Si verificò in tal modo una certa politicizzazione della classe magistrale.

Nel 1885 uscivano in Italia 44 giornali scolastici; nel 1890 sarebbero saliti a 52 contro i 38 censiti dall’Ottino nel 1873 (Ibid., p. 22). Mentre i bollettini associativi conservarono le caratteristiche di un’editoria artigianale e volontaristica, diverso fu il destino dei giornali scolastici. Alcuni editori cominciarono a manifestare un interesse speciale verso questo genere di pubblicazioni, fiutando la possibilità di cospicui profitti. L’impostazione redazionale non fu più solo circoscritta ai soli aspetti didattici, ma aperta anche alla discussione politica, alla critica letteraria e a una larga informazione di carattere generale.

L’interesse degli editori scolastici fu contestualmente motivato dal proposito di fare del giornale per i maestri il baricentro intorno cui raccogliere varie altre iniziative lucrose: i libri di testo, le letture ricreative, i libri premio e - per le imprese di maggior forza economica - anche la produzione e commercializzazione di sussidi didattici (carte geografiche, cartelloni murali, alfabetieri, giochi educativi, ecc.).8 Il giornale scolastico con la sua capillare diffusione si prestava a diventare anche un canale pubblicitario di grande efficacia in un ambito come quello dei maestri che era difficile, per la loro capillare distribuzione sul territorio, raggiungere per altra via.

La strada intrapresa dagli animatori dell’editoria scolastica sul modello dell’editore torinese Paravia con “L’Istitutore” - concepire il giornale in stretta relazione con i libri di testo e la produzione editoriale educativa - fu percorsa da analoghe esperienze dislocate in varie parti d’Italia. Queste diedero all’editoria scolastica un nuovo slancio e, nel contempo, ridussero gli spazi d’azione delle testate più antiche incapaci di aggiornarsi e ferme al modello del “giornale pratico d’istruzione”.

In questo nuovo scenario particolare rilievo cominciò ad assumere Milano che con Roma divenne negli ultimi decenni dell’Ottocento il centro di maggior produzione della stampa periodica italiana. Mentre il capoluogo lombardo vantava una lunga e prestigiosa tradizione in campo editoriale e la presenza di editori importanti come Sonzogno e Treves, la crescente importanza di Roma derivava dal fatto di essere diventata nel 1870 la capitale del Regno e, come tale, il centro dell’attività politica. Editori scolastici di respiro nazionale erano frattanto sorti anche a Bologna, Napoli, Palermo.

Per cogliere la transizione verso un più moderno giornalismo magistrale e una più intraprendente editoria scolastica merita gettare uno sguardo alle vicende del periodico milanese “Il Risveglio Educativo” (Milano, 1884-1901). Alle tradizionali tematiche didattiche il giornale associò un forte impegno politico e rivendicativo e un deciso sostegno alla creazione di un’unica associazione nazionale dei maestri in grado di tutelarne gli interessi. L’esperienza del “Il Risveglio Educativo” (cui collaborarono, sotto la direzione di Guido Antonio Marcati,9 alcuni tra i maggiori esponenti della vita scolastica e pedagogica italiana come Ildebrando Bencivenni, Aristide Gabelli, Pietro Pasquali, Pietro Siciliani, Carlo Tegon) fu importante non solo sul piano della riflessione pedagogica e politico-scolastica, ma anche sul piano dell’impostazione generale (Imagem 4).

Fonte: Biblioteca Nazionale Braidense, Milano.

Imagem 4 “Il Risveglio Educativo”. 

Intorno al giornale i promotori predisposero infatti un vero e proprio polo editoriale con la pubblicazione di libri di testo, sussidi didattici e letture per l’infanzia (i cui autori erano gli stessi redattori del giornale) e di altri periodici come “La Scuola Secondaria italiana” (Milano, 1897-1904). Quest’ultima rivista ambì a dar voce ai professori delle scuole secondarie negli stessi termini, ma senza pari fortuna, con cui “Il Risveglio” si proponeva di essere espressione delle aspettative magistrali.

Il tentativo - non del tutto riuscito, ma non per questo meno interessante - di creare un polo editoriale nel quale far convergere temi didattici, letture per l’infanzia, rivendicazioni professionali costituisce un passaggio interessante: il maestro non è più rappresentato soltanto all’interno dell’aula, ma come un animatore sociale, culturale e, sotto certi aspetti, anche politico.

Nonostante gli sforzi delle élites magistrali - i maestri che scrivono sui giornali e dirigono le società magistrali - e della pedagogia progressista, la pratica scolastica documentata dalle pagine dei giornali resta molto semplice, legata alla trasmissione di nozioni schematiche affidate per lo più alla memorizzazione. La vita della scuola procede in prevalenza ancora secondo schemi antichi. Vista dall’osservatorio scolastico - quello soprattutto delle piccole realtà locali nella quale viveva tuttavia la stragrande maggioranza degli italiani - la costruzione dell’Italia unita e moderna (come negli auspici dei positivisti) cresce lentamente e i valori prevalenti più che quelli del patriottismo restano ancora quelli del passato legati alla civiltà contadina, alla fede religiosa, alle tradizioni e ritualità locali.

UNA STAMPA PER MAESTRI PIÙ PREPARATI

Le vicende del periodico milanese dimostravano che il giornale scolastico poteva oltrepassare i confini dell’impiego didattico e diventare un organo di informazione ad ampio spettro. L’esperienza del “Risveglio Educativo” fu seguita da analoghe iniziative che si svilupparono più o meno negli stessi anni.

A Palermo Sandron nel 1886 diede avvio alla pubblicazione de “L’Avvenire Educativo”, una delle voci più interessanti e autorevoli della scuola nel Mezzogiorno. Nel 1889 a Torino Grato Scioldo mise in campo, in concorrenza con Paravia, “La Scuola Nazionale” mentre a Roma nel medesimo anno lo stesso Paravia diede vita al primo importante periodico dedicato all’educazione infantile, “L’Educazione dei bambini”. Nel 1895 Bemporad, a sua volta, intraprese a Firenze la “Rassegna Scolastica”. A Milano, seguirono, a breve distanza, “Il Corriere delle Maestre” (Imagem 5) nel 1897 per iniziativa di Antonio Vallardi e “Il Pensiero dei Maestri” dell’editore Trevisini nel 1898. Paravia, desideroso di rafforzare il proprio peso nel sud dell’Italia, lanciò la “Gazzetta Scolastica” di Napoli (già nel 1881 aveva promosso a Roma, e non più a Torino, un altro periodico importante, “Il Nuovo Educatore”).

Fonte: Biblioteca Nazionale Braidense, Milano.

Imagem 5 “Il Corriere delle Maestre”. 

Sandron, Scioldo, Bemporad, Vallardi, Trevisini, oltre a Paravia, erano tutti editori importanti impegnati nell’editoria per la scuola che animarono voci periodiche significative, anche se non tutte egualmente fortunate. Sostenute da cospicue risorse finanziarie gli editori imprenditoriali erano in grado di assicurare un prodotto più ricco e vario di quello offerto dalle testate gestite localmente da gruppi di maestri, fatalmente destinate a un forte ridimensionamento e infine, come vedremo, alla scomparsa. Verso la fine dell’Ottocento le maggiori case editrici svilupparono le loro strategie in prospettiva nazionale (e non più solo regionale), aprendo filiali anche molto lontano dai luoghi di produzione. Nel 1890 sorse l’Associazione della stampa scolastica nazio nale che aderì al Circolo dei giornalisti italiani.

Sul finire del secolo il mondo magistrale era frattanto interessato ad alcuni cambiamenti. Il più importante è il ricambio degli insegnanti con la lievitazione di una nuova generazione di maestri molto più professionale di quella che l’aveva preceduta. Nati tra anni Settanta e Ottanta, hanno frequentato regolari corsi di studi (la scuola normale), ambiscono a iscriversi all’Università (nel 1905 si apriranno, poi, le prime Scuole pedagogiche presso le Facoltà di Lettere) e vedono di fronte a loro nuove prospettive di carriera con la creazione della figura del direttore didattico. Grandi scrittori, De Amicis (Imagem 6), Serao, Verga, celebrano la forza civilizzatrice della scuola e ne denunciano, al tempo stesso, le lacune e la trascuratezza.

Fonte: Fondazione Tancredi di Barolo, Torino.

Imagem 6 Edmondo De Amicis. 

Le maestre e i maestri più bravi e intraprendenti si dilettano di scrittura, praticano il giornalismo, diventano curiosi esploratori della storia e delle tradizioni locali, migliorano le loro conoscenze scientifiche e talvolta creano piccoli laboratori ad uso didattico, spesso entrano a far parte della piccola intellettualità di provincia. Il giornale didattico-scolastico fatto in casa è ormai alle spalle, le aspettative sono altre.

Questi segnali documentavano che l’attività magistrale perdeva le caratteristiche di un mestiere dai contorni non sempre ben definiti ed evolveva gradualmente verso la professione intellettuale. Frattanto i maestri uomini lasciavano il passo a una presenza sempre maggiore di donne: nel 1875-1876 per la prima volta il numero delle mae stre in servizio superò quello dei maestri (con 23.818 donne contro 23.267 uomini). All’inizio del Novecento le maestre rappresentavano ormai i 2/3 di tutti gli inse gnanti elementari (44.561 maestre a fronte dei 21.178 maestri).

La crescente presenza delle donne nella vita scolastica non passò inosservata nel mondo della carta stampata: negli ultimi due decenni dell’Ottocento si moltiplicarono i tentativi di creare una stampa esplicitamente destinata alle maestre. L’obiettivo fu tuttavia raggiunto in modo stabile soltanto nel 1897 quando l’editore milanese Antonio Vallardi fondò il già ricordato “Il Corriere delle Maestre”. Per oltre quarant’anni (le pubblicazioni cessarono nel 1941) sotto la direzione di Guido Fabiani, scrittore per l’infanzia e giornalista, “Il Corriere” si rivolse preferibilmente al pubblico femminile con un prodotto editoriale a metà strada tra il giornale didattico e la rivista di larga divulgazione pedagogica, letteraria e di costume.

La femminilizzazione della professione magistrale costituì, come è noto, una delle prime esperienze per l’emancipazione delle donne e per il loro ingresso nella vita sociale con ruoli non solo subalterni. Se pur con toni alquanto moderati “Il Corriere” fu parte e condivise questo mutamento di mentalità, dando voce a una visione “al femminile” delle questioni non solo scolastiche, ma anche sociali, oltrepassando la visione della maestra come una semplice figura materna imprestata alla scuola.

I NUOVI SCENARI DEL PRIMO NOVECENTO

Non fu questa la sola novità che irruppe sulla scena scolastica italiana nel passaggio tra Otto e Novecento. Quella sicuramente di maggior rilievo fu la creazione nel 1901 di un’associazione nazionale dei maestri di orientamento laico, l’Unione Magistrale Nazionale, nella quale - non senza dibattiti e difficoltà - confluirono i numerosi sodalizi che si erano costituiti localmente (di solito a livello municipale) nei decenni precedenti (BARAUSSE, 2002). Nel conseguimento di un obiettivo così interessante sul piano professionale - e anche politico per l’influenza che la classe magistrale era in grado di svolgere sul piano dell’orientamento dell’opinione pubblica - decisivo fu il sostegno di numerosi giornali scolastici, tra cui quello che sarebbe presto diventato il foglio più importante per prestigio e diffusione: “I Diritti della Scuola” (Imagem 7).

Fonte: Biblioteca Nazionale Braidense, Milano.

Imagem 7 “I diritti della scuola”. 

Il fascicolo inaugurale dei “Diritti” apparve a Milano alla vigilia del nuovo secolo, il 7 ottobre 1899 per iniziativa del primo direttore del “Risveglio”, il già ricordato Guido Antonio Marcati. Organizzata una società editoriale ad hoc, progettò uno strumento informativo in grado di rispondere a varie esigenze non solo di tipo didattico. Per raggiungere que sto scopo si accaparrò firme prestigiose che sottrasse ad altre riviste come gli scrittori Ida Baccini e Luigi Capuana per le ru briche di letture femminili e letteraria, il pedagogista Pietro Pasquali e un giovane maestro, Annibale Tona, per la sezione didattica che ne sarebbe poi stato a lungo il direttore. Poco tempo dopo la redazione si trasferì a Roma dove era più facile entrare in contatto con gli uffici ministeriali e l’établissement politico.

Pur in assenza del sostegno di un grande editore, “I Diritti” si mossero entro un’ottica di mercato assai avanzata, basata sui princìpi propri di qualsiasi attività imprenditoriale: offrire un prodotto atteso dal pubblico, garantirne la qualità, metterlo sul mercato a un prezzo accessibile, battere la concorrenza.

Come il modello praticato da “I Diritti della Scuola” e dal “Corriere delle maestre” segnasse la strada del futuro e, dunque, come fosse necessario darsi una solida organizzazione per resistere sul mercato è documentato dal fatto che gli ambienti cattolici bresciani, desiderosi di assicurare una vita dignitosa a una rivista magistrale sorta qualche anno prima, nel 1893 (“Scuola italiana moderna”), in grado di rappresentare un contraltare alle maggiori riviste magistrali, tutte di tendenza laica, si convinsero, dopo varie e stentate vicende, che l’impresa sarebbe stata possibile solo se si fosse creata una vera e propria (per quanto inizialmente modesta) casa editrice. A tal fine nel 1904 sorse La Scuola editrice.

La discesa in campo della casa editrice bresciana e il rapido successo di “Scuola italiana moderna”, erano il segnale di una nuova sensibilità che percorreva il mondo cattolico fino a quel momento polemicamente estraneo nei confronti dello Stato liberale e impegnato a dar vita a una rete di scuole cattoliche esplicitamente alternative a quelle pubbliche. I cattolici bresciani raccolti intorno a Luigi Bazoli e a Giorgio Montini (il padre del futuro Papa Paolo VI) prendevano atto che nella scuola elementare era ormai presente un forte nucleo di maestri - e soprattutto di maestre - animati da sincera fede religiosa che faticavano a convivere nell’Unione Magistrale ove prevalevano posizioni laiche e, talvolta, decisamente anticlericali.

Sarà proprio la redazione della rivista, con il suo dinamico direttore Ettore Arduino e l’appoggio di don Angelo Zammarchi (il vero regista dell’operazione) a rappresentare il crogiuolo ove prenderà fisionomia tra il 1906 e il 1907 l’Associazione magistrale “Niccolò Tommaseo” nella quale si riconobbe la stragrande maggioranza dei maestri cattolici italiani (PAZZAGLIA, 1999).

La comparsa sulla scena pedagogica e scolastica di “Scuola italiana moderna” a fianco dei “Diritti della Scuola” e del “Corriere delle maestre” completa il quadro delle tre più importanti testate scolastiche destinati a raccogliere e sviluppare l’eredità delle piccole pubblicazioni didattiche che, per ampia parte del secondo Ottocento, avevano affiancato i maestri nell’insegnamento.

La concentrazione della stampa magistrale intorno a poche testate dimostrava che dalla varietà scolastica legata alle diverse tradizioni regionali si stava transitando verso la scuola unitaria italiana (la creazione di un’unica associazione nazionale dei maestri e una analoga iniziativa dei professori ne rappresentavano l’ulteriore conferma). Il consolidarsi della scuola nazionale - che si sarebbe irreversibilmente confermato e rafforzato con il fascismo statalista - non fu senza conseguenze anche sul versante degli stili educativi.

La lettura dei giornali scolastici tra i due secoli aiuta ad approfondire alcune transizioni importanti. I valori del buon villaggio sembrarono non più sufficienti se non accompagnati dalla celebrazione della Patria, i doveri del buon cittadino e il suo spirito patriottico diventarono concorrenziali con quelli del buon cristiano, la formazione di un carattere forte degno di un italiano (unitamente a quella di un corpo sano) capace anche di combattere divenne un motivo ricorrente. Era l’antefatto del nazionalismo educativo che avrebbe accompagnato l’Italia nei primi anni del XX secolo fino all’epilogo del fascismo.

La piccola stampa professionale di provincia tuttavia non scomparve e restò assai viva, riproponendosi in numerosissimi bollettini associativi, espressione in parte dei due maggiori sodalizi e in parte di svariati altri gruppi di insegnanti. Tra il 1900 e il 1925 uscirono ben 186 pubblicazioni legate rispettivamente all’Unione Magistrale Nazionale (126 testate) e all’Associazione magistrale “Niccolò Tommaseo” (60 testate). Esse erano il segno della vitalità del mondo magistrale e del suo impegno sul piano sociale e politico.

Altre 95 testate rappresentarono gruppi associativi di vario genere e con diversa collocazione territoriale (locale e nazionale): docenti delle scuole secondarie classiche e tecniche, insegnanti di educazione fisica e di varie altre discipline, direttori didattici, educatrici delle scuole infantili, ecc.

RIVISTE PER LE SCUOLE SECONDARIE E PEDAGOGICHE

Altre due importanti novità fecero la loro comparsa all’inizio del Novecento. La prima fu il sorgere di pubblicazioni rivolte ai professori delle scuole secondarie, la seconda riguardò la comparsa delle prime riviste pedagogiche.

Salvo pochi casi i periodici per l’istruzione secondaria restarono marginali per tutto il secondo Ottocento. Fanno eccezione alcune riviste sull’insegnamento di alcune discipline come la matematica, il francese e il tedesco e la ginnastica e un primo tentativo di creare un’associazione tra docenti secondari.10

La scolarizzazione post elementare restò a lungo un fenomeno minoritario circoscritto ai figli delle media e alta borghesia. Soltanto alla fine dell’Ottocento si aprì il dibattito se la scuola classica potesse restare l’unica via all’Università. I docenti secondari erano in genere bene integrati nel ceto dirigente, rispettati e temuti e per molto tempo non avvertirono la necessità di riunirsi come, invece, accadeva per i maestri. Anche tra i docenti secondari sul finire del secolo entrò in servizio una nuova generazione di professori, dai sentimenti alquanto diversi da coloro che li avevano preceduti, fortemente critica con l’evoluzione dello Stato liberale e convinta che occorresse un nuovo slancio per dare all’Italia maggiore dignità e forza politica. Fu questa una delle spinte per la nascita agli inizi del Novecento (1901) della Federazione Nazionale Insegnanti di Scuola media (AMBROSOLI, 1967).

Mentre nell’associazionismo magistrale prevalse un certo rivendicazionismo (migliori retribuzioni, erogazione di pensioni, tutele normative), i docenti della scuola secondaria affrontarono soprattutto il ruolo e la funzione della scuola, assumendo la fisionomia di laboratorio politico scolastico per la riforma delle scuole secondarie, tematica particolarmente avvertita all’inizio del Novecento.

Due le principali tesi a confronto: secondo i “classicisti” il perno della scuola nazionale non poteva essere che il corpus degli insegnamenti letterari-storico-filosofici. Non si poteva accedere all’Università se non si padroneggiavano le lingue classiche e i saperi ad essa collegati. A giudizio di quanti, per comodità, definiremo i “modernizzatori” era invece necessario potenziare le discipline scientifiche e la conoscenza delle lingue moderne e aprire nuove scuole tecniche e professionali. Mentre per i primi la scuola doveva formare soprattutto l’uomo prima del professionista, per i secondi la scuola post elementare dovevano assecondare i cambiamenti sociali e produttivi.

I periodici legati alla Federazione dei docenti sono una fonte primaria per ricostruire questo fondamentale dibattito, preliminare alla riforma scolastica del 1923, il più importante intervento sul sistema d’istruzione italiano della prima parte del XX secolo. Tra questi spiccano, per la durata e il prestigio dei collaboratori tre testate: “La Corrente” (Milano, 1904-1925), di orientamento laico e massonico; “Il Vomere” (Napoli, 1914-1919) ispirata a valori social-riformisti e “Nuovi Doveri” (Palermo, 1907-1913) legata alla filosofia e pedagogia neo idealistica di Giovanni Gentile e Giuseppe Lombardo Radice cui avrebbe fatto seguito, con un’impostazione molto simile, un’altra rivista diretta ancora da Lombardo Radice, “L’Educazione Nazionale” (Roma, 1919-1933), su cui torneremo più avanti.

I “Nuovi Doveri” meritano un’attenzione particolare in quanto essa si configurò come una vera e propria rivista di pedagogia. I saggi e gli scritti che vi apparvero erano infatti interessati non solo alle questioni di politica scolastica, ma impegnati anche ad approfondire, mediante un’ampia ed apposita riflessione teorica, la natura dell’educazione e il suo rapporto con la tradizione storica (RAICICH, 1981). Per la prima volta in Italia, a distanza di quasi un secolo dalla “Guida dell’Educatore” che si era cimentata con tali questioni già all’inizio dell’Ottocento, ma senza ulteriore seguito, compariva una pubblicazione dalla fisionomia dichiaratamente pedagogica.

Quasi contemporaneamente, a distanza di poco meno di un anno dai “Nuovi Doveri”, nel 1908 uscì un’altra significativa voce pedagogica per iniziativa di Luigi Credaro, la “Rivista Pedagogica” (D’ARCANGELI, 2012), espressione degli ambienti tardo positivisti, neo kantiani ed herbartiani e, dunque, voce di settori politico-pedagogici alternativi a quelli neoidealisti dei “Nuovi Doveri” (Imagem 8).

Fonte: Biblioteca Nazionale Braidense, Milano.

Imagem 8 “Rivista Pedagogica”. 

La storia pedagogica e scolastica italiana del primo Novecento non può fare a meno degli apporti di queste due pubblicazioni che interpretarono la tradizione culturale italiana secondo opposti punti di vista.

UNA PRIMA SOMMARIA SINTESI

Nel trarre qualche rapida conclusione su quanto abbiamo narrato fino a questo punto e prima di accostare lo snodo del fascismo - e cioè della dittatura che a partire dal 1925 e fino al 1943 cancellò ogni traccia di vita democratica in Italia - che ebbe conseguenze di grandissima portata anche sul versante della pubblicistica scolastica, possiamo fornire qualche dato riassuntivo.

  1. Tra il 1820 e il 1925 la stampa per i maestri costituisce la porzione nettamente più significativa della pubblicistica scolastica con un doppio versante di interessi: quelli più direttamente didattici (che, con il trascorrere degli anni, si arricchisce anche di contenuti culturali) e quelli di natura più associativo-professionale (quest’ultimi capillarmente distribuiti sul territorio).

  2. Dopo una prima fase in cui i giornali sono gestiti privatamente da piccoli gruppi di insegnanti e sono espressione di consolidate tradizioni educative regionali, tra gli anni Ottanta e Novanta entrano in scena alcuni importanti editori (Paravia, Sandron, Vallardi, Bemporad, Trevisini, più tardi anche La Scuola) che creano un unico mercato nazionale. I cataloghi intrecciano libri di testo, letture amene e giornali destinati ai maestri. Questa strategia costringe alla resa le piccole testate che verso la fine dell’Ottocento praticamente scompaiono o si trasformano in bollettini associativi.

  3. I maggiori centri di produzione scolastica (giornali e non solo) sono, in una fase iniziale, Torino e Firenze cui si aggiungono dopo il 1860 Milano, Bologna, Napoli e Palermo.

  4. L’esame dei giornali scolastici, soprattutto quelli locali, documenta, d’un laro, lo scarto tra le enunciazioni di principio e la realtà scolastica che risulta molto più semplice, povera e tradizionale rispetto alle dichiarazioni di pedagogisti e responsabili politici dell’istruzione e, dall’altro, il graduale costituirsi della scuola nazionale.

  5. La pubblicistica per le scuole secondarie procede più a rilento e si rivolge in un primo tempo verso l’approfondimento dell’insegnamento di alcune discipline (soprattutto matematica, lingue straniere, ginnastica); soltanto all’inizio del Novecento compaiono le prime pubblicazioni di carattere politico-scolastico cui si affiancano alcune riviste pedagogiche.

UN COMUNE DESTINO: SOCCOMBERE AL FASCISMO

Un primo duro colpo al giornalismo scolastico giunse negli anni della prima guerra mondiale in seguito alle restrizioni imposte, anche in campo editoriale e tipografico con il contingentamento della carta. Svariate piccole testate furono costrette a sospendere le pubblicazioni. Al ritorno della pace lo scenario era ulteriormente semplificato, anche se le voci locali continuarono a restare attiva espressione dell’associazionismo magistrale e delle rivendicazioni professionali della categoria.

Questa rigogliosa e varia presenza pubblicistica era tuttavia destinata a sbriciolarsi nel breve spazio compreso tra il 1924 e il 1926 e cioè nel biennio in cui il fascismo, salito al potere nell’ottobre 1922, si trasformò in dittatura. La conquista della libera stampa costituì infatti uno dei primi obiettivi del fascismo e non mancarono analogie tra la strategia perseguita nel campo della stampa in generale e i rapporti tra fascismo, pubblicistica scolastica e associazionismo dei docenti. Uno dei primi scopi di qualsiasi regime autoritario è infatti quello di soffocare la libera espressione.

I fascisti muovevano agli insegnanti e ai sodalizi che li rappresentavano l’accusa di essere prigionieri di interessi particolaristici senza riuscire a innalzarsi a una visione “nazionale”, come si diceva allora, della questione scolastica e cioè una visione ideale e patriottica della loro missione educativa. Naturalmente si trattava di accuse molto strumentali. In realtà essi intendevano avversare le mai nascoste simpatie della maggioranza dei maestri e dei professori per una democrazia progressista non di rado venata da simpatie per il socialismo riformista.

Per contrastare le resistenze democratiche il fascismo si organizzò in duplice senso. Per un verso diede vita a giornali appositamente creati per incidere sull’opinione pubblica magistrale e, dall’altro, mise a punto varie forme di condizionamento in modo da allineare agli intenti politici del regime ogni voce non di pieno consenso. In poco tempo la libera stampa scolastica - specialmente quella assai rigogliosa rivolta ai maestri - fu così liquidata e costretta al silenzio, sostituita dal conformismo del regime (CHIOSSO, 2008). In pochi mesi decine e decine di testate associative sparse per tutta l’Italia chiusero le pubblicazioni.

Inizialmente i fascisti si erano ritagliati piccoli spazi sui giornali che simpatizzavano per Mussolini come “La Nostra Scuola” (Milano-Firenze, 1913-1923). In seguito apparvero i primi periodici scolastici esplicitamente intonati al fascismo: “La Nuova Scuola Italiana” (Firenze, 1923-1938) e “La Corporazione della scuola” (Roma, 1925). Il primo era la continuazione de “La Nostra Scuola” e, come questo, diretto da Ernesto Codignola uno dei discepoli di Gentile e sostenuto da un potente editore, Vallecchi, subito schierato con il regime; il secondo, di breve durata e con scopi più militanti uscì agli inizi del 1925 allo scopo di raccogliere e organizzare gli insegnanti che lasciavano in massa le associazioni tradizionali dopo la salita al potere di Mussolini.

L’emorragia dei soci degli antichi sodalizi fu favorita dai rapporti privilegiati tra la Corporazione della scuola e il governo fascista che la riconobbe come unico interlocutore della categoria nello stesso momento in cui stava rafforzando il proprio potere e progressivamente riducendo le libertà politiche.

“La Corporazione della scuola” fece da battistrada alla fine dell’associazionismo democratico (l’Unione Magistrale Nazionale e la Federazione Nazionale Insegnanti Scuola Media furono sciolte nel 1926, mentre l’Associazione Nazionale “Nicolò Tommaseo” restò in vita ancora per qualche anno, ma con finalità quasi esclusivamente religiose) e alla creazione di un unico grande sodalizio fascista della scuola e cioè l’Associazione Nazionale Insegnanti Fascisti (poi dal 1931 Associazione Fascista della Scuola) che diede vita a due distinte pubblicazioni: “La Scuola Fascista” (Imagem 9) destinata ai maestri elementari e “Cultura Fascista” per i docenti dell’istruzione secondaria (CHARNITZKY, 1996).11

Fonte: Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze.

Imagem 9 “La Scuola Fascista”. 

A differenza di quanto era accaduto con le associazioni democratiche i gruppi professionali fascisti non pubblicarono, salvo pochi casi, fogli informativi locali e si appoggiarono, in coerenza con il forte centralismo del Partito Fascista, ai periodici nazionali sopra citati, diretta emanazione delle élites dirigenti.

La repressione dell’associazionismo e la conseguente fine della vivace stagione del giornalismo scolastico locale si combinò con lo sforzo del fascismo di impadronirsi - tra lusinghe e minacce - dei giornali di opinione e di piegarli a docili strumenti di amplificazione del regime. Tra il 1925 e il 1926 le maggiori testate scolastiche si allinearono (dal “Corriere delle Maestre” ai “Diritti della Scuola”) o non ostacolarono (la “Rivista Pedagogica”) l’affermazione del regime mediante un processo di sostanziale autocensura. Il timore era che interventi di polizia decretassero la sospensione delle pubblicazioni come stava avvenendo con altre testate d’impronta politica. La strategia dei condizionamenti esterni risultò in tal modo vincente.

Tra gli anni Venti e Trenta presero maggior vigore anche alcune riviste pedagogiche incoraggiate direttamente dal governo dietro la pressione del gruppo neoidealista - allineato con il fascismo - che ambiva ad assicurare all’Italia una pedagogia dai forti tratti spiritualistici e nazionalistici.12

È tuttora aperto nel dibattito storiografico italiano l’interrogativo se i processi di fascistizzazione scolastica perseguita con grande solerzia dal regime produssero effettivamente la “scuola fascista” oppure se, al di là della ritualità ufficiale, i docenti restarono abbastanza indipendenti di svolgere il loro compito senza identificarsi in toto nell’ideologia mussoliniana oppure identificandosi soltanto in apparenza. Se si dà fede alle voci del fascismo scolastico intransigente che lamentavano l’insufficiente iniziativa del partito nel mondo scolastico si direbbe che la scuola italiana avrebbe conservato, soprattutto a livello d’istruzione secondaria, una certa indipendenza. Se si guarda ai processi interni alla scuole - esistono varie ricerche condotte in tal senso - l’impressione è che la penetrazione fascista sia stata insistita e capillare rispetto a cui era davvero difficile restare estranei, se non con motivazioni particolarmente forti. I giornali del fascismo non aiutano a sciogliere queste incertezze perché la roboante propaganda finì per celebrare un’Italia scolastica plebiscitariamente fascista al di là di quella che, quasi sicuramente, era la realtà effettiva.

Risulta inoltre difficile stabilire se all’interno del fascismo sia prevalsa un’unica pedagogia oppure, com’è probabile, convissero più pedagogie. Su questo piano la lettura della pubblicistica del regime potrebbe fornire indicazioni interessanti, ma non disponiamo di studi approfonditi. Non v’è dubbio che nella sua fase iniziale il fascismo fece proprie gran parte alle teorie del neoideliamo nazionalisteggiante di Giovanni Gentile e i suoi allievi autori della riforma scolastica del 1923. Attraverso una presenza assidua nei gangli della vita ministeriale, nelle case editrici e nelle redazioni dei giornali i neoidealisti, a loro volta, finirono per accreditare se stessi come gli autentici interpreti del fascismo scolastico.

La realtà fu probabilmente più complessa di quella fin qui studiata. Indagini più accurate potrebbero documentare che la fecondazione del fascismo da parte del neoidealismo non impedì la presenza di altre voci pedagogiche, alcune delle quali di estrazione tardo positivista e inquinate da forti tentazioni militaresche e da gravi pregiudiziali razziali.

In un clima altamente ideologizzato alcune voci indipendenti, per lo più di ambiente accademico, riuscirono a esprimere valori diversi senza mai tuttavia contrastare, se non con qualche leggero colpo di spillo, il fascismo. Era questo, del resto, l’unico spazio consentito. La storiografia ha indicato con l’espressione “afascismo” questa posizione, mediana tra fascismo e antifascismo.

Rientrano tra le voci afasciste l’ultima fase della già più volte ricordata “Rivista Pedagogica”, cenacolo residuale della cultura pedagogica d’inizio secolo le cui pubblicazioni cessarono nel 1939 (in quell’anno morì il suo fondatore e storico direttore, Luigi Credaro) (Imagem 10); “La Vita Scolastica” (Firenze, 1929-1938) di Giovanni Calò - strenuo avversario di Giovanni Gentile e della pattuglia neoidealista - e la rivista di Giuseppe Lombardo Radice “L’Educazione Nazionale”. Fu questo l’unico caso di sospensione d’autorità delle pubblicazioni nel 1933 per decisione del regime: la rivista fu ufficialmente chiusa perché “non abbastanza nazionale”, in realtà perché Lombardo Radice era una delle poche voci seriamente critiche verso il regime (CIVES, 1983).

Fonte: Fondo Credaro, Banca Popolare di Sondrio.

Imagem 10 Luigi Credaro. 

In quello stesso anno gli ambienti della pedagogia cattolica dell’Università del Sacro Cuore di Milano e della casa editrice bresciana La Scuola diedero vita alla prima rivista pedagogica cattolica italiana pubblicata come supplemento al giornale magistrale “Scuola Italiana Moderna” (Imagem 11). Voluta da mons. Angelo Zammarchi e animata da Marco Agosti, Vittorino Chizzolini (Imagem 12) e Mario Casotti (quest’ultimo un allievo di Gentile transitato dall’originario neoidealismo a posizioni neotomiste), fu il luogo nel quale un manipolo di giovani studiosi cominciò a mostrare il proprio valore come Aldo Agazzi, Augusto Baroni, Giovanni Modugno, Gesualdo Nosengo.

Fonte: Biblioteca Nazionale Braidense, Milano.

Imagem 11 “Scuola Italiana Moderna”. 

Fonte: Archivio storico casa editrice La Scuola, Brescia.

Imagem 12 Vittorino Chizzolini. 

Molti di questi pedagogisti sarebbero diventati i protagonisti di primo piano nelle successive vicende con il ritorno dell’Italia alla vita democratica nel 1945 al termine della seconda guerra mondiale.

SCUOLA, PEDAGOGIA E STAMPA NELL’ITALIA REPUBBLICANA

Il ritorno della democrazia in Italia e la centralità della questione educativa e scolastica decretata dalle forze democratiche per liquidare l’eredità del fascismo furono alla base di un poderoso rilancio anche della pubblicistica per la scuola e l’educazione.

Un prima spinta in tal senso venne dal sorgere, subito dopo la fine della guerra, di numerose associazioni professionali (maestri e professori) nonché di svariati sindacati sorti per tutelare la carriera e la retribuzione dei docenti. Questi sodalizi, pur espressione di convinzioni politiche spesso differenti e talvolta addirittura antagoniste, furono accomunate dalla visione della scuola come un fattore strategico per la costruzione della democrazia italiana.

La libertà di associazione intrecciò la libertà di espressione: tutti questi sodalizi si dotarono di appositi organi di informazione attraverso cui espressero gli ideali ispiratori in uno scenario che subito apparve alquanto diverso rispetto ai primi decenni del secolo. Si può dire (rinviando in nota l’elenco delle forze principali dell’associazionismo del dopoguerra con relativi periodici13) che a ciascuno dei gruppi politici maggiori (Democrazia Cristiana, Partito Liberale, Partito Repubblicano, Partito Socialista e Partito Comunista) corrispondesse un’associazione scolastica a sua volta bene articolata sul territorio e - riprendendo una caratteristica dei primi anni del Novecento - spesso fornita di propri organi di informazione locale. Nessuno dei preesistenti sodalizi tornò tale e quale sulla scena con la sola eccezione della Federazione Nazionale Insegnanti di Scuola media, l’unica ad essere ricostituita nelle forme precedenti il 1925.

Destino diverso ebbero invece le due maggiori riviste magistrali che, sopravvissute al fascismo, continuarono regolarmente le pubblicazioni: “I Diritti della Scuola” riprese la sua fisionomia laico-liberale e “Scuola Italiana Moderna” continuò a essere espressione della pedagogia cattolica e divenne un potente sostegno alla politica scolastica della Democrazia Cristiana. Dopo la vittoria alle elezioni del 1948 combattute all’insegna comunismo/anticomunismo questo partito divenne il perno della politica nazionale, baluardo contro il comunismo e promotore di una graduale democrazia non solo politica, ma anche sociale.

Tra gli anni Quaranta e Cinquanta sorsero altri periodici per la scuola elementare come “La Vita Scolastica” (Rovigo, poi Firenze, 1946), “L’Educatore Italiano” (Milano, 1954) e apparvero le prime pubblicazioni di sinistra: “Cooperazione Educativa” (Firenze, 1951), organo di collegamento tra i promotori del metodo Freinet (PETTINI, 1980) ed “Educazione Democratica” (Roma, 1953) poi trasformata nel 1955 nella rivista “Riforma della Scuola”, voce pedagogica e politico scolastica del Partito Comunista fino alla chiusura delle pubblicazioni nel 1992. “Riforma della Scuola” fu il segnale che i comunisti non intendevano restare ai margini del confronto educativo e, sulla scia dell’insegnamento di Gramsci, intensificarono la loro presenza in campo scolastico.

Le riviste di pedagogia - che si moltiplicarono negli anni del dopoguerra - sono la spia delle diverse letture in corso sulla società italiana, espressione di impostazioni ideali spesso interattive con il dibattito politico e impegnate a orientare - almeno come proposito - la democrazia italiana. Per la comprensione di quegli anni è di fondamentale importanza ricordare due principali snodi culturali: l’acceso contrasto, già richiamato, comunismo/anticomunismo e la reciproca concorrenza nel fronte anticomunista per orientare gli stili di vita della società italiana tra la presenza cattolica ispirata al primato della persona metafisicamente intesa e la circolazione del funzionalismo anglosassone (in specie Dewey) di tradizione laica, impegnato soprattutto a promuovere la modernizzazione della vita sociale.

Le voci più significative impegnate in questo intenso dibattito almeno fino agli anni Ottanta furono “Scuola e Città” sorta nel 1950 a Firenze e punto di riferimento del riformismo filo deweyano (CAMBI, 1982), vicina al Partito Socialista; “Pedagogia e Vita” (1954, continuazione del supplemento di “Scuola Italiana Moderna”), animata dal gruppo di studiosi vicini alla casa editrice La Scuola di Brescia (che in breve tempo divenne il centro editoriale di maggior peso nella pubblicazione di periodici educativi e scolastici) (PAZZAGLIA, 2004) e la più antica rivista pedagogica tuttora regolarmente in uscita, “Rassegna di Pedagogia” (Padova, 1941) inizialmente pensata come continuazione della storica “Rivista Pedagogica” e poi diventata una delle voci più autorevoli del personalismo pedagogico. A queste voce si aggiunse nel 1954 la rivista “Orientamenti Pedagogici”, espressione degli studiosi dell’Università Salesiana.

Nonostante la compromissione con il fascismo l’eredità di Giovanni Gentile e del neoidealismo filosofico e pedagogico ebbe vita longeva e segnò molte vicende non solo personali, ma anche culturali e politico scolastiche che trovarono ospitalità in alcune pubblicazioni promosse e dirette da allievi ed estimatori di Gentile.14

L’altra grande tradizione pedagogica italiana, quella montessoriana, riprese vigore con il ritorno in Italia nel 1947 di Maria Montessori dopo l’esilio degli anni del fascismo e della guerra. La ricostruzione dell’Opera Nazionale a lei intitolata (dopo la chiusura decretata dal fascismo) venne affiancata dalla rivista “Vita dell’Infanzia” (Firenze, poi Roma, 1952) fermamente voluta dalla pedagogista e punto di incontro per studiosi ed esperienze legate alla sua pedagogia.

La proposta montessoriana non egemonizzò, tuttavia, l’ambito dell’educazione italiana dell’infanzia. Grande rilievo e fortuna ebbero anche le esperienze delle sorelle Rosa e Carolina Agazzi nelle quali si riconobbe, in particolare, il periodico bresciano di lunga durata “La scuola materna” erede di un’altra storica testata, “Pro Infantia” avviata nel lontano 1915. Più tardi fu la volta di altri giornali legati alla sinistra politica e a una visione meno romantica e più sociale dell’infanzia come “Infanzia” (Firenze, 1973) e “Zerosei” (Milano, 1976).

Più modesta fu la presenza del giornalismo scolastico nell’istruzione secondaria fino agli anni Sessanta-Settanta quando i processi di riforma della scuola media unica (11-14 anni) e i dibattiti che si aprirono sul futuro della scuola secondaria (14-19 anni) furono l’occasione per nuove pubblicazioni. Le due più significative furono ancora una volta un prodotto editoriale bresciano e cioè “Scuola e Didattica” (1955) e “Nuova Secondaria” (1983) cui si affiancarono alcune voci sulle tematiche relative al rapporto tra scuola e professione (“Scuola e professionalità”, “Professionalità”, “Rassegna Cnos”).

Frattanto nel 1975 apparve il primo giornale di larga informazione scolastica, “Tuttoscuola”, destinato a un pubblico vario e non solo a quello degli insegnanti. L’iniziativa intrapresa da Giovanni Vinciguerra, giornalista ed esperto uomo di scuola, coincise con una importante riforma scolastica che, almeno in via di principio, intendeva attenuare il rigido statalismo scolastico e favorire un rapporto più dinamico tra mondo dell’istruzione, famiglie e vita sociale. A tal fine la riforma istituiva nelle scuola appositi organi di governo misti tra insegnanti e genitori.

Numerose furono anche i periodici pubblicati dalla varie società di docenti con interessi e finalità disciplinari non solo interessate a presentare novità e questioni di carattere scientifico, ma spesso e in forma sempre più puntuale con un’attenzione privilegiata agli aspetti didattici. In tal senso si orientarono riviste per la matematica, le lingue straniere, la storia, la geografia, la lingua italiana, la filosofia, la religione cattolica e le varie articolazione delle scienze naturali. Attraverso queste pubblicazioni maturò una sensibilità per le questioni didattiche anche a livello di scuola secondaria molto più avvertita di quanto non accadesse in precedenza.

La notevole fioritura dei giornali scolastici che si verificò tra la fine della guerra e gli anni Novanta - sulla quale purtroppo non esistono ricerche analoghe a quelle condotte per l’Ottocento e il primo Novecento - cominciò a declinare nel passaggio tra i due secoli incalzata da nuove forme di comunicazione digitale e dalla difficoltà della carta stampata a tenere dietro ai cambiamenti prodotti dall’ampliarsi del mondo del web. Un fenomeno non diverso da quello che, più in generale, attraversò - e tuttora attraversa - il mondo dei giornali d’informazione e di opinione.

Ma contestualmente anche altre ragioni indebolirono il peso dei giornali scolastici: per esempio una concezione più comunitaria della professione centrata sul confronto delle esperienze anziché sull’applicazione di pratiche didattiche proposte da esperti.

Alcuni giornali cessarono le pubblicazioni (il caso più eclatante può essere considerata la chiusura nel 1994 dei “Diritti della Scuola” dopo quasi secolo di presenza nella scuola italiana), altri abbandonarono l’edizione cartacea a favore dell’edizione online, altri ancora associarono all’edizione cartacea materiali didattici online. Nel complesso il primo scorcio del Duemila appare percorso da una profonda trasformazione degli strumenti di lavoro dei docenti la cui evoluzione futura è difficile da prevedere ed è comunque da porre in relazione ai mutamenti che percorreranno la scuola di domani.

DALLA STAMPA SCOLASTICA ALL’EDITORIA E ALLA VITA DELLA SCUOLA

L’emersione dal silenzio della storia dei giornali scolastici ha indicato varie piste da esplorare poste all’intreccio con libri di scuola, testi di lettura ricreativa, materiali didattici. Il passaggio dai giornali all’editoria educativa è stato facilitato da due principali ragioni. La prima è che, come sappiamo, i promotori della pubblicistica periodica, in specie quella per l’istruzione elementare e popolare, erano i medesimi che preparavano anche i manuali scolastici, le guide didattiche per i maestri, organizzavano le prime forme associative tra gli insegnanti ed erano spesso anche autori di racconti e letture per i bambini.

Il secondo motivo è dovuto alla presenza di alcune case editrici che fin dagli ultimi decenni del XIX secolo hanno concentrato la loro attività principalmente sulla produzione scolastica e pedagogica (ad esempio Paravia e Loescher a Torino, Vallardi e Trevisini a Milano, Le Monnier, Paggi-Bemporad e Sansoni a Firenze, Zanichelli a Bologna, Sandron a Palermo).15 L’esplorazione dei cataloghi, al pari delle inserzioni pubblicitarie che apparivano regolarmente sui giornali per gli insegnanti, ha consentito di raccogliere una grande mole di informazioni e dati che in molti casi sono tuttora in attesa di essere indagati in modo approfondito.

Da queste premesse sono dipartite o si sono affiancate varie tracce di lavoro che è molto difficile ridurre in sintesi data la varietà e ricchezza dei contributi. Tra quelle di maggiore consistenza mi limito a citare le ricerche sull’industria riguardante i quaderni e i sussidi didattici; i contributi sulle opere grandi e piccole di letteratura per l’infanzia; i cataloghi di mostre espositive; la produzione degli strumenti per la ginnastica; i documenti (pagelle, diari, registri, ecc.) raccolti in numerosi musei per la scuola e l’infanzia; il commercio legato ai prodotti scolastici e della lettura. Certamente non ultimi, vanno infine segnalati significativi sondaggi sulla storia delle discipline scolastiche.

L’importanza delle materie scolastiche è sotto gli occhi di tutti. Anche questo segmento di storia educativa, come i giornali e i libri di testo, si pone all’intersezione di più punti di vista e risulta perciò particolarmente stimolante. La presenza o l’assenza di una materia nel programma scolastico in un determinato periodo storico non è neutra, ma riflette orientamenti culturali, decisioni politiche e pratiche didattiche. Le materie sono “organismi vivi” (VIÑAO FRAGO, 2006)16 e si trasformano nel tempo sia in rapporto al progredire delle conoscenze sia in ragione del mutare delle convinzioni educative e dell’esercizio scolastico.

In quest’ultimo ambito siamo debitori in special modo ai lavori condotti da specialisti disciplinari (matematici, storici, geografi, italianisti, cultori di discipline classiche, studiosi di formazione scientifica come biologi, chimici, ecc.) che hanno indagato i mutamenti intercorsi nell’insegnamento delle varie materie tanto sul versante dei programmi scolastici e dei libri di testo quanto anche, in qualche caso, su come l’insegnamento è stato veicolato.

Ugualmente ricchi di inedite informazioni risultano gli apporti sulla ricostruzione della professione magistrale compiuta attraverso le principali associazioni dei docenti, i loro giornali e le vicende biografiche di alcuni tra i principali protagonisti della storia scolastica italiana (Marco Agosti, Alberto Calderara, Giovanni Calò, Guido Antonio Marcati, Rita Nigrisoli, Aldo Pettini e altri). La ricerca biografica ha avuto il suo momento più significativo con la pubblicazione del Dizionario Biografico dell’Educazione nel 2013. In nota vengono fornite alcune informazioni sulle ricerche più significative (con un’attenzione riservata soprattutto alle fonti) condotte su queste tematiche.17

Una valutazione complessiva del percorso compiuto tra l’avvio dell’indagine sui giornali scolastici e gli esiti attuali è ancora prematura e, comunque, richiederebbe molto più spazio di questa nota. Posso solo rilevare che in tanto fermento di studio e di ricerca non è davvero è difficile cogliere una tensione innovativa di grande interesse. Grazie agli studi degli ultimi decenni compiuti su fonti a lungo ignorate oggi disponiamo di una visione dei cambiamenti educativi e scolastici molto più ampia, varia e soprattutto aderente alla realtà rispetto al passato.

Ma non si può neppure tacere qualche criticità. Ne sottolineo due. La prima riguarda il rischio di un eccesso di specializzazione. Lo specialismo ha il grande pregio di circoscrivere il territorio di indagine e di produrre risultati molto documentati. Ma esso può anche produrre esiti meno apprezzabili, come ad esempio una certa sottovalutazione dell’inquadramento anche dei processi microstorici entro i grandi flussi culturali che accompagnano e trasformano le società. L’erudito non è sempre un buon storico.

La seconda criticità riguarda un rapporto talvolta superficiale o addirittura insufficiente con la storia delle idee pedagogiche e i grandi scenari storico-culturali entro cui sono disposte le politiche scolastiche. Se, come è ormai inoppugnabilmente dimostrato, nell’uno e nell’altro caso pedagogia e politica non sono da sole in grado di dominare la ricostruzione del passato educativo, è però altrettanto incontrovertibile che senza il loro apporto risulta precaria la definizione delle linee portanti su cui si reggono non solo le decisioni politiche, ma a cui fanno riferimento anche le consuetudini e le pratiche correnti nelle diverse alterne stagioni dei rapporti tra la generazione adulta e quella giovanile.

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1Convergono su questa definizione, pur qualche accentuazione differente, ad esempio, Julia (1995) e Escolano Benito (2005).

2Cambi; Ulivieri (1994); Grovesnor; Lawn; Rousmaniere (1999).

3Per le pubblicazioni ricomprese tra l’inizio dell’Ottocento e il 1943 questo saggio si basa sul repertorio dei giornali pedagogici e scolastici - esito di una ricerca condotta tra il 1987 e 1997 che raccolse informazioni su 1273 testate (CHIOSSO, 1997). Per le notizie particolareggiate relative ai periodici citati nel testo si rinvia alle voci raccolte nel repertorio.

4Sul carattere anticipatorio e innovativo della “Feuille Hebdomadaire de Turin” ha richiamato l’attenzione Bianchini (2000).

5Su queste due importanti riviste - le più significative del primo Ottocento - rinvio ai saggi di Gaudio (1989a; 1989b). Su “L’Educatore primario” ved. anche Braido (1979).

6Nonostante il gran numero di giornali scolastici pubblicati dopo il 1861, soltanto pochi riuscirono tuttavia a durare nel tempo e ad avere una circolazione non solo municipalistica: “L’Educatore italiano” di Milano (1861-1885), “L’Amico delle scuole popolari” di Napoli (1861-1876) e i giornali di Torino “L’Istitutore” (1852-1894), “La Guida del maestro elementare italiano” (1864-1897) e “L’Osservatore scolastico” (1865-1899). Nell’agosto del 1863 uscì a Firenze anche il primo periodico per le maestre, “L’Educatrice italiana, giornale per le scuole femminili e le famiglie”. Nel 1866 fece la sua comparsa “La Ginnastica”, giornale che tanta parte avrebbe in seguito avuto nelle vicende relative alla diffusione ed allo sviluppo dell’educazione fisica nelle scuole. Più rara fu, invece, la pubblicistica per le scuole secondarie la cui voce inizialmente più significativa fu rappresentata dal “Baretti” (Torino, 1869-1885), battagliera rivista portavoce dei sostenitori del primato della scuola classica. Soltanto più tardi sarebbero comparsi altri giornali per l’istruzione liceale.

7Sulla evoluzione della pubblicistica scolastica nel secondo Ottocento rinvio al saggio introduttivo al volume “I periodici scolastici nell’Italia del secondo Ottocento”, Brescia, La Scuola, 1992.

8La realtà degli editori milanesi negli ultimi due decenni dell’Ottocento è particolarmente indicativa per cogliere questi cambiamenti. Ved. al riguardo le annotazioni molto pertinenti e interessanti di Marazzi (2014). Sulle strategie editoriali di questo medesimo periodo di altri importanti editori ved. Palazzolo (1990); Migliorini (1999); D’Ascenzo; Betti (2004); Salviati (2007) - con saggi di Aldo Cecconi, Carmen Betti, Gianfranco Bandini, Stefano Oliviero e Silvia Castaldi.

9Monaco (2003).

10“L’Eco della Associazione Nazionale fra gli Insegnanti delle Scuole Secondarie” (Torino, 1883-1887) cui fece seguito il periodico, sempre a cura del medesimo sodalizio, “Le Scuole Secondarie” (Milano, 1887-1890).

11Testate fiancheggiatrici con larga diffusione tra i docenti furono il “Giornale della Scuola Media” (Roma, 1931-1943) e “La Scuola Nazionale Fascista” (Roma, 1932-1943).

12Espressione di questa tendenza furono “Levana” (Firenze, 1922-1928) e varie pubblicazioni direttamente dipendenti dal Ministero dell’Educazione Nazionale (“Annali dell’Istruzione Media”, 1925-1932, poi “Scuola e Cultura”, 1933-1943 e “Annali dell’Istruzione Elementare”, 1926-1943). Un cenno particolare merita “Primato Educativo” (Roma, 1934-1939), rivista diretta da Nazareno Padellaro e Luigi Volpicelli che fu sicuramente il laboratorio più lucido ed inquietante del proposito di “fascistizzare” radicalmente la scuola italiana.

13In ordine cronologico queste le principali testate: “La Scuola e l’Uomo”, dell’Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi (1944); “L’Eco della Scuola Nuova” della Federazione Nazionale Insegnanti Scuola Media (1945); “Il Maestro”, dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici (1945); “Docete”, voce delle scuole cattoliche organizzate nella Federazione Istituti Dipendenti dall’Autorità Ecclesiastica (1946); “Scuola Democratica” dell’Associazione per la difesa delle scuola nazionale (1946); “I Maestri d’Italia”, del Sindacato Nazionale Scuola Elementare (1947); “Scuola e Maestri” del Sindacato Nazionale Autonomo Scuola Elementare (1950); “Rinnovare la Scuola” dell’Associazione Nazionale Scuola Italiana (1953). Sulla realtà dell’associazionismo cattolico degli insegnanti ved. Sani (1990) e per il mondo scolastico laico Semeraro (1993); Mambretti; Semeraro (1999).

14Fu questo il caso di come, ad esempio, di “La Nuova Rivista Pedagogica” (Roma, 1951), “I Problemi della Pedagogia” (Roma, 1955), “Magistero” (Bologna, 1957) e “Servizio Informazioni Avio” (Roma, 1957).

15Vanno ricordati i pionieristici tentativi condotti da Raicich negli anni Ottanta poi raccolti in Di grammatica in retorica. Lingua, scuola, editoria nella Terza Italia (RAICICH, 1996) e l’influenza esercitata in Italia dagli studi di Choppin sul libro scolastico e, più in generale, sull’editoria educativa (1992; 2008).

16Altre pertinenti annotazioni in Chervel (1988) e Bianchini (2010).

17Sull’editoria scolastica: Chiosso (2003, 2008). Si tratta di due repertori che documentato l’attività editoriale di 1054 piccole e grandi imprese impegnate nella produzione di testi scolastici e libri per ragazzi, in qualche caso anche produttrici di sussidi didattici. Sui libri di testo: Ascenzi; Sani (2005); Barausse (2008); Ascenzi; Sani (2009) - importante raccolta di documenti sulla regolamentazione normativa riguardante i libri di testo. Sui quaderni di scuola: Meda; Montino; Sani (2010) - 2 voll. con le relazioni e una vasta documentazione anche iconografica presentate al convegno internazionale svoltosi a Macerata [Italia] tra il 26 e il 29 settembre 2007). Sulle fonti conservate presso l’Archivio Centrale dello Stato (Roma): la collana di documenti “Fonti per la scuola della scuola” (7 volumi pubblicati tra il 1994 e il 2005). Sull’associazionismo degli insegnanti: Pazzaglia (1999); Barausse (2002); Chiosso; Sani (2013) - 2 voll., raccoglie 2345 biografie di personalità impegnate nel campo dell’educazione vissute tra il XIX e il XX secolo.

Received: June 26, 2018; Accepted: January 10, 2019

E-mail: teochiosso@hotmail.com

GIORGIO CHIOSSO

è professore emerito di Storia della Pedagogia nell’Università di Torino (Unito), in Torino, Itália. Ha insegnato anche nelle Università Cattolica di Milano, Lecce e Padova. Tra il 1995 e il 2012 è stato consulente di numerosi ministri dell’Istruzione e responsabile di progetti di ricerca presso la Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo di Torino. È autore di numerosi saggi sulla storia pedagogica e scolastica italiana (tra i più recenti Alfabeti d’Italia [2011] e Libri di scuola e mercato editoriale [2013]). Ha diretto importanti gruppi di ricerca sulla stampa scolastica (1987-1997), sull’editore scolastica nell’Ottocento (1998-2003) e nel primo Novecento (2004-2008). Nel 2013 ha pubblicato, in codirezione con Roberto Sani, il Dizionario Biografico dell’Educazione. Ha fatto parte del Comitato di Direzione degli Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche ed è componente dei Consigli Scientifici di numerose riviste italiane e straniere (tra cui Nuova Secondaria, History of Education & Children’s Literature, Estudios sobre Educación, Scuola Democratica).

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